La Nuova Generazione // I più...

Від Philo_Sophia08

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Crossover Percy Jackson/ La Ragazza Drago/ Il Mondo Emerso ATTENZIONE: CI SARANNO SPOILER SU TUTTE E TRE LE S... Більше

La Nuova Generazione: Descrizione
Parte 1. Lo Scorso Portale
Strani Istinti Di Battaglia ~ Percy
Una Nuova Spada ~ Sofia
Se Scappare Non Serve ~ Asley
NON È UN CAPITOLO
Fulmini A Ciel Sereno ~ Annabeth
Il Vecchio Del Monte ~ Gym
Chi Qui Si È Allenato ~ Percy
Parte 2. La Nuova Notte
Guidare ~ prof Schlafen
Tsunami ~ Piper
Tempo Di Luce ~ Nico
Lo Scambio Di Anime ~ Leo
L'Erede ~ Fabio
L'Erede, Parte 2 ~ Fabio
A Un Passo Dalla Fine ~ Frazel
La Figlia Di Atena ~ Karl
Corpo Di Bronzo, Mente Di Vetro ~ Percy
Marea Nera ~ Will

Occhi Verdi, Capelli Rossi ~ Fabio

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Від Philo_Sophia08

Guardai il grande albero al centro della stanza. Il tronco si innalzava maestoso fino al soffitto, la scala vi si attorcigliava come un rampicante.
In teoria, non avrei dovuto essere lì. Avevo ancora le valigie in mano, i vestiti fradici dopo il "bagno di piacere" nel lago di Albano, il viso sporco di terra. In breve, avevo l'impellente bisogno di una doccia fredda. Mi serviva anche per schiarirmi le idee: l'incredibile mondo della mia giovinezza che avevo fatto di tutto per dimenticare era tornato da meno di ventiquattrore, e le stranezze che un tempo erano all'ordine del giorno avevano già cominciato a farsi sentire. D'accordo che le visioni siano necessarie, ma proprio mentre ero vicino a un lago?

Pochi minuti prima...

Stavo ammirando il paesaggio davanti alla villa. Di solito non sono un tipo sentimentale, ma quel posto era praticamente stata l'unica vera casa della mia adolescenza. Ero appena tornato dopo tanto tempo, e prima di salire mi ero preso qualche secondo per cercare di riambientarmi. Ero sulla riva del lago, e mi ero sporto un attimo verso l'acqua; volevo vedere quanto fossi effettivamente cambiato dall'ultima volta che mi ci ero specchiato. Ricordavo vagamente che, in quell'occasione, avevo Sofia affianco, e che le tenevo un braccio attorno alle spalle. Eravamo felici, tutto sommato...

Era stato allora che il mondo si era oscurato, giusto il tempo per mostrarmi delle immagini che non mi risultavano nuove anche se non le vedevo da un sacco di tempo: prima quella sfocata di Draconia, come una foto riuscita male; poi, il volto del prof che mi sorrideva e faceva come per dirmi qualcosa, ma senza riuscire davvero a parlare. Era durato tre secondi, non di più; per quanto ne sapevo, poteva essere stato solo un lontano ricordo, una sorta di flashback. E quando la realtà era tornata, mi ero reso conto di essere caduto nell'acqua di faccia. Inutile dire che avevo imprecato in ogni lingua esistente.

E così ora ero lì, in piedi a gocciolare sul pavimento della sala, che una volta era lindo. Già, avrei dovuto darmi una ripulita, avrei dovuto posare le valige nella mia vecchia stanza, avrei dovuto avvertire Sofia che ero arrivato... Eppure, tutto quello che riuscivo a fare era rimanere lì, a fissare l'albero che era il simbolo della mia vita perduta. Non è una metafora: in teoria, quella vita non avrebbe dovuto più esistere, né tantomeno quell'albero. Durante l'ultimo anno che avevo passato lì, prima dell'incidente, quel posto era solo una villa un po' retrò, senza dettagli particolarmente strani. E invece, da quando ero arrivato, mi era sembrato di essere finito in un passato perduto, quasi fosse stato tutto un sogno. Lo stile ottocensco che da giovane mi faceva girare la testa, quel maestoso albero, e poi le raffigurazioni di draghi praticamente ovunque. Ancora non li avevo visti, o meglio rivisti, ma sapevo che c'erano anche le nostre vecchie camere, a immagine e somiglianza di Draconia, e il bunker dove ci allenavamo e dove...

Mi chiesi solo in quel momento se la Gemma fosse effettivamente ancora lì. Sofia non me ne aveva parlato, ma d'altronde nemmeno io avevo chiesto nulla, dandola per scontata. Eppure, ricordavo con fin troppa chiarezza quello che Karl e Sof erano stati costretti a fare per incollare i pezzi del frutto di Thuban, perché anche se non ero effettivamente presente avevo potuto vedere la barriera che collassava, avevo quasi potuto sentirla andare in pezzi. L'idea che la Gemma potesse esserci di nuovo mi risultava tanto rassicurante quanto impossibile.

Eppure, mi dissi, a detta di Sofia durante la guerra non era andata distrutta solo quella, ma tutta la villa... Possibile che sia davvero tornato tutto come prima, Gemma compresa? Non ne avevo idea, anche perché non sapevo nemmeno come avesse fatto la villa a tornare così, e soprattutto come fosse possibile che non ci abitasse nessuno...
Mah, non che fosse così assurdo. Negli ultimi giorni avevo affrontato ben di peggio come assurdità.

Cavoli, in un giorno scarso me l'ero vista con tutto il mio passato che tornava a galla, la notizia del ritorno degli Assoggetati, le crisi d'amore di mio figlio, un dio del mare travestito da pescatore, una ragazza bionda furiosa armata fino ai denti e una Costituzione americana da qundici quintali.
Qualche stranezza in più non poteva farmi male.

Mentre il mio mondo precipitava e il passato tornava alla carica come un'onda in piena, io stavo cercando di sfornare i biscotti.
Mi sono sempre chiesto come facesse Sofia a farli uscire così bene: sempre cotti al punto giusto, sempre perfettamente blu. L'avevo vista farlo un sacco di volte. E allora perché, quando li facevo io, uscivano sempre bruciacchiati, gonfi e violacei? Più che biscotti, sembravano grosse melanzane bollite.

Cavoli, mi dissi. Sof mi aveva chiesto di farli al meglio, visto che quel giorno nostro (sarebbe più corretto dire suo, ma ormai lo è anche per me) figlio, Percy, sarebbe tornato da noi dopo otto mesi.
Già, otto mesi. Nemmeno io ero mai stato così tanto tempo lontano da casa... Be', in realtà sì perché una casa, un tempo, non l'avevo (e probabilmente perché scappavo da tutte quelle che provavano a darmi), ma non è questo il punto. Il fatto è: quale adolescente ancora minorenne starebbe fuori casa per otto mesi? E soprattutto, quali ignobili genitori non farebbero di tutto per cercarlo?

Me lo chiedevo spesso, perché, dopotutto, il mio cervello a volte si ostinava a raginare in modo normale. Peccato che la nostra situazione fosse tutt'altro che normale.

Insomma,Percy era figlio di un plurimillenario Dio dell'acqua (pardon, del mare) proveniente da un culto estinto da tremila anni, che lo mandava in continuazione a sbrigargli commissini potenzialmente mortali; in una situazione del genere, anche il modo di pensare di un ex Draconiano era troppo normale.

Il problema non era tanto il fatto della creatura plurimillenaria, né quello dei superpoteri, ne quello di una presunta leggenda che diventa realtà. A quello ci ero abituato.
Era tutto il resto il problema.

Apparte l'universo molto più vasto, che a quanto pareva era nascosto solo da un po' di magia, e le cui ramificazioni potevano essere trovate praticamente ovunque. Apparte il constatare quanto fosse assurdo quell'universo, almeno dalle poche cose che aveva raccontato Percy. Non si trattava di tutto questo, anche se era già di per sé destabilizzante. Era il fatto stesso dell'esistenza degli Dei che mi mandava in panne. Esseri sovrannaturali che potevano fare letteralmente qualsiasi cosa, ma se ne fregavano del destino di tutto e di tutti a tal punto da mandare i loro figli in guerra per dei capricci... No, era troppo da sopportare.

Noi draconiani eravamo... Be', eravamo solo noi. Eravamo noi quelli potenti, eravamo le forze del bene. E tutte le forze del bene facevano quanto potevano per schierarsi contro quelle del male.
"Ne sei proprio sicuro?" disse una vocina nella mia testa, ma la scacciai, muovendo la mano in aria quasi si trattasse di un insetto fastidioso.

Peccato che, nel farlo, avessi scordato di tenere ben salda la teglia di biscotti bollente, che mi cadde rigorosamente su un piede di piatto. Prima che la scarpa si fondesse col pavimento, feci un salto all'indietro e lanciai alcune imprecazioni per cui perfino Lidja mi avrebbe lavato la bocca col sapone. Non avevo mai capito perché, ma crescendo ero diventato molto più impacciato di quando ero giovane (forse per l'età avanzata, ma speravo di no), soprattutto quando avevo a che fare con cose bollenti. Avendo maneggiato il fuoco per anni senza ustionarmi, mi risultava ancora difficile entrare nell'ottica del "sì, ora posso ustionarmi eccome" prima che il danno fosse fatto. Il che era sempre seguito da una buona dose di imprecazioni, almeno quando non c'era Percy. Per lui, avrei sempre voluto restare il professore di latino un po' impacciato e con un cognome buffo che non diceva mai parolacce ed esortava a non dirle.

E ovviamente, per mia fortuna, Sally e Percy entrarono proprio nel momento in cui stavo mandando a quel paese metà dei produttori mondiali di utensili da cucina.

Mi bloccai a metà frase e rimasi a guardarli, la schiena appoggiata al banco della cucina, la teglia di biscotti a terra, il piede in una mano e la bocca semiaperta. Ero così imbarazzato che non mi resi subito conto delle stranezze. Almeno, non finché Percy mi squadrò e se ne uscì con una frase che, tra le tante possibili, non mi sarei mai aspettato. Non sembrava sorpreso, piuttosto furioso. - Bene, - esordì acido - dopo mamma che si trasforma in una Lady Oscar in T-shirt, mi ritrovo te che da "parolacce nemmeno per sbaglio" diventi il dizionario vivente delle imprecazioni. Qualcuno ha intenzione di spiegarmi cosa sta succedendo? - Lady Oscar in T-shirt? non potei fare a meno di chiedermi. Ma prima che potessi fare una qualsiasi domanda (o anche solo scappare, perché Percy aveva uno sguardo abbastanza omicida), Sally poggiò una mano sulla spalla del ragazzo. - Ho detto che ti avrei spiegato tutto, abbi solo un attimo di pazienza. - Percy si scrollò dalla sua stretta e si diresse in salotto senza dire una parola. Si sedette sulla poltrona e rimase a fissarci. Dopo un breve scambio di sguardi, sembrò spazientirsi ancora di più. - Allora? Sono appena uscito da una guerra, non dico tanto ma vorrei almeno sapere cosa sta succedendo di strano nella mia vita. Di nuovo. - disse calcando sulle ultime parole.

 Solo allora relizzai che non lo vedevo da otto mesi. Bella riconciliazione, pensai. Lo guardai un attimo, poi cercai di ripartire da zero, anche perché non è che ci stessi capendo molto. - Ehm... ciao. - il mio tono era più interrogativo che altro. - Ben tornato a casa... Suppongo. - lui continuò a guardarmi impassibile. D'accordo, il ricominciare da capo non aveva funzionato. Guardai Sofia, ma lei scosse la testa. Poi, senza altre spiegazioni, andò in sala e si sedette sul divano davanti alla poltrona, dandomi le spalle. Rassegnato a restare nella confusione fino a nuovo ordine, zoppicai fino al sofà e mi sedetti accando a lei.

Ci squadrammo tutti e tre per un attimo. Sally dispiaciuta, Percy infuriato, e poi c'ero io che cercavo di nascondermi tra i cuscini del divano. Il mio "lato Fabio" mi gridava di arrabbiarmi, anche solo per rispondere allo sguardo truce di Percy; il mio lato meno suicida però mi urlava di provare solo a starne fuori il più possibile, visto il rischio di essere affogato seduta stante con l'acqua del vaso di fiori. E negli ultimi tempi avevo imparato (per fortuna non a mie spese) che, quando c'entrava il mondo divino, era decisamente meglio non ascoltare i miei istinti da Fabio. Pena, una morte orrenda. Nel migliore dei casi. E poi, era da tempo che cercavo di seppellire il vecchio me sotto il nuovo personaggio che mi ero costruito, il che mi dava un minimo di autocontrollo. Ma sotto una tensione del genere, non sapevo quanto potessi reggere.

Finalmente, qualcuno intavolò la conversazione. - Paul - mi fece Sally, con sguardo colpevole. - Dobbiamo dirgli tutto. - e capii ancora di meno di prima. Quel segreto, quella vecchi vita, erano seppelliti così in profondità che l'idea che potesse trattarsi di quello non mi sfiorò nemmeno l'anticamera del cervello. Allora feci un respiro profondo, e cominciai. - Percy...- Sally mi guardò stranulata. L'ha presa bene... disse muovendo solo le labbra e sprofondando la schiena nei cuscini del divano. A, me, sinceramente, non sembrava così importante come segreto. - Sì, è tutto vero. Io uso le parolacce, e anche molto, molto spesso. E tua madre non è da meno. - Percy mi guardò. Sally mi guardò. Questa volta, ero sicuro che volessero ammazzarmi entrambi. Ma che avevo detto?

Li guardai di rimando. Ed ebbi una piccola folgorazione. - Aspettate, che significa "Lady Oscar in T-shirt?" E... - osservai come erano messi, per la prima volta da quando erano entrati. -... perché siete conciati così?

Percy aveva qualche livido, due taglietti ai lati del torace e uno un po' più profondo sulla spalla, come se qualcuno avesse provato a colpirlo in punti vitali. Sally aveva un nuovo taglio di capelli, il naso che sanguinava e delle foglie tra i ricci scuri. Qualcuno le aveva tagliato diverse ciocche sul davanti, il che lasciava intravedere la ricrescita rossa. Per non perdermi tra i miei pensieri ("anche dopo anni continuo a pensare che con i capelli rossi stesse molto meglio...") tornai a concentrarmi su Percy.

E fu allora che le notai. C'erano delle strane ustioni intorno alla ferita sulla spalla, quasi fossero state inferte da un ferro incandescente col colorante nero.
Subito, davanti agli occhi mi comparve l'immagine di una ragazzina dai capelli rossi che urlava, mentre una lingua metallica partita dal mio braccio le perforava un braccio.

Quel ricordo fece male, ma mai quanto l'implicazione del vedere quelle ferite su Percy. Lady Oscar in T-shirt...
Dovevo essere rimasto parecchio a fissarle, perché alla fine Sally decise che era il momento di arrivare al punto. - Un Assoggettato, Paul. Un Assoggettato a Central Park.

La mia mente si rifiutò di continuare a funzionare. Senza smettere di fissare Percy (anche se ormai non lo stavo più guardando davvero), mi accasciai contro lo schienale del divano. - Non è possibile... - mi voltai verso Sally, quasi sperando che prendesse a ridere e gridasse "Pesce d'Aprile! " o qualcosa del genere. Qualsiasi altra cosa, ma non quello. - Non è possibile... Lui è...
- Morto. - mi anticipò. - Morto ventiquattro anni fa. - abbassò lo sguardo. - o almeno, così credevo.
- Ma...
- Non lo so! - Scattò prima che potessi chiederle qualsiasi cosa. - Non lo so cosa sta succedendo. Ma una cosa è sicura: c'è di nuovo qualcosa, nell'aria. E non cerca noi. No, quel coso stava attaccando Percy. Non ci resta altro da fare che dirgli tutto e... 
- E poi?

Mi guardò per qualche istante. - E poi... Poi non lo so. Non so come agiremo. Ma intanto, facciamo quel che possiamo. - Fece un respiro profondo e, senza nemmeno aspettare la mia reazione, cominciò a parlare.

- Ci sono alcune cose sul nostro passato che non ti abbiamo detto, Percy. - esordì. - Prima fra tutti... I nostri nomi.

Da furioso, il ragazzo passò improvvisamente a curioso, ma questo non contribuì a diminuire la tensione. Non disse niente, però, e Sally andò avanti imperterrita. - Da giovani, avevamo altri nomi, un'altra vita,  rispetto a quella che ti abbiamo sempre raccontato. Diversi i nomi, diversi i caratteri, io ero perfino diversa d'aspetto. E sì, io e Paul ci conoscevamo, già al tempo, e molto bene. Poi però è successa una cosa... - le si strozzò il fiato in gola, e solo a quel punto mi feci coraggio e intervenni, prendendole la mano. - Un incidente, Percy, che ci ha portato via una persona molto cara. E con quella persona, la legge si è portata via anche la nostra casa e la nostra vita di prima, fino a costringerci alla separazione. Il dolore era tanto, e così... Così abbiamo deciso di cambiare tutto di noi stessi, per tagliare via il passato e ricominciare da zero. - feci per continuare, ma Sally volle intervenire. - Già, cambiammo tutto. - con mano tremante, scostò bene gli ultimi capelli che impedivano di vedere la ricrescita rossa. - Tinta per capelli e lenti a contatto. Ero arrivata a non sopportare di guardarmi allo specchio, troppi ricordi.

- È stato così per sette anni, poi sei arrivato tu. Mi hai collegata a questo viso prima che fossi pronta a rinunciare alla mia maschera, e sarebbe stato difficile spiegarti perché avevo sempre voluto nascondermi. - fece un'altra pausa. - Dopotutto... Forse ero io a non essere pronta. Ancora non lo sono. - strinse i pugni e fissò il pavimento, poi scosse la testa. Capii che non avrebbe detto più nulla, non ce l'avrebbe fatta.

Le misi una mano sulla spalla, mentre con l'altra afferravo il vaso di fiori sul tavolo. Non si sa mai.
Aprii di nuovo la bocca, ma non sapevo come andare avanti. Come spiegare la storia dei Draconiani, la nostra storia, a partire da zero? Non ero mai stato molto bravo con le parole.
Per fortuna ci pensò George Washington a salvarmi dall'impaccio.

Scoppiai a ridere: in effetti, a ripensarci, era stato davvero assurdo. Una statua vivente di George Washington che ti si presenta alla porta (anzi, sarebbe più corretto dire alla finestra) di casa con un Dio dell'Olimpo in braccio... non capita spesso.
E così, per la seconda volta in meno di due giorni, all'entrata di Percy e Sally mi ritrovai in una condizione a dir poco ridicola. Ero in piedi a fissare un albero, bagnato fradicio e infangato dalla testa ai piedi, a ridere apparentemente senza un motivo. Quando li vidi apparire sulla soglia, provai a soffocare la risata con un colpo di tosse, ma senza grandi risultati.

Poi mi girai verso di lei, e mi si mozzò davvero il fiato in gola.

Dopo decenni che non li vedevo, quegli occhi verde intenso tornarono a fissarmi con lo stesso vigore di un tempo. È strano, ma le lenti a contatto celavano molto di più del semplice colore, e me ne rendevo conto solo ora. A ventiquattro anni di distanza, rividi tutte le paure, tutto l'affetto, tutto il coraggio che quegli occhi mi spiravano quando ero ragazzo. Rividi ciò per cui mi ero innamorato. Rividi la ragazza che era un tempo, e per un istante mi sembrò di essere tornato sedicenne io stesso, come se tutto quello che era successo dopo non fosse mai accaduto.

Per la prima volta da una vita, non stavo guardando Sally Jackson.
Guardavo Sofia, la mia Sofia.

E nel guardarla dovevo aver proprio assunto una faccia da ebete, perché l'espressione di lei si fece d'un tratto preoccupata. - Paul...- Mi squadrò. -... tutto bene?
Rimasi per un istante zitto, cercando di elborare una risposta decente. Era difficile, perché non avevo nemmeno ascoltato quello che mi aveva detto, tanto ero concentrato sul tentare di tornare alla realtà. Ma come facevo, da giovane, a staccarmi da quegli occhi, a pensare a qualsiasi altra cosa?

Proprio in quel momento, Percy fece capolino dal corridoio. Com'era prevedibile, non appena mi vide increspò le labbra, faticando a trattenere una risata.
- Paul, hai... sei... sei un po' sporco... - ah, già, ecco come facevo, pensai riacquistando un minimo di contegno. Ogni volta che rimanevo imbambolato a fissarla, pensavo ai miei amici (Ewan e Lidja in particolare) che comiciavano a darmi dello smielato, e riassumevo la solita espressione apatica di sempre. Ci provai anche in quell'occasione, ma mi resi conto che non mettevo più quella maschera da decenni. Così mi limitai a mantenere l'espressione comprensiva "da Paul", ma non riuscii a trattenere il cipiglio duro di Fabio; il tutto, misto all'imbambolamento di prima, dovette collimare in un'espressione piuttosto buffa, perché Percy scoppiò sul serio a ridere. Anche Sofia sorrise, ma si limitò a un: - Perché hai quella faccia?

Rinunciai a far combaciare le mie due personalità e ammorbidii il viso. - Lasciate stare... - solo in quel momento notai un piccolo dettaglio: in mano, Percy reggeva una spada che mi risultava decisamente familiare.

Alzai un sopracciglio, ma Sofia precedette la mia domanda. - Ti spiegheremo tutto, ma prima forse ti conviene darti una lavata.

Percy cercò di trattenere altre risate. - Tranquilla, a questo posso pensarci io... - mosse una mano, e l'acqua della brocca sul tavolo mi volò dritta in faccia. Quando fui abbastanza lindo e zuppo, cadde a terra tutta in un attimo, quasi si fosse appesantita. Mi ci volle un istante per metabolizzare, anche perché mi risultava ancora difficlie combattere contro la Foschia; alla fine mi resi conto di essere pulito, ma Percy non mi diede il tempo di ringraziare. - Su forza, andiamo a sederci. Devi spiegarmi come hai fatto a sopravvivere alla mia ragazza.

Scossi la testa, rassegnato. - Ragazzo mio, sappi che non mi metterò mai più tra te e lei. Il volo di cinque piani mi è bastato e avanzato, grazie.
E con questa bella premessa, mi diressi verso il divano.

- Philo_Sophia

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