Missing Brother [Completa]

By Toffee_Lin

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Dopo essere stato separato per quattro anni dai suoi fratelli, Charlie ha la possibilità di riavvicinarsi a l... More

1 - Charlie
2 - Charlie
3 - Elijah
4 - Charlie
5 - James
6 - Charlie
7 - Elijah
8 - Charlie
9 - Charlie
10 - James
12 - Charlie
13 - Elijah
14 - Charlie
15 - James
16 - Charlie
17 - Charlie
18 - James
19 - Elijah
20 - Charlie
21 - James
22 - Charlie
23 - Elijah
24 - Charlie
25 - Charlie
26 - James
27 - Charlie
28 - Charlie
29 - Elijah
30 - James
31 - Elijah
32 - James
33 - Elijah
34 - Charlie
35 - James
36 - Charlie
37 - Elijah
38 - Charlie
39 - Charlie
40 - James
41 - Charlie
42 - Elijah
43 - Charlie
PARTE 2
44 - Charlie
45 - James
46 - Charlie
47 - Charlie
48 - Elijah
49 - Charlie
50 - Charlie
51 - James
52 - Charlie
53 - Elijah
54 - Charlie
55 - Charlie
56 - James
57 - Charlie
58 - Elijah
59 - Charlie
60 - Charlie
61 - James
62 - Charlie
63 - Elijah
64 - James
65 - Charlie
66 - Charlie
67 - Elijah
68 - James
69 - Charlie
70 - Charlie
71 - Elijah
72 - Charlie
73 - Charlie
74 - James
Epilogo - Charlie
Extra - Jefferson Russo

11 - Charlie

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By Toffee_Lin

Sono stato perlopiù nel dormiveglia. Il dolore mi scoppiava improvvisamente associato alle immagini dei colpi inflitti. Ogni istante è vivido nella mia testa come il dolore che sento. Sono stato rannicchiato piangendo nel mio letto per due interi giorni, oggi che è il terzo è venuta mamma. Entra in camera con un piatto di brodo caldo. Lo appoggia sul comodino accanto a letto. - Devi mangiare qualcosa - mi dice. Non sembra aver ancora bevuto oggi, non ha il tono di qualcuno che è arrabbiato con te come al solito. La guardo con gli occhi lucidi cercando di ritrovare nella donna davanti a me la mamma che mi manca un sacco. Lei allunga un braccio, trasalisco d'istinto, ma poi la sento accarezzarmi la faccia. Il punto che sta toccando mi fa tanto male. Non mi sono ancora visto allo specchio, ma dalla guancia e l'occhio che mi pulsano forte, immagino che uno dei colpi mi abbia preso lì. Fa malissimo, ma il suo tocco è delicato. Ridacchia. - Ti preferisco brutto così, sai - dice - il tuo faccino non è bello come il suo ora.

La continuo a guardare. Il fatto che mi preferisca in un modo significa che ha delle preferenze su di me, significa che mi considera ancora. Non voglio che finisca questo momento. I giorni dopo avermi punito in quel modo, l'atteggiamento della mamma diventa stranamente mite, mi parla quasi come faceva una volta, mi presta attenzione. Insomma, mi ha preparato da mangiare, non lo fa mai. - M-mamma - dico, con la voce che mi si incrina. È come se per poco tempo tornasse, potessi sentire quasi il suo calore. Desidero che il tempo si fermi e mi lasci questa madre. Per favore.

Mi sorride abbassandosi verso il mio letto. - Hai la febbre, prendi qualcosa dopo aver mangiato - si sta preoccupando per me, anche dopo averle rovinato la vita, anche dopo averla costretta a farla lavorare tantissime ore al giorno e vivere in questo posto orribile. Cosa aveva detto mentre mi colpiva? "Ti ho dato tutto e così mi ripaghi?" Già, ha sacrificato la sua vita per questo figlio nato fuori il matrimonio. Un errore. - Domani vai a scuola - aggiunge prima di allontanarsi da me. Allungo il braccio. Non voglio che vada via, non voglio che questa mamma mi lasci. Nessuna parola mi esce dalla bocca però. - Vado a lavoro.

- B-buon lavoro - le dico approfittando del momento. Mi tiro una manica. Quando all'inizio glielo dicevo col suo primo lavoro, quattro anni fa, lei mi abbracciava e mi augurava buona giornata. Ha smesso di farlo qualche mese dopo, quando è iniziato a diventare stancante. Mi manca da morire un suo abbraccio. È vicina la porta quando gira la faccia verso di me. Posso vedere lo sguardo vitreo che ha di nuovo preso posto sulla sua faccia.

- Non balbettare - la voce di nuovo fredda - lo sai che mi dà fastidio quando lo fai. - Mi faccio piccolo, non le chiedo neanche scusa perché so che lo rifarei. Annuisco appena e lei apre la porta. - Bene.

Quando la sento andare via, riesco a buttare giù la sua zuppa di verdura e funghi che mi ha portato. La cucina di mamma non ha niente a che fare con la mia. È buonissima. Anche un semplice piatto ha tutto un altro sapore. Nonostante mi impegni a cucinare ogni sera, il cibo mi esce sempre bruciato o crudo. A volte però la mamma lo mangia lo stesso. Vorrei mangiarne ancora per approfittare del fatto che abbia cucinato appositamente per me, ma mi sento troppo male per farlo. Mi gira la testa e mi sento bollente. Mi alzo traballante dal letto e mi trascino in cucina. Rovisto nel cassetto dei medicinali e mi prendo un antipiretico. Me ne torno a letto e dopo qualche ora mi sento meglio. Insomma, mi fanno ancora male i muscoli e in particolare il fianco destro, ma sto meglio.

Decido che devo agire ora, prima che ritorni la mamma. Mi cambio di vestiti e indosso una felpa scura. Mi guardo finalmente allo specchio e trasalisco per un attimo al mio riflesso. Ho una guancia gonfissima e l'occhio nero. Nessuna sorpresa che non riuscissi a muovere bene la bocca o vederci completamente con quell'occhio. Mi alzo il cappuccio in testa. La situazione non è migliorata. Cerco di tirarmelo più giù. Se tengo la testa bassa va meglio. Vado in soggiorno, apro la porta principale e sbircio il corridoio del nostro piano. Vuoto. Chiudo lentamente la porta quando esco e mi fermo alla porta accanto alla nostra. Nessuno urla, ma sono sicuro ci sia qualcuno dentro, sento il suono alto della tv accesa. Suono il campanello impacciato. È la prima volta che lo faccio e ho paura di fare un madornale errore. Ci vuole più di un minuto buono perché la signora Hughes venga ad aprirmi alla porta. Ha una sigaretta alla bocca e i ricci arruffati in testa. Mi guarda come se gli avessi rovinato un momento importante, e credo di essermi immaginato i suoi occhi tremare per un secondo alla mia vista.

- B-buonasera, s-signora H-Hughes - sto cercando di balbettare il meno possibile e tenere un aspetto composto, ma ho la testa bassa e tremo leggermente.

- Non voglio guai, ragazzino - mi risponde spegnendo la sigaretta nel portacenere sul tavolino dietro di lei.

- M-mi dispiace disturbarla - non so a chi altro chiedere. Il ragazzo che abita di fronte a noi manca da giorni, ha la buca della posta piena, ma succede spesso, e su questo piano ci sono solo quattro appartamenti, quello in fondo alle scale è vuoto. Se lei mi dirà di no, dovrò andare a chiedere agli altri piani. Non li conosco, e non vorrei farmi vedere conciato in questo modo. Sapendo che almeno la signora Hughes è abituata alle nostre urla come noi alle loro, ho pensato che non mi avrebbe fatto domande e mi avrebbe potuto aiutare.

- Arriva al sodo - dice impaziente. Mi tiro la manica della felpa pensando al discorso che mi ero preparato di dirle.

- H-ha un t-telefono p-per caso? - alzo appena gli occhi per vederla in faccia. Li riabbasso subito. - A-avrei b-bisogno di fare una c-chiamata - mi squadra in silenzio e sento le guance bruciarmi. Sto anche di nuovo iniziando a sudare e non sentirmi bene. - L-la prego.

Crea un varco tra lei e la porta. - Entra - dice con tono infastidito. Non me lo faccio ripetere due volte perché è la mia unica occasione. Mi fermo al centro del soggiorno. L'appartamento è leggermente più grande del nostro, ma molto più disordinato. Puzza di tabacco e ci sono pile di vestiti sporchi in giro e stoviglie da lavare nel lavabo. C'è una cornice con una foto rivolta verso il basso sul tavolo della cucina. La tv è accesa su un programma televisivo, ma la voce è stata abbassata. Aspetto che mi dica cosa fare perché non voglio dargli nessun pretesto perché mi cacci da casa senza prima aver provato a chiamare. La signora Hughes posa la foto in un cassetto tenendola rivolta verso il basso per tutto il tempo e si risiede sul divano. - Allora? Guarda che il telefono è lì - indica con un cenno del capo una vecchia scrivania piena di cianfrusaglie vicino a una parete. Vedo il telefono fisso di casa e mi avvicino cauto. Estraggo il bigliettino su cui Elijah mi ha scritto i numeri di telefoni e li fisso. Conosco i numeri a memoria, ma voglio solo accertarmi che la febbre non mi faccia brutti scherzi e mi confonda. Non compongo subito il numero anche se ho la cornetta vicino l'orecchio. Ho paura di comporre il numero, di parlare con i miei fratelli. Cosa se già mi odiano? Cosa se mi dicono di non disturbarli più? Sento come se fossero l'unica cosa che mi tenga a galla, oltre alla speranza che, in fondo, la mamma mi voglia ancora bene. Faccio un respiro profondo e compongo il numero. Aspetto una risposta con il cuore che mi batte fortissimo.

- Pronto? - è la voce di Elijah, non l'avevo mai sentita da un telefono prima. Apro la bocca per dire qualcosa, ma mi ritornano in mente i colpi dell'altro giorno, i lividi e la voce di Elijah che si alza mentre si arrabbia perché la mamma non li ha mai chiamati. Non era arrabbiato con me, mi ripeto. Ma neanche io li ho mai contattati prima. Potrebbero essere arrabbiati per questo anche con me? - C'è qualcuno? - mi ripete mio fratello, e deglutisco cercando di far scendere il groppo che ho in gola per poter parlare.

- E-Eli - balbetto, la voce che mi esce in un sussurro. Solo per un attimo c'è silenzio dall'altra parte, poi di nuovo sento mio fratello.

- Charlie? Charlie, stai bene? - mi chiede, c'è un po' di ansia nel suo tono.

- Sì - rispondo piatto trattenendomi. Vorrei invece dirgli di no, chiedergli di venirmi a prendere, di poter stare con loro, non mi importa dove. Mi mancano già così tanto. - M-mi dispiace, E-Eli.

Sa che mi riferisco per il cinema perché non mi domanda per che cosa mi stia scusando. - Che è successo? - mi chiede invece.

- S-sono stato m-male - e non è del tutto una bugia. Ho davvero la febbre e i muscoli mi urlano ancora di dolore. - N-non ho potuto c-chiamarti prima - mi sta venendo da piangere e ho paura che si senta dal telefono.

Sento Elijah sospirare, sembra un sospiro di sollievo, ma non ne sono sicuro. - Stai meglio adesso?

- Sì... m-mi dispiace - e questa volta sento la mia voce spezzarsi.

- Ehi, ehi - dice mio fratello - non devi scusarti per nulla, non è colpa tua se ti sei ammalato. - E invece sì, gli vorrei dire. Se fossi stato più attento a dove avevo lasciato il libro, forse mamma non si sarebbe arrabbiata così tanto con me. Se non avessi detto che me l'aveva regalato un amico e me ne fossi rimasto in silenzio, non avrebbe pensato che le mentissi. È colpa mia, perché le mento davvero, come mento ai miei fratelli, e forse anche a me stesso. - Non sono arrabbiato, Charlie - aggiunge, e in qualche modo sa che è proprio quello che volevo sapere, ma che non avevo il coraggio di domandare.

- D-davvero? - chiedo per sicurezza, per capire se non me lo stia dicendo in base alla circostanza.

Lo sento sorridere. - Certo che non lo sono, è solo uno stupido film. Sai invece quanto io e James eravamo in pensiero perché sei sparito improvvisamente e non avevamo più alcuna tua notizia? Eravamo davvero preoccupati.

Abbasso gli occhi, guardo il casino sulla scrivania, ma mi concentro sulle sue parole. - Scusa.

- Ovviamente mi devi promettere che non lo rifarai più altrimenti sì che mi arrabbierò con te, fratellino - lo dice scherzando e mi fa scappare la prima risata da giorni. Me lo fa promettere e lo sento più sereno una volta che glielo dico. - Questo è il tuo numero di casa?

- No, è di una v-vicina, n-non abbiamo il telefono fisso.

- Sei uscito di casa malato? - sembra che stia per rimproverarmi, ma non ho paura se a sgridarmi sono i miei fratelli.

- N-no - cerco subito di dire - è una v-vicina di a-appartamento, sono s-solo uscito sul p-pianerottolo.

- Fila a letto comunque, non ci credo proprio che stai meglio - mi dice, e aspetta qualche secondo prima di aggiungere altro. - Hai bisogno di qualcosa?

Anche se me lo sta chiedendo per la febbre, so che la sua domanda è più profonda. - No - rispondo - adesso sto bene. - Adesso ho di nuovo voi con me, di nuovo la mia famiglia.

- Riprenditi e appena starai meglio vieni al parcheggio, manchi a James e agli altri - non so in che modo potrei mancare a qualcuno. Non ho presenza, balbetto quando parlo e sono noioso. Elijah mi starà dicendo queste cose solo perché è gentile. - E chiama me o James in qualsiasi momento per qualsiasi cosa, Charlie, davvero, per qualsiasi cosa.

- D'accordo - rispondo, è bello avere dei fratelli, anche se non abitiamo più sotto lo stesso tetto. È come se ci fosse un legame invisibile che ci tiene collegati non importa cosa succeda.

Stacco la telefonata e spero che la signora Hughes non mi sgridi per essere stato troppo tempo in chiamata. - Fatto? - mi domanda, sta guardando la televisione, ma mi chiedo se senta qualcosa con il volume ancora così basso. Annuisco.

- P-potrebbe n-non dire a mia m-madre c-che sono stato da lei e c-cosa ho f-fatto? - se lo facesse, mia madre mi chiederebbe chi ho chiamato e potrebbe arrabbiarsi di nuovo come l'altro giorno. Potrei essere di nuovo colpito in quel modo e rinchiuso nello sgabuzzino. Solo il pensiero mi terrorizza, ma era un rischio che dovevo correre. La signora Hughes mi fissa con la sua solita espressione dura, di roccia, che all'inizio mi faceva paura, ma a cui poi mi sono abituato. Non ha mai alzato la voce contro di me per nulla, anche se la sento spesso urlare dal nostro appartamento col marito. Ho capito che le cose che a volte ci sembrano spaventose, come lo era la signora Hughes per me, non lo sono. Ciò che ci fa spesso davvero paura è qualcosa di non concreto. Io, ad esempio, ho sempre paura di essere odiato, dimenticato e non amato. Non voglio pensarci troppo però, perché il mio cervello subito gira e potrebbe farmi rendere conto che queste paure si sono già tutte avverate.

La signora Hughes si alza e si dirige verso il frigorifero, apre lo sportello del congelatore e prende una bistecca. Viene verso di me. - Hai dimenticato della legge di questo condominio? Ognuno si fa i fatti suoi, è così che si campa, che si va avanti. - Mi appoggia la carne sulla guancia gonfia e l'occhio nero. Trasalisco al contatto che mi fa subito pulsare la faccia. - Inoltre, non mi interessa cosa nascondi a tua madre o con chi ti telefoni - sta dicendo che non dirà nulla a mia madre, e ne sono davvero grato.

- E-era mio fratello, ho c-cercato lui e l'altro mio fratello da q-quando ci siamo trasferiti - è la prima volta che lo confesso a qualcuno.

- Te l'ho già detto - la voce di Gloria Hughes è roca e profonda, probabilmente a causa del fumo - non mi interessa.

- Ma m-mamma non vuole c-che stia con loro - continuo tenendomi la carne sulla faccia mentre lei ritorna sul divano - e n-non so il perché.

- Non mi interessa, ragazzino - continua - non mi interessa neanche che nascondi questo a tua madre per continuare a fare quello che vuoi fare.

- Io voglio vederli - la vista mi si offusca, mi sento accaldato e stanchissimo improvvisamente.

- E a chi importa? - cambia canale e alza il volume. - A nessuno dovrebbe importare. - Capisco che vuole che me ne vada, e anche se le avrò dato fastidio, è stato bello parlare con qualcuno oltre la mamma in questi giorni. Ho parlato anche con mio fratello, e sapere che non mi odia mi riempie di sollievo.

- La carne, s-signora Hughes - gliela porgo perché devo ritornare di là.

- L'ho data a te, era in frigo da mesi perché non è quella che piace a mio marito. Se non la vuoi usare per quell'occhio, mangiala o buttala, non mi interessa. - Me la rimetto in faccia, se potrà sgonfiare il livido più velocemente sarebbe grandioso, così potrò vedere prima i miei fratelli.

- L-la ringrazio, s-signora Hughes - lei fa un gesto con la mano come per mandarmi via e quando sono ormai nel mio appartamento mi accorgo che in tasca non ho più il bigliettino con i numeri di telefono dei miei fratelli. L'ho dimenticato sulla scrivania della signora Hughes, ma non voglio andare di là e darle ancora fastidio. Inoltre, forse è meglio così. Non posso più portarmelo dietro, se mamma lo vedesse per sbaglio e componesse i numeri, scoprirebbe che sono in contatto con i miei fratelli, e la voce di lei che mi dice di non farlo, che sto rovinando tutto mi rimbomba nelle orecchie. La signora Hughes lo butterà semplicemente vedendolo. Ritorno nella mia camera, apro il cassetto del comodino e tiro fuori il libro che mi ha regalato Elijah. L'ho cercato il giorno dopo che sono uscito dallo sgabuzzino. Mamma lo aveva buttato nel cestino. Da allora l'ho nascosto e mi assicuro sempre di tenerlo sotto altri quaderni in fondo all'ultimo cassetto accanto al letto. Lei non entra mai in camera mia e spero che dimentichi semplicemente che esista questo libro. Lo sfoglio, riprendo da dove mi ero fermato e lascio che la vita di quella storia diventi la mia.

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