Capitolo 30 - Seconda Parte

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Dora aprì gli occhi con lentezza e estrema fatica, sentiva le palpebre pesanti come macigni e la testa che le scoppiava. Ciò che però più le dava noia era la sensazione di freddo che la avvolgeva, non si trovava tra le calde lenzuola del suo letto ma sul pavimento. Ci mise un po' a mettere a fuoco e a realizzare di aver passato lì tutta la notte; doveva essersi addormentata per lo sfinimento.

La verità era che avrebbe preferito non svegliarsi, gli incubi la tormentavano nel sonno ma da vigile, l'angoscia, non le permetteva neanche di respirare regolarmente; aveva già provato quella sensazione di abbandono, il vuoto che le lasciava l'assenza di Remus, ma le era impossibile abituarcisi. Lo conosceva forse anche meglio di se stessa, sapeva bene che quando i tormenti o i sensi di colpa prendevano il sopravvento lui reagiva d'istinto; il più delle volte non voleva ascoltare ragioni e fuggiva, solo che questa volta era molto peggio.

In primis non aveva idea di dove poter andare a cercarlo, ormai non esisteva più alcun luogo sicuro, men che meno per un membro dell'Ordine, un nemico conclamato di Voldemort; di sicuro aveva scelto un posto ben nascosto e quindi difficile da rintracciare. La cosa però che faceva ancora più male delle occasioni precedenti, era il fatto che ora non si fosse separato solo da lei ma anche dalla creatura che portava in grembo.
Non poteva proprio capacitarsene, un conto era comportarsi da testardo con lei, un altro era coinvolgere anche il bambino, ma nonostante la ritenesse una scelta irrazionale e scorretta, dettata dalla paura e dall'ansia, quello che la faceva arrabbiare era che non riusciva a odiarlo.

Non appena l'aveva visto smaterializzarsi aveva preso a urlare, a battere i pugni contro la porta in un vano tentativo di sfogo ma, subito dopo, si era lasciata cadere e aveva ricominciato a piangere, a singhiozzi, senza ritegno o doversi preoccupare di ciò che qualcun altro avrebbe potuto dirle.

Lei non cercava sostegno, parole di conforto o una presenza amica che la incoraggiasse con un "Ce la farai"; no, lei in quel momento desiderava essere libera di potersi esprimere come meglio credeva.
Voleva essere Dora, non l'Auror che deve indossare una maschera di freddezza e affrontare pericoli, non la ragazza perfetta che non inciampa o non rompe piatti e bicchieri, non la compagnona del gruppo che fa ridere tutti e neanche la moglie che cerca di supportare sempre il marito. Non le era mai pesato perché tutti quegli aspetti facevano parte di lei, del suo modo di fare e vivere ma, per una volta, si era semplicemente lasciata andare e concessa di buttare fuori il dolore che la trafiggeva.

E così era stata lì seduta in una delle sue posizioni preferite, con le ginocchia strette al petto e la testa appoggiata sopra di esse; fino a che la stanchezza aveva preso il sopravvento e si era accasciata a terra.

Non aveva voglia di alzarsi, di riprendere una quotidianità di cui ormai Lupin era parte essenziale, ma era compito suo occuparsi anche della salute del piccolo e di certo quell'atteggiamento non era giusto.

Si costrinse a mettersi in piedi ma non era stabile, sbarellava e le girava di testa; si tenne alle pareti per non cadere e raggiungere la cucina. Non aveva fame, era sprovvista di ogni tipo di entusiasmo e anche le energie sembravano essersi completamente esaurite; avrebbe comunque tentato di mangiare, non aveva altra scelta.

Iniziò a aprire gli sportelli alla ricerca di qualcosa che non fosse troppo elaborato da cucinare ma almeno digeribile, alla fine prese una delle prime cose che le capitò tra le mani; nell'ultimo periodo si era sempre occupato Remus dei pasti, il lavoro era diventato ancora più impegnativo e lui l'aiutava come poteva.

Si accomodò ma la testa, si sa, gioca spesso brutti scherzi e è capace di disconnetterci dal nostro corpo e dal posto in cui ci troviamo, con una forza paragonabile alla corrente del mare. Non permetteva alla donna, neanche per un istante, di smettere di pensare a Remus e alle ore condivise insieme in quella casa che, per quanto lui potesse negare, apparteneva a entrambi. Era il loro porto sicuro dove avrebbero trovato conforto e amore, ma se fino alla sera precedente era come un camino acceso dalle fiamme splendenti, ora la legna si era esaurita e erano rimasti solo cenere e oscurità.

Remus e Tonks. Storia della luna e della sua rosea metà.Where stories live. Discover now