La Nuova Generazione // I più...

By Philo_Sophia08

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Crossover Percy Jackson/ La Ragazza Drago/ Il Mondo Emerso ATTENZIONE: CI SARANNO SPOILER SU TUTTE E TRE LE S... More

La Nuova Generazione: Descrizione
Parte 1. Lo Scorso Portale
Strani Istinti Di Battaglia ~ Percy
Una Nuova Spada ~ Sofia
Se Scappare Non Serve ~ Asley
NON È UN CAPITOLO
Occhi Verdi, Capelli Rossi ~ Fabio
Fulmini A Ciel Sereno ~ Annabeth
Il Vecchio Del Monte ~ Gym
Parte 2. La Nuova Notte
Guidare ~ prof Schlafen
Tsunami ~ Piper
Tempo Di Luce ~ Nico
Lo Scambio Di Anime ~ Leo
L'Erede ~ Fabio
L'Erede, Parte 2 ~ Fabio
A Un Passo Dalla Fine ~ Frazel
La Figlia Di Atena ~ Karl
Corpo Di Bronzo, Mente Di Vetro ~ Percy
Marea Nera ~ Will

Chi Qui Si È Allenato ~ Percy

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By Philo_Sophia08

- Aspetta. In che senso “mi ha buttato dalla finestra”? -
- Quanti sensi possono esserci? –

Fissai il mio patrigno con la bocca aperta, ma non parlai. Dopotutto, ero sicuro che la domanda si leggesse benissimo sia negli occhi di mia madre che nei miei. E poi, era abbastanza scontata. Eppure, la risposta non arrivava. L’unica risposta che ottenni fu un sorriso che si allargava sul volto di Paul, Fabio o come lo si volesse chiamare, dal quale capii che per una volta si stava divertendo lui a tenermi sulle spine. Io lo facevo spesso, quando gli raccontavo le mie avventure, e mi resi conto che stava tirando fuori un’espressione che intuii molto simile alla mia, da… come diceva sempre Annabeth? Piantagrane. Già, un’espressione che sul volto di Paul, il pacato professore di latino, stonava, e non poco. Ma chissà, forse per quel “Fabio” era normale.

Non ci avevo messo tanto a rendermi conto di quanto i miei genitori avessero cambiato atteggiamento da dopo l’incontro nel parco, il giorno prima. Essendo stato via per otto mesi, avrei potuto giustificarli dicendomi che erano cambiati nel tempo, tra l’ansia e tutto. Ma la verità era che un cambiamento del genere non avveniva in otto mesi. La verità era che io non avevo mai conosciuto davvero quelle due persone sedute affianco a me nello stravagante salotto della stravagante villa, che loro chiamavano casa. La verità era che quella che avevano tenuto davanti a me era stata sempre e solo una maschera, e che ora che stavano tirando fuori i veri caratteri cominciavo a chiedermi come avessi fatto a non notarlo in precedenza.

Quando li avevo visti per la prima volta nelle vesti i “Sofia” e “Fabio”, avevo avuto una sensazione di de-ja vù quasi immediata, anche se non avrei saputo dire il perché. Non riuscivo a capire in che occasione avessi già visto quegli sguardi sui volti dei miei genitori, eppure ero sicuro che fosse già successo. Sentivo la rabbia e lo sconcerto premere contro lo sterno, sentivo che la sensazione di sconforto che avevo provato quando mia madre mi aveva raccontato tutta quella storia assurda era tutt’altro che svanita, si era anzi amplificata, accompagnata dalla furia. Ma sapevo che non potevo prendermela con lei, con loro, perché in effetti non avevano fatto nulla di male. Ci avevo messo un po’ a capirlo, ma tutto sommato, da come la mamma mi aveva messo la storia, io non sarei comunque dovuto rimanere coinvolto in nessun modo. Infatti, ero più arrabbiato con le Parche, che avevano invece deciso di coinvolgermi per l’ennesima volta, che con i miei genitori per la loro decisone di tenermi tutto nascosto. Sapevo cosa significasse soffrire, e non biasimavo i miei per aver scelto di seppellire tutto nella fossa e ricominciare. Un po’ li avevo perfino invidiati, perché io non avevo mai avuto questa possibilità, visto che il mio mondo, ne ero consapevole, non sarebbe mai sparito. O almeno, lo speravo, perché ciò avrebbe probabilmente portato alla distruzione del mondo in generale. Io non avrei mai avuto la possibilità di cancellare dalla storia una costellazione, o “il sole e le stelle”. Nello sguardo di Nico Di Angelo, per quanti anni e avventure potessero passare, avrei sempre scorto quella lieve traccia di risentimento. Le foto dei caduti nelle due guerre sarebbero sempre state nella Casa Grande. E gli Dei, oh, loro sì che ci sarebbero stati per sempre, essendo la definizione stessa di “immortale”, lì sull’Olimpo pronti a cacciarmi nei loro guai.

Io avrei sempre avuto qualcosa che mi avrebbe ricordato da dove venivo e quanto difficile fosse la mia vita: il mio sangue, i miei occhi, i mostri. Era un dato di fatto, con cui avevo sempre convissuto fino a quel momento, dandolo per scontato.

E invece, stando a sentire quella storia assurda, avevo cominciato a dubitare che fosse così scontato. I miei genitori, loro e quegli altri amici con cui avevano condiviso l’avventura, avevano avuto la possibilità di dimenticare tutto e ricominciare da zero. Di fingere che la loro fosse una vita normale, almeno fin che non ero arrivato io…

Cercai di non pensare a questo. In un momento di collera, prima, avevo fatto a mia madre un’osservazione che preferivo non ricordare, perché mi rammentava anche di quanto la rabbia mi avesse reso cieco e idiota.

Negli ultimi due giorni avevo sperimentato benissimo questo effetto rabbia-idiozia. Ne avevo avuto un esempio netto, di cui mi ero reso conto troppo tardi. E in quel momento particolare, mentre aspettavo che Paul mi dicesse come accidenti avesse fatto a sopravvivere al volo dal quinto piano, mi stavo rendendo conto con una certezza spietata di quanto questo “effetto” avesse fatto danno: avevo messo in pericolo la vita di quello che ormai consideravo un padre per uno scatto di rabbia.

Non rimasi sorpreso quando papà entrò in salotto dalla finestra trasportato dalla statua di George Washington. Dopotutto, avevo visto cose ben più strane nella mia vita.

Ma devo dire che qualche domandina me la feci. Ad esempio cosa ci fosse nel bacon che avevo mangiato a colazione. Poi mi ricordai che mi chiamavo Percy Jackson, e che quella era la mia normalità.

Tuttavia, non potei fare a meno di accigliarmi. – Ciao papà, ehm… nuovo mezzo di trasporto? –

Lui si grattò la testa e sorrise. – Già, ho trovato questa statua che vagava per il mio dominio – scossi leggermente la testa quando parlò di “dominio” – in cerca di non so cosa (ma doveva essere qualcosa che volava, perché guardava sempre per aria) e ho deciso di farmela aggiustare da Efesto e trasformarla in un aiutante per… -

- Sì, sì, ok. Guarda, sinceramente non voglio neanche saperlo. Insomma, a quale nuova catastrofe devo la tua presenza? – ormai mi ero rassegnato che ogni visita di mio padre apparentemente gratuita dovesse essere seguita da una qualche terribile notizia. Non ero semplicemente arrabbiato, ero furioso, ma cercavo di nascondermi dietro il sarcasmo per non peggiorare la situazione già precaria di suo.

E per fortuna, mio padre era uno che non se la prendeva facilmente per il sarcasmo. Su questo, e su alcuni altri dettagli, dovevo dire che era uno dei migliori genitori divini che potessi avere. Conoscendo gli altri…

Eppure, un po’ la sua espressione parve indurirsi, anche se intuivo che serbava più dispiacere che rancore. – Ma come, un padre non può semplicemente far visita a suo figlio il giorno prima del suo compleanno per puro piacere? –
- No. – forse ero stato troppo diretto, ma non m’importava. Contavo di risolverla in fretta, anche se ad essere realisti ci speravo poco, per tornare alla conversazione coi miei genitori. Rifilai loro un’occhiata di sbieco: mia madre guardava mio padre, con un misto di paura, nostalgia e apprensione sul volto, ma si intuiva anche lo stato di confusione, così come lo sconforto lasciato dalla conversazione interrotta. Col senno di poi, mi rendevo conto che pareva davvero disperata, quasi terrorizzata all’idea di parlarmi del suo mondo, per lei così carico di dolore, e all’idea che anch’io avrei potuto entrare a farne parte. In quel momento, però, ero troppo sconcertato per accorgermene.

Paul aveva la solita espressione confusa mista a noncuranza ed eccitazione che gli si dipingeva sul viso quando vedeva qualcosa di soprannaturale. Ultimamente era diventato abbastanza bravo ad eludere la Foschia (con un angolino di coscienza, cominciai a sospettare che fosse perché non era la prima volta che si ritrovava immischiato in affari soprannaturali; sicuramente, dopotutto, qualsiasi cosa mi stessero nascondendo i miei non era roba normale), soprattutto se qualcuno gli spiegava cosa stesse accadendo in realtà. Tuttavia, quello sguardo in parte eccitato e in parte indifferente si riaffacciava ogni volta, e mi era sempre sembrato non da lui…

Lo osservai meglio, e finalmente capii a cosa era dovuta quella sensazione di de-ja vù. Quella espressione “non da Paul” che sembrava essersi piantata sul suo volto, come a fare da sfondo a tutte le altre, era la stessa che si presentava quando si trovava davanti eventi soprannaturali. In particolare, capii che gliel’avevo già vista durante la Battaglia di Manhattan: sospettai che fosse l’idea stessa di riprendere in mano un’arma (anche se non si trattava di una lancia), o più in generale l’idea stessa di partecipare di nuovo a qualcosa di "anormale" a far riemergere il suo lato “da Fabio”, per così dire. E lo stesso doveva accadere alla mamma. Eppure, continuavano a lasciarmi entrambi parecchio stupito. Il cambiamento era evidente.

Era come se i loro sguardi si fossero invertiti. Quello di Paul pareva diventato fuoco vivo, attaccabrighe, canzonatorio e pronto a sfidare tutto e tutti, in particolare l’autorità, come me o forse perfino peggio (e ce ne voleva).

La mamma, invece, era cambiata all’inverso. Il fuoco che animava costantemente il suo sguardo, quel fuoco che urlava “ce la posso fare da sola contro qualsiasi cosa”, quel fuoco che a dodici anni mi aveva convinto a lasciare che se la cavasse lei con Gabe e che ero sicuro l’avesse aiutata a superare la sua infanzia difficile (e, scoprivo ora, falsa) pareva essersi temporaneamente dissipato; era stato sostituito da una dolcezza che in realtà avevo sempre associato a lei, ma senza davvero avere la possibilità di leggergliela nello sguardo. Lo si capiva dai gesti e dalle parole, ma dagli occhi no. O almeno, non fin che non si era tolta le lenti a contatto.

Vedere la mamma dopo la caduta della maschera era stato uno shock. Era successo appena eravamo arrivati alla Villa: mi aveva detto che, visto che ormai il passato aveva abbattuto il muro, tanto valeva aprirgli del tutto la porta e non lasciare più barriere, ed era corsa in bagno. Dieci minuti dopo dalla porta era uscita quella che a prima vista avevo preso per un'altra persona, ma che, non ci avevo messo molto a rendermi conto, in realtà era sempre mia madre, e appariva più spontanea di quanto non fosse mai stata.

Eppure il colpo iniziale era stato lo stesso abbastanza forte: gli occhi verdi e i capelli rossi (mi aveva rivelato dopo che in realtà era da tempo che usava un colorante non permanente, intenzionata a dirmi e a dirsi la verità, ma non aveva ancora avuto il coraggio) me l’avevano fatta apparire alinea, e così dovevo averla guardata. La sua espressione si era subito rattristata e aveva abbassato lo sguardo, ma, come ho già detto, al momento la rabbia non mi permetteva di ragionare, e così me n’ero andato senza dire una parola…
- E poi niente, sono atterrato sul morbido. –

Riscosso dai miei pensieri, mi voltai verso Paul, improvvisamente di nuovo curioso.
Lui fece spallucce. – Insomma, la tua cagnolona è molto morbida. Il tuo amico tutto in nero invece è molto inquietante. –

Se ci fosse stata Annabeth, avrebbe detto “si possono sentire le tue rotelle da Testa D’Alghe che girano”. Fissai Paul per qualche istante, cercando di carpire le informazioni che avevo per capire con la mia arguzia il modo giusto di incastrare gli eventi e…
Ci rinunciai. Forse avevo davvero le alghe in testa. – Che? -

- Il tuo cane è comparso per strada con quel ragazzo (Nico, mi pare) sulla groppa, e io ci sono finito proprio sopra. Dopo l’impatto ero un po’ dolorante, ma la tua cagnolona XXL è davvero morbida.
Annuii. – Tutto chiaro. – dissi. Lo guardai per qualche istante. – Aspetta… cosa? Che Stige ci facevano Nico e la Sig. O’Leary sotto casa nostra? –

- A quanto pareva erano venuti a prendere te e Annabeth. Non ci ho capito molto di quello che si sono detti, ma il ragazzo dark ha accennato a una “convocazione urgente” e a una “profezia” – rispose facendo le virgolette con le dita. – Quando ha nominato quella, la tua ragazza ha reagito “buttandosi giù dal quinto piano”, “atterrando senza un graffio” e “prendendo quasi a schiaffi Nico per la frustrazione”. Poi sono spariti lasciandomi per strada a cercare di capirci qualcosa. – il fatto che avesse accompagnato il tutto con delle virgolette non contribuì affatto a diminuire la tensione. Mi fece venire solo voglia di prendere anch’io a schiaffi qualcuno.

Restai a fissare il mio patrigno, mentre mi partiva un brutto tic all’occhio. No. No. Un’altra. Profezia. N… no!

Non riuscivo a pensare a nient’altro. Un’altra profezia. Ma… non poteva avere a che fare col mondo dei Draconiani, giusto?

Mi si profilarono nella mente due possibilità: o, sì, la profezia c’entrava con i Draconiani, o avrei dovuto vedermela con i problemi di due mondi in contemporanea.
La mia mente aveva escluso a priori la possibilità che io potessi non far parte della profezia. Anzi, probabilmente ero anche il protagonista.

Non saltiamo a conclusioni affrettate, mi dissi. Dopotutto, ho partecipato a sette profezie, e solo in due ero protagonista, quindi non è detto nulla. E poi, il sette è un numero fortunato, quindi, magari, posso sperare di aver finito qui?
Il mio grillo parlante fu abbastanza secco nel rispondere no. Datemi del pessimista, ma non credo più nella fortuna… cioè, sì, ci credo, ma non credo nella fortuna nei miei confronti.
E di fatti…

Quella sera

Presi a sbattere la testa contro il muro. Toc. - No. - Toc. - Non. - Toc. - È. - Toc. - Possib… -STONK! E ovviamente, avevo sbagliato mira e sbattuto contro lo stipite della porta, molto più forte di quanto volessi.

- Tutto bene? – chiese una voce elettronica alle mie spalle. Mi voltai verso mia madre e Paul, seduti sul divano di spalle, col telefono in mano e la videochiamata attiva. – Sì, a parte il fatto che la mia vita è a rischio, di nuovo, e sono rientrato dall’ultima impresa da diciotto giorni. Diciotto giorni, Chirone! – vidi il volto del centauro rabbuiarsi attraverso lo schermo del telefono, o almeno così mi parve. Stava usando il computer nella Casa Grande per chiamare, ma quel dinosauro di PC non funzionava molto bene, o meglio, non funzionava molto, perciò era difficile essere certi di quanto stesse accadendo dall’altra parte. Ma fui abbastanza sicuro che il mio istruttore fosse dispiaciuto.

I miei ci avevano messo le rimanenti ore della mattina e tutto il pomeriggio a rintracciare il numero del Campo (che io ovviamente avevo dimenticato: grazie memoria fallace, grazie tante) vagando su internet in cerca di tutti i produttori di fragole degli Stati Uniti. Io, nel frattempo, mi ero allenato ancora un po’ con quella nuova spada, così, per divertimento, e dovevo ammettere non era affatto male. L’avevo trovata sul fondo del lago vicino alla Villa, quando ero andato a fare un bagno per schiarirmi le idee quella mattina presto, in una specie di bolla d’aria gigante. Vicino ad una sorta di tempio, candido e imponente, c’era questo mucchio di armi, tutte candide, con le parti in stoffa rivestite di quella che sembrava pelle di drago: la spada, un arco con faretra in pelle, una frusta, un’ascia a doppia lama e una lancia

Quest’ultima era l’unica ad avere un tocco di nero, una strisciata proprio al centro che correva lungo tutto il manico, ma mia madre non aveva voluto spiegarmi il perché. Era rimasta sorpresa nel vedere quelle armi, e ancora di più nell’apprendere che sotto il lago c’erano la bolla e il tempio. Mi aveva spiegato il perché nel corso della mattinata, e nonostante lei sembrasse rincuorata da queste presenze tutto sommato “benevole” (il tempio e la bolla), io non avevo potuto evitare di preoccuparmi ancora di più: ciò significava che questo strano mondo non solo si stava risvegliando, ma non era mai davvero scomparso del tutto.
In sostanza, pareva aver atteso solo me.

Feci un affondo con quell’arma minuta, chiuso nella Sala degli Allenamenti, nel bunker. Mia madre mi aveva detto che sarebbe stato difficile arrivarci le prime volte, ma sinceramente dopo aver affrontato il Labirinto di Dedalo quel posto mi era sembrato una passeggiata. L’unico problema era che non riuscivo ad imparare a memoria la parola necessaria ad aprirlo, la mia mente si rifiutava di ricordarla.

Passando ad esercitarmi con l’equilibrio su un’asse poco distante, mi venne da pensare al fatto che la mamma avesse passato ore ad allenarsi in quel posto, da giovane, proprio come stavo facendo io in quel momento (“Ma con molti meno risultati” aveva commentato vedendomi disintegrare tutti i manichini della Sala). Lei, da giovane, aveva combattuto con quella spada.

Lei aveva combattuto. Ancora mi risultava difficile crederlo, anche se a Central Park avevo potuto constatare che non fosse la prima volta che prendeva in mano una spada, anche se si vedeva che non era mai stata allenata a dovere. E soprattutto, avevo notato che aveva avuto problemi a sollevare Vortice; non me ne sorprendevo, però, considerando quanto era leggera e maneggevole la spada di Thuban.

La mamma aveva provato ad impugnarla per vedere se avrebbe riattivato i suoi poteri, ma niente da fare. Paul, da quanto avevo potuto capire, durante la battaglia aveva usato la lancia, ma non aveva voluto nemmeno provare a prenderla perché diceva che non gli ricordava un bel periodo. Mia madre aveva assentito, e considerando quello che mi aveva raccontato sulla battaglia finale contro Viverna-Dal-Nome-Impronunciabile, non avevo potuto biasimarli. Avevo però notato che il mio patrigno, nel fare quell’osservazione, aveva guardato di sbieco la lancia, e mi sembrava che stesse fissando proprio la linea nera. Forse una bruciatura fatta durante la battaglia? Non sembrava, ma quando avevo chiesto cosa fosse, per la seconda volta i miei si erano tenuti sul vago. – Una decorazione in più – aveva risposto la mamma con fare indifferente, ma non è che ci credessi poi tanto…

Quando Paul era entrato dicendo che c’era Chirone al telefono, per poco non mi era preso un infarto. Ero corso fuori dal bunker saltando le trappole con una facilità che doveva aver lasciato quantomeno sconcertato il mio patrigno, ma non me ne ero preoccupato.
Lui ci aveva messo un po’ di più a raggiungerci, ed era arrivato proprio mentre il mio istruttore pronunciava l’ultimo verso della profezia.

Era stato allora che avevo cominciato a sbattere la testa contro il muro. Cinque dei sette che combatterono in passato. Le probabilità che io non rientrassi tra quei cinque erano pari a zero. Ma c’era ancora la possibilità che…

- Annabeth? – chiesi d’impulso. Speravo con tutto me stesso che la mia Sapientona non c’entrasse, che almeno questa volta avrebbe potuto tenersene fuori.

Chirone parve rabbuiarsi ancora di più, e ciò mise fine alle vaghe speranze che avevo.
- Annabeth è già partita per l’impresa. Con Jason e Piper. –

- COSA?! – Già partita per l’impresa? Oh, ma era possibile che non ci fosse mai un attimo di riposo? Speravo fosse al Campo Mezzosangue, avrei voluto parlarle, dirle che stavo bene, almeno. Le comunicazioni come i Messaggi- Iride non funzionavano più, non si capiva il perché, e visto che non avevo avuto la possibilità di salutarla, avrei voluto almeno poterla sentire una volta rintracciato il numero del Campo…

Poi mi venne una domanda abbastanza ovvia. – Ma, esattamente… dov’è che si sarebbero diretti? La profezia non mi pareva così chiara su questo punto. –

Chirone sospirò. – Percy, l’hai ascoltata, la profezia? –
- Sì, certo… -
- Tutta? –
Mi resi conto solo allora di non aver ascoltato oltre il primo rigo. Mi era bastato quello ad andare nel panico.

Feci un respiro profondo, presi un pezzo di carta e una penna dal tavolo e chiesi al centauro se poteva gentilmente ripetermi la profezia. Lui capì, sospirò di nuovo e me la dettò.
La trascrissi su carta con i caratteri del greco antico. La rilessi con calma, e finalmente ci arrivai.

- La progenie… i figli. Si tratta dei nostri genitori. –
Sentii il sangue defluire dal volto, mentre un’idea sconcertante mi si affacciava nella mente.
- Grazie, Chirone. Mamma, stacca la chiamata. –

La mamma mi guardò dubbiosa. – Vuoi chiudere così? Perché? –
Rifilai un’occhiata la telefono e cercai di accampare una scusa. –Sono… un po’ scosso, sai com’è. Vorrei riposarmi e… ragionare. –
Chirone dovette crederci, perché mi fece un sorriso triste. – D’accordo. Ora che avete il numero del Campo, se serve, possiamo provare a sentirci. Solo… sei sicuro di non volermi dire dove siete, figliolo? Potremmo aiutare, qualsiasi cosa stia succedendo. -

- No, Chirone, davvero. Sono affari di famiglia, nulla di più. –
L’istruttore annuì. Con un’espressione di malcelato dispiacere, fece un cenno di saluto e staccò la chiamata.

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Errori - Chirone

Sapevo che Percy mi stava nascondendo qualcosa, e quel qualcosa c’entrava con la profezia. Ma non avevo avuto la forza di dirglielo. E con quale diritto? D’altronde, non era l’unico che stava nascondendo un tassello importante del puzzle.
- È sicuro che sia una buona idea non dirglielo, Chirone? –

Rachel, l’Oracolo di Delfi, decisamente non aiutava con i sensi di colpa. Era seduta sulla sedia di fianco al computer, in una posizione tale da non essere vista ma poter vedere e sentire tutto. Avevo sperato che, ascoltando Percy che spiegava il motivo di quella improvvisa partenza, la ragazza avrebbe potuto vedere un po’ di più sul futuro. Invece, lui non aveva spiegato un bel nulla, e sentire Rachel che mi rimproverava giustamente mi rendeva ancor più consapevole quanto fosse errato quello che stavo facendo. Ma…

- Non posso, figliola. Non posso dirgli l’ultimo verso. Tu non hai visto come ha reagito quando gli abbiamo rivelato la Grande Profezia; stava lasciando perdere tutto. Se sentisse questo… - non terminai la frase. La ragazzina mi squadrò con i suoi grandi occhi verdi, i capelli ricci che le ricadevano sulla spalla. Era così giovane… lo erano tutti, da sempre. Eppure, dopo tremila anni, ancora non me la sentivo di dire a un mio allievo una cosa del genere. Soprattutto se era uno di quelli che ormai consideravo un figlio.

Rachel annuì, e non aggiunse altro, anche se probabilmente aveva intuito che non era quella la vera motivazione per cui mi ostinavo a non dire nulla, ma si trattava solo di una sorta di istinto paterno. Le fui grato.

Si voltò, e uscì dalla Casa Grande, lasciandomi solo con i dubbi che, nonostante le mie migliaia di anni, continuavo ad assillarmi.

È giusto continuare a cercare di proteggere qualcuno mentendogli sul suo destino?

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- A noi non la dai a bere, Percy. Cos’hai in mente? – la mamma mi squadrò, scettica.
I miei avevano capito che il mio improvviso voler interrompere la chiamata non era dovuto solo alla stanchezza, ma che c’era qualcosa sotto, che non volevo dire a Chirone. E in effetti, avevano indovinato.

Rilessi ancora una vola i primi tre versi della profezia, poi poggiai il biglietto sul tavolino davanti al divano.
- Davvero non avete capito? Ci sono arrivato prima io che voi? –
Mia madre aggrottò le sopracciglia. Dopo un istante, sentii Paul sussultare. – Percy… hai idea di chi possano essere i cinque o i sette? –

- I “Sette” siamo io e sei miei amici. Non ho avuto tempo di raccontartelo, ma siamo stati protagonisti di una profezia, in questi otto mesi, detta appunto “profezia dei Sette”. Sono abbastanza sicuro che si riferisca a cinque di noi. –
- Il mondo dimenticato… - fece mia madre - aspetta… quindi, questi famigerati cinque sono… -

Feci per completare la frase, ma lei mi bloccò e tornò a concentrarsi sul cellulare. – Oggi pomeriggio io e tuo padre – disse, supposi, riferendosi a Paul – ci siamo messi alla ricerca non solo del numero del Campo. Quello è stato un colpo di fortuna, l’abbiamo trovato solo perché dopo aver passato tanto tempo a cercare produttori di fragole ci è arrivata una pubblicità che riguardava proprio il Campo Mezzosangue… - alla parola, “fortuna”, in un angolino della coscienza, ringraziai mentalmente Tyche per avermi permesso di chiamare il Campo e scoprire che decisamente non ero tra le sue grazie – ma questo è successo qualche ora dopo aver smesso le ricerche. Ci eravamo arresi, e ci stavamo concentrando sul cercare i Draconiani. –

Aggrottai la fronte. – Che intendi? –
- Intendo proprio che ci siamo messi a ricercare i nostri vecchi amici, sapendo quali fossero le loro passioni da giovani e, beh… -

Indicò lo schermo, e nel guardarlo da sopra la sua spalla, le mani poggiate sullo schienale del divano, persi un battito.

- Percy, lui è Karl. È diventato professore, com’era prevedibile. Se ho ben capito la profezia, forse lo conosci. –

Restai qualche secondo immobile, cercando di metabolizzare. Completai a fior di labbra la frase che prima mia madre non aveva finito di dire. I cinque sono figli dei Draconiani.

Mi feci coraggio, sapendo che quando l’avessi detto non ci sarebbe più stata possibilità di sperare che mi stessi sbagliando.

- Mamma… lui è Frederick Chase, il padre di Annabeth. –

Non feci in tempo a vedere la reazione di mia madre, che uno strano istinto dovuto a non so cosa mi spinse ad alzare lo sguardo. Fissai prima il divano, poi il tavolino, poi la finestra. Niente di strano. Mi parve di vedere un’ombra, proprio lì, sull’erba che degradava verso il Lago, ma sparì subito, e io mi resi conto che probabilmente si trattava solo dello stress che mi giocava brutti scherzi. Ero sotto shock, non ne potevo più. La pesantezza di quello che stava accadendo e sarebbe accaduto mi colpì come una valanga, tanto da immobilizzarmi per un istante, lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Probabilmente i miei mi stavano chiamando, ma i rumori esterni suonavano indistinti, ovattati. Sgranai gli occhi, come per un riflesso istintivo, e mi sentii scivolare a terra, schiacciato da quel peso immateriale. L’ultima cosa che vidi fu il Lago di Albano, scintillante e indifferente in lontananza, che si schiarì come fosse la scena finale di un film, la cui colonna sonora però non accennava a diminuire: l’unico rumore che sentivo era il mio cuore che batteva sempre più veloce, all’impazzata.

Sentii il pavimento freddo contro i palmi, e non capii più nulla.

Ero ignaro perfino del fatto che il foglietto con la profezia fosse sparito.

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Mancanze ~ “Colui che non un ha volto, ma un neo sulla fronte”

Vidi la donna, se così la si vuol chiamare, arrivare in picchiata e inginocchiarsi dinnanzi a me, come era costretta a fare. Tentai di rimanere impassibile quando mi porse il biglietto, ma grida di esultanza mi pervasero la mente. Ce l’avevo fatta, avevo la profezia.

Non mi preoccupò che fosse scritta in caratteri greci: sapendo che avrei avuto a che fare con dei semidei, mi ero impegnato a studiarne la lingua e l’alfabeto. Fu così che riuscii a rendermi subito conto del tipo di profezia: rima incatenata. A quanto avevo capito, una delle più pericolose.

Bene, mi dissi, e cominciai a leggere.

Cinque dei sette che combatterono in passato
Sono unica progenie di coloro che possono declamare
Le gesta di quel mondo dimenticato.

Ancora una volta la chiave girerà
Per trovare la vecchia che il passato
Nel passato narrerà;

E nel mentre il nascosto, involontario nemico
Le trame della vicenda tesserà
Reduce da torto antico.

Mi rigirai il foglietto tra le dita, certo di trovare qualcosa sul retro. E invece no, tutto bianco.

Tutto qui? no, sapevo che non poteva essere quella la fine della profezia. Visto il tipo di rima, avrebbe dovuto re-incrociarsi con il primo verso, come se fosse il seguito dell’ultimo. Invece nei versi che avevo in mano non accadeva nulla del genere, e comunque mancavano delle informazioni, me lo sentivo.

La profezia era incompleta.

Strinsi il foglietto nel pugno fino a far sbiancare le nocche. – La profezia non è completa – sibilai all’Assoggettata. Tremai impercettibilmente pensando a quello che Gym (così si faceva chiamare ora) avrebbe potuto farmi se non gli avessi riferito la profezia per intero, e scaricai la frustrazione sulla donna, agguantandola per i capelli e tirandola in piedi a forza. Lei non si lamentò – non poteva – ma il suo volto sembrò contrarsi appena in una smorfia di dolore. Mi dissi che dovevo ancora perfezionare i miei marchingegni, che gli Assoggettati originali non provavano dolore, e questo mi fece infuriare ancora di più.

Fissai lo sguardo in quegli occhi rossi e inespressivi. – Tieni d’occhio la Villa. Non attaccare, e se ti scoprono non uccidere nessuno, ma combatti e feriscili in modo che non sospettino nulla. Segui il figlio di Poseidone, fai in modo di non perderlo mai di vista. E se ci sono novità sulla profezia vedi di non perderti neanche una parola. Attendi i miei ordini. –

L’Assoggettata si inchinò e volò via, verso la Villa in lontananza. Io misi il foglietto nella tasca, per poi tirarne fuori uno strano amuleto. Gym mi aveva detto che quel coso aveva una storia importante, ma non l’avevo mai ascoltato. Non è che mi interessasse poi molto; l’unica cosa interessante di quel manufatto era che mi permetteva di riattivare e potenziare le mie abilità.
Lo indossai, e il neo che avevo sulla fronte si illuminò. Avevo messo l’amuleto in tasca per farlo ricaricare, ma ora era pronto, e così anch’io. Mi concentrai per un istante, e subito due ali da Draconiano mi si spalancarono sulla schiena. Mi sentivo potente, con quelle grandi ali aperte al vento, come se avessi potuto solcare l’Atlantico in pochi giorni.

E in effetti avrei fatto proprio questo. Mi sfiorai la tasca per l’ultima volta, come per essere rassicurato dal suo contenuto: il foglietto con parte della profezia e una altro ragnetto per Assoggettare. Di solito lo usavo su chi mi capitava, ma quello era già destinato a qualcuno. Un ragnetto speciale per una persona speciale.

Sorrisi, un sorriso sghembo, che non somigliava a quello che avevo avuto nella mia vita di prima.

Poi aprii le ali in tutta la loro ampiezza e spiccai il volo, diretto a San Francisco.

Cosa significano gli strani istinti di Percy quando combatte? Cos'ha detto di così grave a sua madre, per rabbia? Perché non è potuto restare, almeno per un ultimo bacio con Annabeth?

E la Sapientona, cosa le sarà accaduto? Come reagirà (se sarà ancora viva per farlo) al fatto che suo padre sia un Draconiano?

E ancora, come è possibile che il Mondo dei Draconiani stia risorgendo? Chi è l'uomo dal neo brillante? Cos'hanno in mente, lui e l'altro assetato di potere?
Sarà davvero questa la loro ragione, però? Il potere? O c'è altro?

E chi c'è dietro tutto questo? Siamo sicuri che solo le Parche possano controllare il destino di una persona?

Il viandante guardò il panorama ai sui piedi. Stessa valle, stessa collina, stessa macchia indistinta di bruciato che spiccava tra il verde del bosco e l'azzurro dei fiumi, stesi come fili evanescenti sull'immagine che gli si profilava davanti. Sembrava quasi che fossero più un riflesso della luce, quei fiumi, o forse un dono divino caduto dal cielo per sbaglio. A qualsiasi cosa avrebbe creduto, pur di non accettare che quel posto ricolmo di ricordi sfuggenti e strazianti fosse anche così terribilmente bello alla luce del tramonto.

Il mago alzò lo sguardo verso il cielo, che andava tingendosi di un rosa sempre più rosso, di un lilla sempre più viola, come se qualcuno vi stesse passando man mano sopra leggere pennellate di vernice scura. Erano passati due anni da quando, proprio da quel punto, il mago aveva visto la natura tingersi all'inverso, un viola sempre più lilla, un rosso sempre più rosa. Aveva visto il cielo stingersi piano, assieme alle sue speranze di redenzione.

Ora, invece, ce l'avrebbe fatta. Stava arrivando l'oscurità, e l'oscurità è amica di colui che vaga.

Il mago fece un ultimo sospiro, e stacco gli occhi dalla macchia scura che si stendeva poco più in là, sicuro che finalmente avrebbe raggiunto l'obbiettivo a cui aveva sacrificato tutto.

Riparare all'irreparabile. Salvare una vita già perduta.

Conosciamo quale sia stato il destino dei nostri eroi quando le loro storie erano divise.
Ma quale sarà quello della Nuova Generazione?

- Philo_Sophia08

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Fanfiction holdarah