Missing Brother [Completa]

By Toffee_Lin

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Dopo essere stato separato per quattro anni dai suoi fratelli, Charlie ha la possibilità di riavvicinarsi a l... More

1 - Charlie
2 - Charlie
3 - Elijah
5 - James
6 - Charlie
7 - Elijah
8 - Charlie
9 - Charlie
10 - James
11 - Charlie
12 - Charlie
13 - Elijah
14 - Charlie
15 - James
16 - Charlie
17 - Charlie
18 - James
19 - Elijah
20 - Charlie
21 - James
22 - Charlie
23 - Elijah
24 - Charlie
25 - Charlie
26 - James
27 - Charlie
28 - Charlie
29 - Elijah
30 - James
31 - Elijah
32 - James
33 - Elijah
34 - Charlie
35 - James
36 - Charlie
37 - Elijah
38 - Charlie
39 - Charlie
40 - James
41 - Charlie
42 - Elijah
43 - Charlie
PARTE 2
44 - Charlie
45 - James
46 - Charlie
47 - Charlie
48 - Elijah
49 - Charlie
50 - Charlie
51 - James
52 - Charlie
53 - Elijah
54 - Charlie
55 - Charlie
56 - James
57 - Charlie
58 - Elijah
59 - Charlie
60 - Charlie
61 - James
62 - Charlie
63 - Elijah
64 - James
65 - Charlie
66 - Charlie
67 - Elijah
68 - James
69 - Charlie
70 - Charlie
71 - Elijah
72 - Charlie
73 - Charlie
74 - James
Epilogo - Charlie
Extra - Jefferson Russo

4 - Charlie

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By Toffee_Lin

Arrivo a casa sudato, ho mille pensieri che mi affollano in testa, ma ciò che mi rende così elettrizzato è la gioia che provo nel aver passato del tempo con i miei fratelli e sapere che loro non mi odino, o almeno così non sembrava. James mi ha chiesto esplicitamente di vederci domani, e io non vedo l'ora che lo sia già. È stato il pomeriggio più bello da non so quanto. E non solo ho fatto qualcosa di diverso da ciò che faccio ogni giorno, ma ho parlato con qualcuno, e quel qualcuno erano le persone più importanti della mia vita. Non hanno idea di quanto mi siano mancate, di quanto abbia fantasticato per anni del momento in cui ci saremmo rivisti e...

Mi accascio strisciando sulla porta di casa e parto con i singhiozzi. Diventano sempre più forti mentre le lacrime iniziano a rigarmi copiose il viso. Sono già così triste perché ci siamo dovuti separare. Mi è bastato un pomeriggio per rendermi così avaro. Voglio stare con loro, tornare a casa con loro, condividere la stanza che avevamo da piccoli, voglio sentirmi di nuovo loro fratello. Piango fino a quando non mi si esauriscono tutte le lacrime e rimango esausto, spento a terra in quella casa vuota e buia. Non è silenziosa perché i vicini litigano di nuovo. Guardo con aria assente il muro da cui dietro arrivano le urla e con la mente ormai sgombra mi alzo. Mi lavo, ordino casa, preparo la cena e vado a letto. Quando sento la porta di casa aprirsi, dopo ore in cui la mia mente ha continuato a riportarmi in quel locale, rimango a guardare l'oscurità fino a quando non sento il rumore della porta della sua stanza da letto aprirsi. Chiudo gli occhi e cerco di addormentarmi.

Il giorno dopo sono appostato di nuovo come un ladro a sbirciare dal muretto per guardare i miei fratelli quando usciranno nel parcheggio. Sono arrivato qui così in fretta che l'ultima campanella della loro scuola deve ancora suonare. Sono senza fiato ma anche eccitato. Mi parleranno ancora oggi? Staremo ancora insieme? Campanella e poi un mare di ragazzi che iniziano a sciamare in ogni direzione. Passa poco perché io veda i miei fratelli e i loro amici uscire nel parcheggio. Elijah saltella gli ultimi gradini e inizia a guardarsi attorno impaziente. Anche James ha lo sguardo alzato come se fosse in allerta. Questa volta reprimo l'impulso di nascondermi quando i loro occhi mi puntano. Elijah mi sorride alzando un braccio. - Charlie, qui!

Prendo un enorme respiro e mi avvicino con lo sguardo basso e le guance in fiamme. I loro amici mi stanno osservando da cima a fondo. Mi fermo giusto appena dietro i miei fratelli. Ora che ci penso, cosa sto facendo qui? Di cosa dobbiamo parlare? Non gli sto dando fastidio? Insomma, chi vuol essere importunato dal loro fratellino fuori scuola? Elijah mi passa una mano nei capelli. - Per un attimo ho pensato di essersi sognato tutto ieri, sono contento che sia vero.

Lo guardo in faccia e sembra dire la verità. Per un attimo ho voglia di nuovo di piangere e abbracciarlo, perché anche io ieri non volevo addormentarmi per paura di svegliarmi e scoprire che era tutto un sogno. - Sei stato bene, Charlie? - mi domanda James e io annuisco. Non posso dire che ieri è stato il giorno più bello della mia vita. Ritrovarmi insieme a loro dopo essere sempre solo è stato per me come un sogno.

- Charlie - il ragazzo dai capelli rossi nel gruppo mi si avvicina e d'istinto faccio un passo indietro. Di solito le persone che mi prestano attenzione vogliono solamente denigrarmi, urlarmi o colpirmi - ti ricordi di me? - Mi sorride fermandosi, forse percependo la mia ansia, e io lo esamino. È vestito con capi che sembrano costosi e ha una mini cicatrice sotto il mento. Ma sono sicuro che se la sia fatta quella volta cadendo dalla bicicletta provando a rincorrere James quando eravamo piccoli.

- B-Benni - balbetto.

C'è uno scoppio di risate, anche i miei fratelli ridono. Il rosso scuote la testa senza togliersi un sorriso dalla faccia. - Mi ero dimenticato della tua fissa nel volermi chiamare in quel modo.

Oh, giusto. In realtà quello era un soprannome che gli avevo dato io, ma nessuno lo chiamava mai così. Arrossisco, devo averlo imbarazzato davanti ai suoi amici. - B-Ben - cerco di rimediare.

- Chiamami come vuoi - è gentile come lo ricordavo - sono contento che ti ricordi di me dopo tutti questi anni. - Ovvio che lo ricordi, ho sempre cercato di rivivere nella mia mente i bei momenti di infanzia quando mi sentivo troppo triste o solo. Erano l'unica cosa su cui potermi aggrappare, nonostante fossero così belli e dolorosi allo stesso tempo.

- James - dice l'armadio a due ante che ieri mi ha spaventato tantissimo. È seduto a terra, ma la sua stazza è imponente comunque - fai le presentazioni?

Mio fratello mi si avvicina poggiando una mano sulla mia spalla. - Come vi ho accennato prima, lui è Charlie, nostro fratello. - Mi presenta poi a sua volta i suoi amici. Oltre Benjamin, che già conoscevo, mi indica l'armadio che si chiama Donald, ma aggiunge che lo chiamano tutti piccolo Donny per ovvie ragioni e gioca con lui a basket. La ragazza dai capelli blu, fucsia e rosa è sua sorella minore Chloe. C'è un ragazzo con gli occhiali da sole seduto sull'auto a fumare. Mi guarda senza cambiare espressione. - Beh - dice James - lui è Zack.

- Zack è solo Zack - aggiunge Benjamin.

La ragazza del gruppo alza gli occhi dal cellulare. - Allora, piccolo stalker - le mie guance vanno a fuoco, hanno ragione a chiamarmi così - quanti anni hai?

Mi guardo le punte delle scarpe. Sono rovinate e mi vanno un po' strette. - D-dodici.

La ragazza mi sorride. - Piccolo.

- Lo so - Elijah mi butta le braccia sulle spalle - il nostro fratellino è piccolo e adorabile, non è vero?

- Mi sorprende che tu non ne abbia mai parlato - dice Zack tenendo la sigaretta tra le dita - conoscendoti ti saresti dovuto vantare fino alla nausea di tuo fratello.

Chloe ride. - Vero, mi ricordo di quando continuavi a sbatterci in faccia una A presa in chimica.

- Che avevi copiato da me - aggiunge Zack - che a mia volta avevo copiato da Truck.

- Ah, smettetela - si sposta Elijah - lo sto facendo ora.

E, non voglio, ma il mio cervello inizia a farsi delle domande. Benjamin è l'unico che non dice niente perché immagino sappia la situazione essendo un amico di infanzia, ma gli altri sembrano all'oscuro di tutto. I miei fratelli hanno evitato di parlare di me perché era un fastidio? Si erano dimenticati? Perché disturbarsi nel parlare di qualcuno che ha diviso la tua famiglia ed è scomparso dalla tua vita senza una parola. Forse sono solo gentili e lo sono anche ora. Mi tiro la manica della felpa. Ho combinato un casino probabilmente. Forse si aspettavano che non venissi. Mi inizio a mangiare un'unghia.

- Ok, scusatemi - non capisco l'atmosfera che aleggia nel gruppo. Sul viso di Chloe si legge una strana espressione mentre guarda James e Benjamin e si dirige verso suo fratello. - Donny, andiamo, ho un impegno a casa.

L'armadio si alza sospirando. - Le serie tv non sono un impegno.

Chloe scuote la testa. - Cosa mi tocca sentire da uno che ha in testa solo il basket - mi salutano tutti allegramente e vanno via. Nel parcheggio rimaniamo solo io e i miei fratelli, e mi chiedo se non sia di troppo e dovrei andarmene. Elijah propone di andare di nuovo al Jelly, il locale di ieri, ma James dice che vuole approfittare del fatto che tra poco inizia il suo turno per farmi vedere dove lavora.

- Ci offri una pizza, allora? - chiede Elijah mentre sale in auto e io li imito un po' impacciato.

- A Charlie, sì, tu questa volta metterai la tua mano taccagna nel portafogli.

Elijah fa il finto offeso. - Dov'è tutto il tuo amore fraterno?

James esce dal parcheggio. - Con te si è esaurito insieme alla mia pazienza.

- Vedi, Charlie? - Elijah si volta dal sedile anteriore. - Questo è il tuo avaro fratello. - Mi porto le mani davanti la bocca e cerco di trattenere una risata. È come quando eravamo piccoli. Anche allora ci si punzecchiava in questo modo o si litigava per un nonnulla. Mi sembra essere tornato indietro nel tempo. L'espressione di Elijah si rilassa leggermente e non smette di fissarmi. Mi chiedo se abbia da ridire sul mio aspetto. Loro sono fighi e sicuramente sono strapopolari a scuola visto che sembrano tutti conoscerli. Io al loro fianco sono mingherlino, devo sempre spostare i capelli che mi coprono gli occhi e ho degli abiti troppo leggeri per questa stagione, per non parlare del fatto che sono dell'anno scorso.

- Charlie - vedo James dare un colpetto al ginocchio di Elijah e lo vedo guardarmi dallo specchietto retrovisore - com'è andata a scuola? - Beh, oggi Jeff era assente quindi nessuno mi ha dato fastidio, ma è anche vero che visto che lui non c'era, nessuno mi ha dato a parlare. Sono invisibile a chiunque, perfino agli insegnanti. E per quanto la cosa mi dia sollevo perché non dovrò preoccuparmi di come parlo o come appaio davanti agli altri, questo mi provoca un vuoto che non so spiegare.

- B-bene - non c'è davvero nulla da dire, così mi concentro su loro - h-hai avuto gli allenamenti?

Vedo James annuire. - Ci alleniamo la mattina e nei fine settimana, è dura, ma mi diverte anche. - A James è sempre piaciuto il basket, e sono contento di vederlo ancora così preso. Arriviamo in una pizzeria dall'insegna rossa e gialla, il parcheggio è piccolo e anche il locale. All'interno però è carino e accogliente. C'è un bancone in fondo accanto alla parete, e James dice che deve iniziare il turno. Aggiunge anche di accomodarci perché tra poco verrà a prendere i nostri ordini, e sparisce nel retro. Io ed Elijah ci sediamo a un tavolo accanto una finestra, e mio fratello mi dice che la pizza è abbastanza commestibile. Non ne mangio una da un bel po'. Ogni tanto mamma torna dal lavoro con qualche cartone di pizza e mi lascia sul tavolo qualche pezzo avanzato. Non dice nulla se la finisco, ora so di più distinguere cosa la infastidisce di ciò che faccio.

- N-non voglio approfittare - dico a Elijah a occhi bassi. Ieri mi hanno offerto il panino in quel locale e oggi James ha detto che avrebbe pagato per me la pizza - n-non ho soldi.

Elijah mi guarda per qualche secondo come se la mia frase lo avesse spiazzato e poi mi sorride. - Te lo sei dimenticato che siamo fratelli? Dov'è il piccolo Charlie che implorava me e James dopo scuola di comprargli sempre qualche dolce da mangiare? - Fratelli. Ha davvero usato quella parola e io non so come interpretarla. Per me sono i miei fratelli, lo sono sempre stati, ma anche per loro è così allora? Insomma, come mi comportavo da piccolo era prima di scoprire chi ero veramente. E per un momento mi assale un dubbio terribile. Ho sempre dato per scontato che loro sapessero la verità, ma cosa se papà li avesse tenuti all'oscuro? Non glielo avesse detto?

Deglutisco e lo guardo un po' in ansia. - E-Eli, m-ma io... - sto balbettando troppo e nella mia testa girano pensieri e domande. Posso dirglielo qui? In questo momento? Posso avere io il diritto di farlo?

Sento mio fratello irrigidirsi. - Charlie - lo guardo, è serissimo - tu sei nostro fratello. - E non so come, ma capisco che lo sa, sa tutto. Non riesco però a capacitarmi di come non sia arrabbiato con me, come non mi odi o mi incolpi come fa la mamma. Forse finge di non importarsene, ma queste parole per il momento mi rassicurano, e la parte egoista che c'è in me mi dice che posso approfittarne e comportarmi di più come quando eravamo fratelli e tutto non fosse così diverso. Tiro su col naso e inizio a piangere. È imbarazzante, così cerco di asciugarmi le lacrime, ma continuano a uscire ed è difficile fermarle. Prendo un fazzoletto che Elijah mi passa e mi accorgo di come abbia di nuovo una faccia corrugata, come se si stesse trattenendo. Sarà arrabbiato con me perché sto facendo una scenata, ma in questo momento non ce la faccio neanche a parlare per chiedergli scusa.

- Eli - James è accanto a noi, neanche me ne ero accorto fino a quando non ha preso posto accanto a me - che hai fatto?

L'espressione seria di Elijah sparisce e ricompare un sorriso, ma mi accorgo che ha gli occhi umidi. - Rassicuravo solo il nostro fratellino.

- M-mi dispiace - dico con le guance rosse e il naso che gocciola. Ho per caso rovinato tutto?

James mi fionda una mano in testa. - Smettila di piangere - dice, e mi ricordo che a James non è mai piaciuto vederci piangere. Cercava sempre di fare qualcosa da piccoli per fare me ed Elijah smettere. Mi passo il fazzoletto sugli occhi e gli annuisco. - Charlie, so che non ne vuoi parlare, ma prima o poi dovremmo affrontare l'argomento - mi esamina James.

- Q-quale? - mi preoccupo, cosa intende? Cosa devo dirgli, cosa vogliono sentire?

I miei fratelli si scambiano un'occhiata e in quel momento arriva una cameriera carina di circa l'età dei miei fratelli. Sembra avere l'aria allegra. - Signore, lei ha sbagliato ruolo, è il cameriere, non il cliente - dice rivolta a mio fratello.

- Ho avuto il permesso dal signor Portland di poter cenare con i miei fratelli stasera, Abbey - le risponde James.

Lei ci scruta con occhi indagatori e poi fa scattare una penna dalla mano. - Cosa vi porto?

Mi accorgo che mi guardano tutti e mi affretto a rispondere. - M-mi va bene q-qualsiasi cosa.

- Ti piace ancora la pizza con le patatine? - mi chiede James e io annuisco. - Allora una grande con patatine, funghi e pomodori. - Abbey chiede cosa vogliamo da bere e James prende una pepsi a me e a lui, e una fanta a Elijah. Elijah guarda il cellulare quando gli arriva un messaggio e James non dice più quello di cui voleva parlare prima. Io non so cosa dire. Di cosa parlavo con i miei fratelli quando eravamo piccoli e passavamo ogni giorno insieme? Forse non tornerà mai nulla come prima.

Poi arriva la pizza e succede qualcosa di strano. Elijah e James iniziano a ricordare qualcosa di quando eravamo piccoli, e anche io me lo ricordo e dico qualcosa. Assaggio la pizza ed è buonissima, molto più buona di quanto Elijah abbia detto prima e ne mangio un sacco. Poi mi raccontano dell'ultima partita in cui James si è fatto male a un braccio e ha fatto finta di niente per il resto della partita. Mi preoccupo e gli chiedo come sta, ma lui mi mostra le mani e fa finta di tirare pugni all'aria. Alla grande, dice, e mi trovo anche io a parlare del più e del meno. Come del film visto qualche anno fa al cinema che era un sequel che speravamo uscisse, o che una volta, in New Mexico, provai a giocare a calcio con alcuni ragazzini del posto e, anche se perdemmo, io fui l'unico a fare quell'unico gol. I miei fratelli mi riempiono di complimenti. Non dico però che mi chiesero di giocare per loro ancora, che per un po' lo feci e avevo tanti amici, ma che poi mamma mi disse di non giocare più con loro, che non voleva, e io la ascoltai e in poco tempo persi tutti i contatti. Mi concentro invece sul fatto che posso parlare con i miei fratelli, che riesco a farlo ancora come una volta! E mi accorgo di riuscirci meglio quando non ci penso, quando tutto diventa automatico.

- Quindi siete stati in New Mexico? - mi chiede Elijah e non riesco a decifrare l'espressione sua e di James. Loro non sapevano neanche dove eravamo io e la mamma. Mi è scappato a me di dirlo per sbaglio. Per loro noi eravamo spariti nel nulla.

Annuisco. - C-ci siamo andati p-poco dopo... - non finisco la frase, ma loro capiscono comunque - e-e siamo t-tornati l'anno scorso.

- Perché siete andati in New Mexico? Non abbiamo parenti lì - mi chiede James.

Mi tiro una manica a disagio. Posso dirglielo? Vedo che aspettano che io parli, sono pazienti. Poi mi ricordo che sono i miei fratelli e che tra noi non c'era mai nessun segreto. - M-mamma voleva c-contattare il mio v-vero padre - voleva lasciarmi a lui, ma neanche questa parte dico.

James sospira portandosi una mano in testa. Sembra frustrato per qualcosa, ma la loro non è una reazione di shock. Sanno realmente tutto. - Siete stati con lui?

Scuoto la testa. - Lui n-non ci voleva, a-aveva una ragazza e h-ha detto a mamma di a-andare via.

- Eri con lei quando è successo? - mi chiede ancora James, e io annuisco.

Ricordo quando mamma mi aveva spinto verso la porta di quel minuscolo appartamento in un quartiere poco raccomandabile. "È tuo figlio" aveva urlato all'uomo dall'altra parte della porta "come può non importartene!?"

"Neanche a te importa molto se sei venuta qui a scaricarmelo!"

"Devo tornare dai miei figli, farmi perdonare da mio marito! Tu devi fare almeno questo per me"

"Non ho mai chiesto e voluto niente, Yvonne, e noi avevamo fatto un patto"

Non capii la loro conversazione, ma mi colpii il fatto che quell'uomo non mi guardò neanche una volta. Io invece lo esaminai come si deve. Aveva i capelli biondi, più biondi di quelli della mamma, che si appoggiano su un castano come quelli di Elijah. Aveva la mia stessa forma del naso e gli occhi grandi. Avevo sempre creduto di aver preso dalla mamma, con solo i capelli più chiari del dovuto, perché alla fine anche gli occhi verdi li ho come mamma e James, ma mi sbagliavo. Ero come quell'uomo. Uguale. Una copia sputata, se non fosse stato per il colore degli occhi.

"Vai via" aveva sibilato a denti stretti prima di chiuderci la porta in faccia. La mamma pianse per giorni. Non aveva molti soldi rimasti per via del lungo viaggio, e dovemmo affittare una stanza di un motel per una settimana prima che la mamma vendesse l'auto, trovasse un buco di stanza come appartamento e un lavoro come cassiera in un piccolo supermercato. Non aveva mai lavorato prima d'ora, ma all'epoca mi disse che ce la saremmo cavata comunque, che sarebbe andato tutto bene.

- M-mamma ha trovato lavoro lì - spiego - ma q-quando l'ha p-perso s-siamo tornati qua. H-ha detto che una sua v-vecchia amica p-poteva aiutarla a t-trovare un p-posto dove lavorava, e c-così è stato.

- Dove lavora la mamma? - mi chiede James.

- F-fa la cameriera, m-ma non so dove.

James annuisce come se fosse d'accordo, o come se stesse cercando di scacciare via qualche pensiero dalla testa. - Dev'essere stata dura per te, Charlie. - Più di quanto immaginate, vorrei dire, ma di nuovo non lo faccio. Sorrido ai miei fratelli. Per quanto sia stato tutto difficile, se ciò mi ha portato a stare di nuovo con loro, ne è valsa la pena.

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