Fiocco di neve III

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Il vecchio schiarì più volte la voce e tentò così di mitigare il nervosismo che ormai corrompeva l'aria da cima a fondo.
L'atmosfera ormai provata dall'ingresso inaspettato del ragazzo, infatti, fece non poca fatica a tornare alla sua iniziale compostezza.
Io, che infine mi arresi alla stanchezza che mi sollecitò a selezionare uno dei tavoli che non pullulava di gente rozza, sfilai la sciarpa rossa che Claire mi aveva avvolto con estrema premura dicendomi che mi sarei ammalata se avessi considerato di non assecondarla.
Di nuovo mi ritrovai a ravvedermi di aver anche solo considerato il mio ingresso in quel locale, specie notando il modo inverosimile in cui ognuno di loro si era ammutolito- lasciandosi a stento scappare qualche bisbiglio sommesso- e si stesse atteggiando come un qualunque uomo farebbe di fronte al demonio.
I loro occhi fissavano tutti una persona soltanto, che in quella circostanza aveva finito per incuriosire anche me.
Sospirai gettando uno sguardo sul lungo bancone di legno in fondo all'osteria e mi concentrai sull'unica figura che si era accomodata su uno degli sgabelli davanti al tavolo.
Osservai la sua schiena tendersi al lento movimento del braccio mentre si portava la bibita alla bocca e mi ci soffermai per più di quanto volessi ammettere a me stessa.
Era certo che vi fosse in lui qualcosa di insolito, un'aria ambigua e peculiare che spiccava con facilità tra tutte le altre, e pareva che tutti la ricercassero con curiosità e al tempo stesso la evitassero come una contagiosa malattia.
Ma più ciò accadeva più lui tentava di sbarazzarsi delle loro attenzioni con le sue maniere scortesi; più volte aveva lanciato occhiate infuocate ai malcapitati che avevano commesso lo sciocco errore di incontrare il suo sguardo.
Nella reazione inopportuna di quella gente non vi era un solo aspetto che fallisse nel rimandarmi al profondo disagio che avevano provocato a me durante il mio penoso arrivo a Dreich.
Ma io non ero mai stata altrettanto capace di liberarmene.
Quando aggiustò con lentezza il lungo cappotto scuro e ruotò la testa guardandosi attorno, potei scorgere il suo viso per la prima volta.
I capelli scuri disegnavano dei tratti ondulati sui suoi occhi chiari, il naso era dritto, dalla punta alta e definita, le labbra piene e tinte di viola dal freddo pungente.
L'incarnato, invece, era ciò che di lui faceva più storcere il naso, tanto era il pallore che esibiva come una pena.
La sua bellezza emergeva in modo naturale tra le fattezze generiche di chi incontrava nel suo cammino; ero piuttosto sicura che non fosse ignaro dell'interesse che gli riservavano le donne all'interno di quel locale, benché non se ne curasse affatto.
Tuttavia, i lineamenti perdevano la loro eleganza e venivano violati dalle sue espressioni di sdegno.
Nel momento in cui il suo sguardo mi incontrò durante una veloce perlustrazione dell'edificio, un'insopportabile sensazione di disagio fu più che sufficiente a farmi rinsavire.
Subito mi imposi di fissare il mio su un punto lontano e indefinito, continuando tuttavia ad avvertire la sua lunga occhiata insieme al conseguente e fastidioso malessere di poco prima. Il martellante desiderio di tornare a casa si fece ancora più vivo dentro di me.
Quando vi riportai gli occhi in un guizzo di irritazione i suoi erano ancora lì, adesso incatenati ora al verde ora al castano dei miei, ma non c'era verso di decifrarli.
«Desiderate qualcosa, signorina?», la voce piatta di un cameriere mi riportò alla realtà e mi concesse un po' di tregua dallo smarrimento che mi aveva turbata a distanza di pochi frangenti.
Declinai in fretta la sua richiesta e lo vidi andarsene con poca convinzione.
«Finalmente», sentii dire poco dopo da un anziano signore. Dunque, indicando con decisione una delle finestre strette in fondo alla sala, annunciò: «Non nevica più».
Tirai un sospiro di sollievo e prima che me ne accorgessi o meditassi sulle mie azioni le gambe percorsero alla svelta l'intera taverna e varcarono l'uscita del locale.
Camminando a fatica verso l'abitazione dei Campbell potevo tornare a respirare senza percepire le mura e i rumori di quella taverna soffocarmi e restringersi attorno a me.
Lasciai che il vento mi cullasse e annebbiasse i miei sensi, che congelasse ogni pensiero infrangendosi sulle foglie seghettate e ormai bianche, tanto da farmi dubitare di aver udito o meno una voce in lontananza.
I miei passi erano scanditi dal ritmo degli stivali che affondavano sugli strati compatti della neve e poggiai una mano sul collo quando una raffica lo colpì, facendomi trasalire.
«Parlo con voi, vi ho detto di girarvi».
Mi bloccai, irrigidendomi di colpo, realizzando che il richiamo che avevo sentito prima non era stato un frutto irrisorio della mia immaginazione.
Il tono tetro e rigido mi scosse dall'interno e non occorse molto affinché lo riconoscessi prima di voltarmi, scorgendone il possessore.
«Vi sembra prudente camminare da sola per queste strade? Da irresponsabili, converrete con me».
L'intensità della sua voce era contaminata da una nota beffarda, mi squadrò con le sopracciglia sollevate ed ebbi modo di osservarlo meglio, notando che la presenza di una cicatrice all'altezza dello zigomo gli disegnava un breve segmento proprio sotto all'occhio sinistro.
«Voi siete da solo proprio come lo sono io» inclinai la testa, accigliandomi, e mi augurai che fosse sufficiente a farlo andare via.
«Sì» rigirò una fascia di lana rossa fra le dita. «Ma ho motivo di pensare che nessuno vorrà disturbare me».
Avevo visto quanto la gente dentro la taverna temeva quel ragazzo e lui continuava a dimostrare di esserne più che consapevole.
Forse, meditai, il suo scopo era quello di spaventarmi così come aveva fatto con loro.
Solo in un secondo momento mi accorsi che quella che stringeva tra le mani era una vecchia sciarpa.
Rendendomi conto di aver abbandonato la mia sul tavolo di quel ristorante mi ci soffermai senza dire una parola, ammonendomi all'istante per essermela dimenticata.
«Correre via da un locale senza accertarsi di avervi lasciato un oggetto dentro è ugualmente da incoscienti, nella maggior parte dei casi non avrete modo di riaverlo indietro. Temo non abbiate ancora capito com'é che funziona questo posto».
«Vi ringrazio per la doverosa lezione, signore» risposi con un fastidio che non passò affatto inosservato. «Devo aver avuto l'immensa fortuna di trovarmi in uno di quelli in cui accade il contrario».
Mi preoccupai di restituirgli la spavalderia che mi era stata rivolta corrucciando la fronte e incrociando le braccia al petto.
«Oh, io non credo nella fortuna. Se la mia reputazione mi precede, ho motivo di pensare che sapete quanto incontrarmi si allontana- secondo molti- dalla buona sorte» la sua premessa risuonò come un sibilo che non ricevette risposta. «Per sfidare la sera di questa città con un'aria così tranquilla potete essere solo due cose: molto sicura di voi o semplicemente molto sciocca».
Arricciai le labbra all'offesa che mi era stata rivolta, in silenzio scelsi di impegnarmi a non dargli alcuna soddisfazione.
Non ricevere alcuna replica, tuttavia, lo indusse ad affondare gli artigli della sua insolenza ancor più in profondità.
«Anche la vostra reputazione ha una certa risonanza. Dico bene, signorina?»
La sicurezza di cui mi aveva accusata vacillò.
Sentii ogni muscolo contrarsi per avvertirmi del pericolo, mi sembrava di udire il tagliente richiamo del vento raccomandarmi di andarmene al più presto.
Avevo imparato a guardarmi dal comunicare la mie origini a chi abitava in quel luogo, e non avevo alcuna intenzione di presentarmi a un tale che propagava senza scrupoli tutta la sua impertinenza.
«E perché mai vi interessate dell'identità di una ragazza che ritenete una squilibrata fin troppo sicura di sé?», lo pronunciai con grande amarezza. «Non ho niente da dire a riguardo né vi riguarda in alcuna maniera. In me non vi è la minima intenzione di continuare a sopportare ulteriormente la vostra scortesia».
Scrutai il suo pomo d'Adamo muoversi e avvertirmi di averlo fatto indispettire, di averlo portato a deglutire il fastidio che gli aveva contaminato il viso.
«Credetemi», si rabbuiò e accigliò rendendosi inclemente come la sua ammonizione, «non volete esprimervi in questo modo con uno sconosciuto da queste parti. Non sapete con chi state parlando né di cosa è capace. Se fossi in voi selezionerei le mie parole con più cura».
Allora fui io a ingoiare la tensione, la sua minaccia apparì chiara come i cocci di ghiaccio che rilucevano sugli alberi che ci ingabbiavano appieno.
«Sono una ragazza riservata» rimbeccai caricando la mia reazione della più ardente velenosità che ero in grado di esprimere. «Vi aspettate che il mio carattere cambi proprio con qualcuno che mi ha trattata con sufficienza dal momento in cui mi ha rivolto la parola? Proprio con qualcuno di queste parti?»
Le sue palpebre erano ormai ridotte a due fessure; una scintilla gli attraversò entrambe le iridi quando serrò i pugni fino a privare le nocche della loro saturazione.
Il modo in cui contrasse la mandibola gli disegnò addosso l'avvertimento raccapricciante della gente che lo aveva visto arrivare e in quel momento.
Rimproverandomi, desiderai quasi di non aver sfidato il fato con così poca coscienza.
Perché aveva ragione: ero da sola e in una città diversa da tutte le altre, con un estraneo che persino i suoi abitanti non osavano importunare e di cui sconoscevo ogni intenzione.
Pensai che era un folle e la paura di chi lo aveva visto entrare nella locanda fu più che sufficiente per convincermi che fosse vero.
Ma dopo un lungo silenzio si limitò soltanto a porgermi la sciarpa con poca grazia e ad articolare il suo discorso preoccupandosi di rifinirlo con un forte rancore:
«Lasciate che vi dia un'altra lezione, allora» soffiò di rimando, il tono basso e solenne si spense sulla mia avventatezza e mi indusse a indietreggiare. «Dreich non è un luogo adatto agli sfamati».
Non ero certa di quale fosse l'emozione che più si stava contorcendo dentro di me, se a scuotermi fosse più la rabbia o la paura, ma più la avvertivo più desideravo di liberarmene all'istante. Il cuore che martellava sul petto mi diede a stento modo di chiedermi chi fossero, gli sfamati.
«Qui perdonano tutto fuorché la debolezza, la individuano e annientano come belve» il luccichio che attraversò la sua espressione risoluta mi parve addentarmi la pelle come aveva predetto. «Ad alcuni, scoprirete, riesce persino meglio di altri».
Poi si voltò, sfoggiò la sua andatura decisa e mi lasciò senza modo né voglia di ribattere.

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