La Nuova Generazione // I più...

By Philo_Sophia08

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Crossover Percy Jackson/ La Ragazza Drago/ Il Mondo Emerso ATTENZIONE: CI SARANNO SPOILER SU TUTTE E TRE LE S... More

La Nuova Generazione: Descrizione
Parte 1. Lo Scorso Portale
Una Nuova Spada ~ Sofia
Se Scappare Non Serve ~ Asley
NON È UN CAPITOLO
Occhi Verdi, Capelli Rossi ~ Fabio
Fulmini A Ciel Sereno ~ Annabeth
Il Vecchio Del Monte ~ Gym
Chi Qui Si È Allenato ~ Percy
Parte 2. La Nuova Notte
Guidare ~ prof Schlafen
Tsunami ~ Piper
Tempo Di Luce ~ Nico
Lo Scambio Di Anime ~ Leo
L'Erede ~ Fabio
L'Erede, Parte 2 ~ Fabio
A Un Passo Dalla Fine ~ Frazel
La Figlia Di Atena ~ Karl
Corpo Di Bronzo, Mente Di Vetro ~ Percy
Marea Nera ~ Will

Strani Istinti Di Battaglia ~ Percy

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By Philo_Sophia08

Le parti scritte in corsivo sono flashback

Strinsi la presa sull'elsa della mia spada. Quante battaglie avevo combattuto così, tenendo stretta Anaklumos in una mano e tendendo l'altra per attivare i miei poteri? Non lo sapevo, ormai avevo perso il conto. Ma di sicuro erano state tante, troppe. Alla fine, mi ero quasi abituato a quella stretta familiare allo stomaco, all'acqua che tutt' a un tratto pareva pronta ad obbedire ai miei comandi. Mi ero abituato alle stoccate, le parate, gli affondi, mentre la luce rassicurante del bronzo celeste brillava fulgida come ad indicarmi che, ancora una volta, c'è l'avrei fatta. Mi ero abituato al senso di pericolo, all'adrenalina e all'eccitazione da battaglia, che mi scaldava il sangue nelle vene e mi acuiva i sensi, mentre tutti i miei pensieri scivolavano via. Il movimento dei muscoli, la perfezione dei colpi, portavano via ogni cosa attorno e dentro di me; ogni ricordo, ogni emozione si dissolveva nel movimento fluido della spada, nel gorgoglio dell'acqua che mi obbediva ciecamente. Mi ero reso conto di aver raggiunto questo equilibrio, questo brio perfetto in battaglia, solo qualche giorno dopo la mia ultima impresa.

Era il primo mostro contro cui combattevo dalla guerra contro Gea e i Giganti, incrociato per caso mentre tornavo da mia madre per festeggiare il mio diciassettesimo compleanno con lei. Sceso dalla metro, mi ero ritrovato faccia a faccia con una di quelle cose storte comunemente chiamate empuse. Il mostro non aveva nemmeno fatto in tempo a lanciarmi un po' del suo fuoco, che avevo già sguainato Vortice ed ero partito all'attacco. Era stato allora che, per la prima volta, avevo sentito davvero quella forza, quell'eccitazione da battaglia che ora accompagna ogni mio colpo. Effetti collaterali dal Tartaro? Benedizioni divine varie? Non lo sapevo. Ma mi piaceva.
L'empusa, appena avevo tentato un affondo con la spada, era saltata indietro di tre metri e mi aveva lanciato una palla di fuoco come fosse un giocattolo, sicura di colpirmi. Io non mi ero sprecato nemmeno a muovermi: in meno di un istante, l'acqua delle tubature della metro era schizzata fuori dai suo condotti per estinguere l'incendio, sostituito da un muro di liquido abbastanza putrido. I liquami erano tornati nelle tubature velocemente come erano arrivati, e io mi ero goduto per qualche secondo l'espressione scioccata della giovane empusa. Poi avevo deciso che era ora di muovermi. Mi ero ritrovato davanti al mostro con un balzo, e avevo cominciato a giocare tirando di scherma contro quell'essere come un gatto faceva col topo, il tempo che pareva rallentato. Para, schiva, affondo, tondo, schiva, rompi le difese, affondo sul fianco. In pochi secondi, l'empusa non c'era più.

Ora, tenendo in mano quella spada, sentivo la stessa eccitazione nelle vene. Peccato che la spada non fosse Anaklumos. Quella che tenevo in mano era più minuta, più corta e apparentemente più fragile. La lama di cristallo bianchissima avrebbe potuto essere fatta di vetro, leggera e maneggevole. L'elsa era di un verde intenso, quasi fosse stata riempita con la clorofilla, e aderiva perfettamente alla mia mano. Mi fidavo di quella spada, perché dopotutto la sentivo davvero mia, come se la impugnassi da sempre. Chiusi gli occhi, e partii all'attacco, mentre gli eventi degli ultimi tempi mi riempivano la mente come una valanga al ricordo di quell'empusa.

Finalmente tornavo da mia madre. Non la vedevo da otto mesi, anche se di sicuro non sentivo la stessa mancanza che sentiva lei (per parte di quei mesi avevo dormito, dopotutto). Non osavo nemmeno immaginare come si sentisse. Ero perfino un po' spaventato dall'idea del rivederla, di lei che mi abbracciava e piangeva. Avevo paura di vedere sul suo volto il dolore covato per mesi, avevo paura di vedere coperto dallo shock, dalla tristezza o anche solo dal sollievo il suo sorriso di sempre. Avevo paura (o meglio, sapevo) che il nostro rapporto non sarebbe stato più lo stesso, che qualcosa sarebbe cambiato per sempre, in meglio o in peggio che fosse. In sostanza, avevo paura di ritrovarla come avevo ritrovato Annabeth. Per quanto il rapporto tra me e la mia Sapientona fosse più migliorato che peggiorato, non avrei mai scordato quello che le avevo fatto passare, l'espressione di dolore sordo e rabbia sul suo volto mescolata alla gioia di rivedermi...

L'attacco dell'empusa mi riportò alla realtà. Dopo quel breve combattimento, cercai di scrollarmi di dosso la sensazione di potenza ed eccitazione, senza troppo successo. Non che ne fossi del tutto scontento, ovvio. Tuttavia, avevo paura che, rivista la mamma, il mio umore sarebbe crollato. E so per esperienza che più l'umore è alto più le cadute fanno male. Cercai di fare qualche respiro profondo, ma l'adrenalina che mi scorreva nel sangue non accennava a scendere. Decisi allora di incamminarmi così, con questa sorta di ebrezza nella testa che non voleva passare, e mi avviai verso casa.

Per strada, stranamente, non incontrai mostri. Dopo essere stato sempre circondato da almeno uno o due amici semidei per mesi, non ero più abituato a stare solo e ad emanare così poco odore semidivino. Non che fosse un male, certo. Anzi, avevo deciso di non far venire nessuno dei miei amici con me per non attirare troppo l'attenzione dei mostri.
E no, non avevo abbandonato Annabeth. Non avrei potuto farlo neanche per pochi giorni, non ora che avevamo più bisogno l'uno dell'altro per superare... i ricordi. Perciò avevamo deciso che sarebbe venuta anche lei a casa mia, ma avremmo viaggiato separati per non attirare troppi mostri. Lei sarebbe arrivata un'oretta dopo di me. Ero grato di questo, perché per quanto volessi stare con la mia ragazza, avevo bisogno di un pò di tempo per parlare con mia madre da solo.

Arrivai davanti al suo negozio. Nonostante la mamma fosse una scrittrice a tutti gli effetti ormai, non aveva smesso di lavorare nel negozietto di dolciumi che sia io che lei amavamo tanto. Ci eravamo già sentiti qualche giorno prima, tramite Messaggio-Iride, e ci eravamo messi d'accordo di vederci lì alle 4 di pomeriggio (orario in cui staccava) per andare a casa insieme.

Ed eccola, girata di spalle, mentre chiudeva a chiave il negozio, i capelli un po' più corti e strati di grigio di quanto ricordassi. Non sembrava essersi accorta che ero dietro di lei... dopotutto, ero abituato ad essere silenzioso quando mi muovevo. Mi avvicinai ancora un po', misi le mani in tasca e attesi che si girasse, un sorriso a trentadue denti che mi si stampava sul volto senza che potessi trattenerlo. Dopo qualche istante, si voltò, e lì per lì sembrò non accorgersi di me; poi mi notò, e restò per un attimo a fissarmi a bocca aperta. In un lampo, eravamo stretti in un abbraccio, lei che piangeva e mi accarezzava la guancia, io che mi lasciavo stringere e affondavo la testa tra i suoi capelli, come facevo da bambino. Tutte le paure scemarono, e mi abbandonai a mia madre e alle lacrime, come avrei fatto anni prima, come non facevo da anni. Mi era mancata, accidenti! Mi era mancata molto più di quanto pensassi!

Dopo non so quanto tempo, i nostri singhiozzi si calmarono abbastanza perché potessimo tornare a respirare. La mamma mi guardò, dandomi un'arruffata ai capelli con una mano in un gesto d'affetto. - Mi sei mancato, cucciolo...- disse in un soffio. Per me era un po' strano essere chiamato "cucciolo" dopo tutto quello che avevo passato (e sinceramente mi ricordava anche il periodo passato alla Casa del Lupo), ma apprezzai. In effetti, mi mancavano perfino questi dolci nomignoli. In risposta, la abbracciai di nuovo. - Anche tu... - dissi, la voce soffocata dalla stoffa della sua camicetta. -...anche tu, mamma. Moltissimo. - Alzai di nuovo lo sguardo, e vidi che mia madre mi guardava esattamente come prima, con nostalgia e affetto. Fu con quell'espressione che disse - Dopo questa non esci più di casa... Se sparisci di nuovo aiuto la tua ragazza a farti fuori... -, e il fatto che l'espressione fosse così dolce rese il tutto un po' inquietante. Anche se leggermente preoccupato, sorrisi. - Tu sei stata troppo tempo con Annabeth. - lei sorrise di rimando, e ci incamminammo verso casa. Per arrivare, saremmo passati a Central Park, così avremmo potuto chiacchierare un po' e goderci il primo vento fresco della stagione.

Quella zona del parco era semideserta: c'eravamo solo io, la mamma, e una donna dai capelli rossi che passeggiava in lontananza, assorta nei suoi pensieri. Eravamo abbastanza lontani da tutto e tutti perché mia madre potesse chiedermi di raccontarle cosa fosse successo. - È una parola... - risposi con un mezzo sorriso. Raccontai per sommi capi di Gea, della mia dormitina, dello scambio di leader, del Campo Giove, dei Sette e della Profezia... Ero arrivato appena alla mia partenza per l'impresa con Frank e Hazel, quando un tonfo secco mi fece voltare. Sentii mia madre muoversi, forse sobbalzare per lo shock, ma non me ne preoccupai. La mia attenzione era fissa alla mia destra, a due passi da me, dove uno pseudo ragazzino con ali di metallo e occhi rossi stava accovacciato e mirava alla mia gola con lo sguardo, come un segugio pronto a colpire.

Arricciai un po' il naso a quel ricordo. Mentre ripensavo a quella piacevole gitarella al parco che mi aveva cambiato la vita, mi resi conto che il mio corpo era andato in automatico: ero dall'altra parte della palestra rispetto a prima, la spada in mano e la fronte imperlata di sudore. Alle mie spalle , file di manichini da allenamento squartati, i pezzi di arti finti che ricoprivano il pavimento come briciole, le teste senza volto sparse per la sala. Sembrava fosse passato un tornado di categoria cinque, e considerando i miei poteri non era impossibile che ne avessi effettivamente generato uno.
C'era un solo manichino, al centro della sala, ancora perfettamente intatto. Lo guardai un istante. Poi, feci fare alla spada un volo a campana, e la punta andò a conficcarsi al centro della testa del fantoccio, perfettamente in verticale.
Mi girai verso la spettatrice alla mia destra, unica persona reale nella stanza apparte me. Sorrisi ancora, soddisfatto di quel che ero riuscito a fare, piantando lo sguardo in quegli occhi verdi che mi fissavano sbigottiti.

- Philo_Sophia08

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