«Dalla sala sembrava fosse cascato il mondo dal tonfo che si è sentito. Sai, magari allevi un elefante in bagno, non si può mai sapere.»

«Sicuro, come no. Fatti un po' i fatti tuoi.»

«Come sei permaloso. Non sarai mica inciampato nei tuoi stessi piedi?»

«Ti ho detto di stare zitto.»

«Si, si, come vuoi. Imbranato.» Poi sento i suoi passi allontanarsi.

Rosso per la vergogna ripongo il bagnoschiuma sul ripiano e spengo l'acqua rinunciando a farmi la doccia. Esco tutto gocciolante e, dopo essermi avvolto nel mio gigantesco accappatoio e aver messo gli occhiali, sgattaiolo fuori dal bagno per andare a rifugiarmi in camera. Avevo paura che fosse ancora appostato fuori dalla porta, pronto a mettermi in ridicolo non appena avessi varcato con un piede la soglia della stanza. Mi vesto con un paio di jeans sdruciti e una camicia a quadri che porto fuori dai pantaloni, ai piedi le mie inseparabili Converse All Star rosse. Prendo uno zainetto e ci infilo dentro il libro che, a quanto pare, è come Sofia ma non è lei. Devo ancora elaborare tutta questa assurda faccenda di uomini e libri e anime che si incarnano a loro piacimento, mi suona così illogico e privo di senso. Oppure la mia mente è troppo ottusa per capire.

Il martedì mattina è un giorno in cui non viene mai nessuno in libreria quindi potrò leggere tranquillamente senza essere interrotto.

Torno in salotto. Sofia si è legata i capelli in una coda con un elastico e Mister Antipatia si è rimesso gli stivali lasciando il mantello sul divano, segno che quel buzzurro spera anche di ritornarci, a casa mia. Ma se lo può proprio sognare!

«Credo proprio tu stia dimenticando qualcosa.»

«No, do meno nell'occhio senza mantello, non pensi, Idiota?»

«Punto uno, non chiamarmi Idiota. Punto due, forse non hai capito che qui non metterai più piede in vita tua. Se ti vesti in modo ridicolo, non è un mio problema, Buffone.»

«Non permetterti di insultarmi mai più.»

Si avvicina a me minaccioso e ci fronteggiamo con astio per qualche minuto. La cosa sfocerà di certo in uno scontro, con tragici esiti per me, se Sofia non interverrà prontamente mettendosi in mezzo per separarci. Prego che mi salvi da questa triste fine perché di mia spontanea volontà non mi tirerò mai indietro, dimostrando a quello lì che sono un vile che ha paura di lui, sebbene sia la verità.

Per fortuna fa proprio quello che speravo. «Okay, stiamo calmi. Non stavamo per uscire?»

«Prima deve prendere le sue cose il tuo amico Cafone.»

Sta per ribattere, ma Sofia gli mette una mano sulla bocca per tappargliela. Che bella soddisfazione!

«Potrebbe gentilmente lasciare qui alcune cose, non penso sia il caso di andare in giro con uno armato di spada, non credi anche tu? Per favore.»

Questa è una forma di violenza psicologica: come potrei mai dirle di no se mi guarda con quegli occhi? E infatti non so resistere. Mi sento ridicolo per la mia debolezza e non oso immaginare cosa pensi adesso Zorro, anche se in effetti la considerazione che ha di me potrebbe difficilmente peggiorare.

«Bene. Usciamo.»

Guardo Zorro in cagnesco e mi avvio in ingresso per aprire la porta.

Sofia e il tizio, che tra l'altro non si è ancora presentato, escono a ruota dietro di me e richiudo la porta alle nostre spalle. Sbuchiamo in piazza dove inizia a vedersi un po' di vita e percorriamo buona parte del tragitto in silenzio.

«Come si chiama il tuo amico, Sofia?»

«Puoi chiedermelo direttamente, Quattrocchi. O hai bisogno dell'interprete per capire quello che dico?»

Fuori da queste pagineWhere stories live. Discover now