Inizi bizzarri

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La mattina dopo il mio arrivo mi svegliai circondata da una splendida sensazione di pulito.
Ad accogliermi la stessa sera c'erano state la morbidezza delle lenzuola candide, la carta da parati chiara e perfettamente liscia, il parquet di legno privo di ogni sorta di sporcizia e allo stesso modo si erano presentati il lungo tappeto bianco, i comodini di legno ai lati del letto e il camino di pietra posizionato dinanzi a esso.
Dopo il lungo bagno che Lauren aveva incaricato a una lavoratrice che si trovava nei paraggi di prepararmi- osservando il pessimo stato in cui ci eravamo presentati nella locanda, infatti, si era subito detta addolorata e pronta a garantirci ogni sorta di comodità- non avevo desiderato che rinchiudermi nella camera che mi era stata assegnata e raggiungere l'ampio letto a baldacchino cui unico colore era donato dalla stoffa azzurra che lo circondava da sopra.
E poiché lo avevo fatto con un bisogno e una stanchezza a intorpidire ogni lembo del mio corpo, non avevo avuto modo di apprezzarne l'arredamento fino a quell'istante.
Non potei fare a meno di trovare l'arredamento incantevole, respirarne l'aria tranquilla e confortevole dopo giorni di agitazione parve riscaldarmi fin dentro al petto.
Notai con grande sorpresa che un frammento di luce si faceva strada sul pavimento da sotto la tenda, indice del fatto che fosse già mattina e che avevo dormito come non mi accadeva da tempo.
Quella piacevole contemplazione fu presto interrotta dal brontolio del mio stomaco che, dopo la cena del giorno prima, continuava a reclamare altro cibo e a sollecitarmi a interrompere l'astinenza a cui lo sottoponevo con regolarità.
Eppure, sembrava che non riuscissi a muovere alcun muscolo.
Persino alla luce delle dolci parole delle ragazze (più volte mi avevano esortata a raggiungerle per la colazione, il giorno prima) non riuscivo a immaginarla se non con un probabile, grande disagio.
E la colpa ricadeva tutta sulla sottoscritta, perché isolarsi è il duro prezzo da pagare per chi si sente estraneo al mondo. È una condanna, la voce meschina di un'anima che ha paura.
Dopo aver trascorso almeno un'altra ora a digiuno, rinchiusa nella camera che avrei senz'altro preferito al malessere che non aveva alcuna intenzione di abbandonarmi, sentii bussare alla porta.
Mi misi in piedi e aggiustai con cura la veste lattea che mi era stata data per la notte.
In quei giorni avevo accumulato così tanta tensione che avvertii un'insopportabile sensazione di oppressione attaccarmi le pareti della gola man mano che avanzavo verso l'entrata.
La aprii con esitazione, scoprendo l'identità di chi avevo difronte in modo lento, quasi in ritardo.
A raggiungermi era stata Arabel, la più grande delle cantanti, e vedendola mascherai a stento parte della mia sorpresa.
La sera precedente, dopotutto, avevo trovato il modo in cui mi aveva fissata talmente singolare che avevo avuto l'impressione dí essere un imprevisto capace di ridurre in frantumi la più splendida delle notizie.
Eppure, osservando la sua espressione distesa da vicino- sebbene, come la mia, fosse ancora priva di un sorriso- non riuscii a leggervi nient'altro che un'elegante gentilezza.
I suoi occhi, che prima erano stati incupiti dalla rabbia, adesso esprimevano curiosità e dolcezza allo stesso tempo, i suoi lunghi capelli neri erano raccolti in uno chignon di trecce elaborate.
«Ciao» mi salutò con un piccolo sorriso intrecciando le dita sulla gonna del vestito blu. Risposi con un cenno moderato della testa e ciò la invitò a continuare: «Ho notato che non hai ancora fatto colazione e, dal momento che sono già passate le undici, ho pensato di passare per chiederti se andasse tutto bene. Sai, dopo un viaggio così lungo e tormentato...» si interruppe con un sospiro e mi scrutò, paziente, in attesa di una replica.
«Vi ringrazio per la premura» mi chiesi se il mio tono formale non lasciasse trasparire un'intenzione maliziosa, poiché anche se era dettato da un'abitudine poteva essere inteso con facilità come un invito a fare lo stesso.
«Puoi darci del tu, qui ci trattiamo come una famiglia» mi corresse con un'aria così tranquilla e incoraggiante da non far subentrare la mortificazione che mi avrebbe assalita in condizioni normali.
«Ti ringrazio» mi adeguai subito alla sua richiesta, quindi mi affrettai a farfugliare una qualsiasi scusa che potesse giustificare la mia assenza: «Mi sento ancora stanca e frastornata».
«Be', ma allora è proprio per questo che devi mangiare» esaltò l'urgenza del suo invito con un ampio movimento delle braccia. «Devi recuperare le forze (e a quel punto mi sorrise cingendomi una spalla e trascinandomi verso le scale). Avanti, andiamo insieme, non posso far finta di niente sapendo che stai male e che sei tutta sola. No, non può succedere, non nella mia Red Hoose».
Considerato che la sua decisione non ammetteva alcun rifiuto, non ebbi altra scelta se non quella di attenermi alle sue direttive e lasciarmi guidare in un'ampia sala da pranzo.
Riconobbi la stessa intimità di quella in cui avevo cenato, con un solo tavolo al centro e il forno scuro in netto contrasto con il legno dei mobili e delle credenze.
Tra le numerose sedie solo tre erano occupate: quelle di Barbara, Lauren e Davina, che mi accolsero con un affettuoso entusiasmo.
«Hazel» mi salutò l'ultima con un energico gesto della mano. «Come stai? Hai dormito bene?»
«Non dormivo così bene da mesi» ammisi prendendo posto, grazie al loro invito, proprio davanti alle sedie che avevano scelto prima che arrivassi.
Notando il compiacimento che si espanse sul volto di Arabel mentre mi serviva un piatto di uova e salsiccia mi fu ancora più chiaro il modo in cui teneva al suo locale.
Mi stupii di scoprire che chiacchierare con loro non era affatto difficile.
A limitarmi c'era, sì, un certo imbarazzo, ma veniva ostacolato a sua volta dalla loro benevolenza. 
Mi chiesero quali fossero i miei piani prima che mi cacciassi nei guai insieme ai loro amici- facendolo, persero per un istante l'entusiasmo che le aveva caratterizzate fino ad allora- e risposi con sincerità raccontando dell'invito di mia cugina.
Poi il discorso migrò sull'assenza della corrispettiva parte maschile del gruppo, che invece si trovava a caccia.
Dovetti mordermi la lingua pur di non roteare gli occhi o esprimere in qualsiasi modo il mio disappunto.
Erano trascorse quasi due ore, durante le quali avevo appreso che Davina adorava acconciare i capelli delle proprie amiche- e ciò spiegava la costante perfezione delle capigliature di chi le stava intorno-, che Lauren aveva imparato a suonare il violino, la sua più grande passione, quando era solo una bambina e che Barbara detestava la consistenza delle salsicce, quando i loro amici fecero ritorno.
Ognuno dei ragazzi condivideva un disordine generale dell'aspetto e dei vestiti, e ancor di più la sporcizia che per poco non fece venire un mancamento alla proprietaria della locanda.
«Avanti, Arabel, a stare attenti alla pulizia non ci si diverte mai» sdrammatizzò il giovane chitarrista correndo, tuttavia, a lavarsi le mani sotto il suo ordine inflessibile.
«A me è venuta una fame...» esordì il riccioluto che ricordavo chiamarsi William, e alla sua confessione vi fu la derisione di Ewan che lo scherniva per l'impossibilità di esaurire il suo appetito.
Il signor Darroch fu l'ultimo a fare il suo ingresso, e io non potei fare a meno di notare che veniva circondato da un'aria che non gli avevo mai visto addosso.
I capelli scompigliati gli ricadevano sulla fronte serena, una comoda camicia lasciava scoperto il petto largo che si abbassava e alzava in modo lento e controllato.
Era così tranquillo che feci fatica a riconoscervi lo stesso ragazzo che mi aveva ospitata a Sentieri Nascosti, o ancora quello che avevo incontrato per la prima volta a Dreich.
Quando mi rilevò tra gli altri non fece in tempo a camuffare una tenue oscillazione di sorpresa palesarsi sul suo viso; il suo sguardo percorse la mia intera figura per diversi istanti, provocandomi non poco disagio e dissenso.
Raggiunse il tavolo con dimestichezza e riempì fino all'orlo un bicchiere d'acqua, eppure non dimostrò in principio alcun interesse nell'ingerirlo.
«Sono sorpreso», lo sentii pronunciare in seguito, senza però soffermarmi sul contenuto delle parole.
Vedendo che i suoi occhi continuavano a scorrere sui miei lineamenti accigliati con una malcelata curiosità, tuttavia, compresi che si stava rivolgendo proprio a me.
«Come avete detto?», corrucciai un po' la fronte, pronta a raccogliere l'ostilità che mi era necessaria per intraprendere una qualsiasi conversazione con lui.
«Di trovarvi qui, intendo», continuò con un distacco educato e formale, facendo accrescere la mia titubanza. «Non me lo aspettavo di certo».
«Arabel è venuta in camera mia a chiamarmi».
«Arabel» ripeté contraendo la mascella e rivolgendole una scorsa fugace. Non disse una parola di più sul suo conto, tuttavia, dimostrando una considerazione che non ero affatto abituata a ricevere da lui: «Vi siete ripresa, dunque?»
«Sì, signore, mi sento decisamente meglio».
Trovai da subito estraneo il suo interessamento e per questo replicai alla stessa domanda che mi era stata posta più volte in precedenza con meno sicurezza.
Ripensai all'impegno che avevo dimostrato nel disinfettare i tagli e i lividi che avevo rimediato nel viaggio, poco prima di trovare conforto nell'acqua calda della vasca da bagno, e ancora una volta decretai che la mia replica era senz'altro sincera.
Axel tacque e mi indirizzò un'ultima occhiata, soffermandosi con un'insistenza che mi fece subito rivolgere la mia altrove, infine si voltò e si diresse dai suoi amici (che adesso conversavano con interesse) con un'andatura lenta, capace come nessun'altra di trascinare con sé anche l'attenzione di chi la seguiva.
«Se sono così esaltati adesso non oso immaginare come saranno durante la festa», borbottò Lauren a braccia conserte con gli occhi fissi su Alec, trovando in me la disattenzione di chi aveva ben altro su cui affliggersi in quel frangente.
«La festa, è vero!», Davina esplose in un'esultanza, come se l'avessero svegliata soltanto in quell'istante.
In seguito esclamò l'ultima delle cose che avrei potuto aspettarmi, e così anche l'ultima che avrei potuto desiderare: «Oh, Hazel, devi proprio esserci stasera!»
Non realizzai di essere stata invitata fino a quando non trovai il signor Darroch a guardare di nuovo nella mia direzione con la schiena ben salda contro il muro, le braccia conserte e un sopracciglio che si sollevava riportandomi alla realtà.

Sentieri NascostiWhere stories live. Discover now