Capitolo 1

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Un giorno qualsiasi, a cavallo tra settembre e ottobre 2011, durante una lezione, la professoressa di italiano chiese cosa avremmo voluto fare da grandi. Nessuno lo sapeva. Io pensavo di esserne certa.

"Oggi a scuola la prof ha chiesto se qualcuno di noi aveva già un idea del proprio futuro.
Nessuno sapeva rispondere, chi diceva di non saperlo, chi si vedeva solo nel mondo del lavoro o dello studio, ma senza una meta precisa.
Poi è toccato a me, e tutti già sapevano cosa sarei voluta diventare, come vedevo il mio futuro, se roseo o plumbeo: tutti sapevano del mio sogno, così lontano eppure così vicino, come se mi sfidasse a raggiungerlo.
Bene, ti ho visto, e ora non mi scappi più, perché sono qui apposta per te, sono nata per conoscerti e per fare in modo di tenerti stretto a me, caro sogno."

Parlavo della scrittura, della lettura, dell'astronomia. Tutti sapevano di queste mie passioni. Tutti mi guardavano come se solo io avessi potuto portare a termine questi obiettivi, in un modo o nell'altro. Mi sentivo cosi incredibilmente forte quando scrissi di questo avvenimento. Pensavo davvero di avere un obiettivo e che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a distruggerlo. Mi dovetti ricredere presto.

Eppure, prima di tutto questo, un evento molto più importante era accaduto. Quello che segnerà per sempre la mia vita.

Ogni mattina, prima di entrare a scuola, mi incontravo con alcuni amici in un bar lì accanto. In quel posto giravano un sacco di ragazzi, sia del mio istituto (ITIS) che delle scuole vicine. Io mi ero sempre limitata a osservare la gente che conoscevo e a salutare le stesse persone. Immaginatevi ogni mattina, a partire dal 15-20 di settembre, fino alla fine del mese, avanti e indietro per questo bar, guardando gli altri fumare e prendere il caffè, parlare di materie che ancora io non studiavo, o di calcio o di argomenti di cui non sapevo il reale significato. Immaginate questo bar, con tavolini e sedie e un bancone all'interno, una saletta fumatori con le slot machine e strani individui che entravano e uscivano; un tendone all'esterno sempre fornito di tavolini e sedie, e noi poveri ragazzi ignari di quello che succederà a scuola nelle successive cinque ore. Immaginate questo ambiente, nel quale solo io sono il sesso debole, l'unica ragazza circondata da maschi che probabilmente conoscono il suo nome solo perché è una delle poche femmine dell'istituto. Tutto questo era routine; ma una mattina era destinata ad essere diversa.
Arrivai, abbracciai i miei amici. Mi girai giusto in tempo per vederne un altro e salutarlo, e scorgere dietro di lui una figura che non avevo mai notato prima. Un ragazzo di piccola statura, castano scuro, occhi castani ma di ghiaccio, profilo da mafioso serial killer quasi, con un atteggiamento che sembrava quello di Dio sceso in terra. "Si, come se potesse permetterselo. Ma chi si crede di essere sto qua?". Mi guardava in modo strano, con fare silenzioso ma omicida quasi, come se stesse pensando la stessa cosa che intanto pensavo io nei suoi confronti. Come primo approccio, era ottimo direi. Ci sedemmo tutti nei tavolini esterni, e lui continuò a fumare senza degnare nessuno, finché non senti la sua voce solo quando disse qualcosa ai suoi compagni. Poi di nuovo silenzio. Questa cosa non era normale, non mi aveva rivolto che pochi sguardi, eppure ero l'unica novità in quel gruppo. Non ci avrei dovuto dare tanto peso, invece la cosa da una parte mi scocciava e dall'altra mi incuriosiva. Ma non avrei mai pensato che sarebbe successo quello che in effetti successe dopo.

Qualche giorno più tardi, eravamo nella saletta all'interno del bar e stavamo aspettando il momento di entrare a scuola. Non credo di aver pensato più di tanto a quel nostro primo incontro, d'altronde non sapevo neanche il suo nome. E non ricordo nemmeno se mi trovavo nella panchina vicino al tavolo e lui sullo sgabello di metallo o viceversa, fatto sta che in un momento di silenzio (quasi), la mia voce risuonò, cosi, con fretta, quasi senza pensarci.
- "Senti, ma io non ho ancora capito come ti chiami." dissi.
- "Prova a indovinare." mi rispose in tono di sfida, con un fulmine di giocosità negli occhi.
- "Non saprei, dammi un indizio almeno."

- "E' un nome americano."
"Ecco, questo già mi piace." pensai.

- "Mmm... Walter!"
- "No."

- "John..."

- "Nemmeno."

- "Non lo so, dimmelo tu!" dissi con rassegnazione.

Dopo un po', non ricordo bene come, arrivò la risposta.
- "Johnny."
"Ti prego, dimmi che sta scherzando."
- "Sul serio?" mi limitai a domandare io, con la più naturale euforia di sempre.
- "Si, perché?"
- "Johnny Depp è il mio attore preferito! E comunque John e Johnny non sono molto diversi." replicai io con fare disinvolto.
- "E tu, come ti chiami?"
"Wow, colpo di scena, sa fare a parlare allora!"
- "Jessica..."
Senti una risata, sua e del suo amico, poi qualche parola: Johnny stava dicendo qualcosa: che evidentemente a sto mondo tutte si chiamavano così. Non capi inizialmente, poi mi spiegarono che una sua recente fiamma si chiamava come me. Rimasi stupita, ma poco dopo senti una risposta.
- "Comunque Jessica Alba è la mia attrice preferita."
Passai la giornata a ripensare a quella breve conversazione, ai suoi occhi, alle parole riguardo a quella ragazza che evidentemente aveva fatto soffrire Johnny e al fatto che l'avrei voluto aggiungere su Facebook. Appena tornata a casa infatti lo cercai e gli inviai la richiesta di amicizia, che lui accettò. E da quel momento iniziammo a parlare: in chat, per sms dopo che una sera gli chiesi il numero di cellulare; di persona al bar, e la mattina a scuola quando ci vedavamo in giro. Ci chiamavamo al telefono, parlavamo delle ore. Che fossimo a casa o in giro. Ma pensavo che fosse un amico, un conoscente come tanti. In effetti, non era esattamente il mio tipo di ragazzo, e neanche mi aveva mai sfiorato il pensiero che potesse un giorno diventarlo. Ma il destino evidentemente aveva piani ben diversi per noi due.

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Era il 7 o l'8 o il 9 ottobre 2011, e quella sera si sarebbe svolta la notte d'oro nel centro di Ravenna, un evento a cui tutti i cittadini partecipano ogni anno e che è ispirato alla cultura e all'osservazione dei luoghi antichi della città. Arrivò la sera e andai con alcune amiche in centro. E tra un discorso e l'altro, un saluto di qua e un drink di troppo di là, tutto fu chiaro; in quel momento mi resi conto di quello che volevo. Aspettai un po', per capire cosa ci fosse di sbagliato in me o in ciò che mi stava succedendo, dato che fino a qualche giorno prima mi sentivo ancora perfettamente me stessa. Eppure sapevo che c'era qualcosa in più che mi aspettava. Qualcosa di diverso. Qualcosa che avrei apprezzato, se solo avessi avuto il coraggio, per la prima volta, di rischiare. Ma non sapevo cosa.

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