Capitolo 1 - Quel normale primo di settembre

56 2 0
                                    

Le strade di Londra non erano mai state così affollate di turisti come quell'estate. Erano arrivati da tutto il mondo per vedere ogni più piccola cosa di quella splendida città inglese: il Big Ben, Buckingham Palace, il cambio della guardia, il Tower Bridge, il London Eye e molto altro.
Tutto in quella città era affascinante, specialmente la sera, quando si accendevano miliardi di luci che davano quella bellissima sensazione di calma e stupore da lasciare tutti a bocca aperta.
Era fine agosto e molti turisti si permettevano un ultimo svago prima di ritornare a casa e prepararsi per l'inizio di scuola e rientro nei vari uffici. Questa era una di quelle sere in cui una famiglia normale si concedeva un'ultima serata normale: cena in un ristorante chiamato The Five Fields.
Erano una normalissima famiglia polacca, marito, moglie e due figli, un maschio e una femmina. Avevano alloggiato in un hotel a tre stelle e si erano concessi un piccolo lusso prima di ripartire il giorno dopo verso casa. Stava andando tutto bene, erano sereni e felici di aver trascorso due settimane in una delle più belle città del mondo. Non pensavano certo che di lì a poco qualcuno, o qualcosa, avrebbe sconvolto tutto in nemmeno di ventiquattro ore.
Stavano aspettando il dolce quando qualcosa sfrecciò per le strade di Londra. Nessuno lo vedeva perché aveva una velocità tale che si sentiva solo una forte ventata improvvisa e nient'altro.
Sfrecciava per tutta Londra, ma nessuno se ne accorgeva. Non era un ladro, perché non faceva sparire niente ma qualcosa faceva, e il giorno dopo se ne sarebbero accorti tutti. Era andato a Londra per un motivo: trovare la scatola. Non era a conoscenza, però, del fatto che le scatole ora erano in mano al legittimo proprietario; era in viaggio da mesi e il suo padrone, come lo chiamava lui, non aveva avuto il tempo di avvisarlo. Era andato a Mosca, a Roma, a Rio De Janeiro, a Parigi, a Berlino; era andato in otto capitali di tutto il mondo, alla ricerca di queste scatole. Una ricerca inutile, ma lui non era a conoscenza della verità. Era però a conoscenza del problema che stava portando in tutte queste città: aveva incontrato una persona prima di iniziare la sua ricerca e gli aveva dato una piccola caramella come segno di "buona fortuna", come l'aveva definita colui che ora chiamava il capo. Lo aveva ingaggiato a insaputa del padrone e l'aveva convinto a scatenare questo piccolo problema per suo conto, in cambio gli aveva promesso un futuro pieno di gioia e divertimento, proprio ciò che lui sognava. E ora si era ritrovato a correre per le strade di città che non avevano più quelle scatole e correva per due persone che non sapevano l'una dell'altra. Non sapeva perché il padrone volesse quelle scatole e non sapeva perché il capo volesse far scatenare quel piccolo problema sulle città. Lo riteneva molto strano, perché non sarebbe passato inosservato, ma lui non aveva fatto domande e si era limitato ad agire.
Aveva appena attraversato il Tower Bridge, totalmente assorto nei suoi pensieri e forse correva anche più velocemente del solito, infatti andò addosso a una signora che stava parlando al telefono. Non si fece scrupoli, sempre ad alta velocità si rialzò e corse via. La donna si ritrovò per terra in neanche un secondo e stava per finire dall'altra parte del ponte, nel fiume. Subito delle persone la soccorsero e le chiesero cosa fosse successo, ma lei non si rese conto di nulla e finì per balbettare, ma mentre si sistemava i capelli, ormai diventati un cespuglio, si ritrovò sotto un'unghia a mandorla e dipinta con uno smalto rosso rubino, un pezzo di tessuto che sembrava sintetico, color argento vivo. Non sapeva da dove provenisse, si limitò a guardarlo e poi a lanciarlo nell'aria pensando che fosse inutile. Ma in realtà non era inutile, quel piccolo pezzo di tessuto aveva fatto fermare quella piccola saetta invisibile in un vicoletto vuoto e buio. L'aveva fatto fermare perché un pezzo della sua tuta era stato strappato. Senza quella tuta non era niente, era ciò che il capo gli aveva dato per poter scatenare quel piccolo problema, e senza l'avrebbe solo deluso. Si osservò il braccio sinistro: era solo un piccolo strappo poco sotto la spalla, ma avrebbe comunque preferito avvisare il capo della cosa. Voleva che la tuta fosse perfetta così come il compito a lui assegnato.
Decise di ricominciare a correre, ormai anche in quella città aveva finito. Si diresse verso la costa fino ad iniziare a correre sull'acqua, e allora sì che la gente poteva ammirarlo. Tantissime persone stavano passeggiando sulle scogliere e tutto ciò che sentirono fu un'improvvisa ventata fredda e poi una scia bianca sul mare. La osservarono continuare a crearsi fino a dove l'occhio permetteva di vedere. Ma al nostro velocista non importava, il suo unico obbiettivo era la terra oltre quell'oceano.
Solo a metà strada si rese conto di avere ancora un ultimo compito per il capo, e decise di portarlo al termine prima di farsi cucire quel piccolo strappo che lo faceva sentire in qualche modo vulnerabile. Continuò a correre fino ad arrivare al porto di New York. Si arrampicò in cima alla statua della libertà, attraversare l'oceano lo aveva sempre stancato, poiché doveva correre più velocemente del solito per evitare di cadere nell'acqua. Guardò le persone che camminavano e si fermavano ad osservare quell'anomala scia bianca sull'acqua. In America il sole già splendeva quindi doveva fare in fretta, dato che alla luce del sole era più visibile.
Riprese a correre per le strade e passò sotto un grattacielo in cui viveva un uomo che aveva perso la moglie due anni prima e aveva mentito alla figlia adottiva. Ora era seduto a tavola e stava pensando a un modo per raccontare alla figlia quella piccola parte della storia che ella ancora non sapeva, il motivo, ma al velocista non importava, anzi, non era neanche a conoscenza dell'esistenza di quell'uomo.
Correre per New York non fu facile come per le altre città. In quest'ultime sapeva benissimo dove andare, sapeva cosa cercare e sapeva bene quando era il momento giusto per arrivare, prendere e andarsene. Ma quest'ultimo compito che il capo gli aveva lasciato, era molto più difficile. Il compito gliel'aveva affidato all'ultimo minuto e non aveva dato ne indirizzo, ne riferimenti particolari, ne volti da identificare. Gli aveva solo dato due nomi e un cognome: padre e figlia. Si era perso almeno una decina di volte e quando era riuscito ad arrivare alla villa doveva vivevano, il sole era ormai tramontato.
La villa aveva un giardino circolare e tutte le finestre emanavano una leggera luce, ma una al pian terreno era più forte. La piccola famiglia era seduta a tavola, uno di fronte all'altro. Padre, madre e figlia. Il maggiordomo stava servendo il piatto preferito della ragazzina e la cucina si stava preparando a portare la torta di compleanno per quest'ultima. Quel 27 agosto la ragazza avrebbe compiuto diciotto anni e i genitori erano molto felici, perché si avvicinava sempre di più alla maggior età.
Il velocista osservò la famiglia dalla finestra e rimase quasi incantato: loro erano ciò che lui non aveva mai avuto. Aveva avuto una famiglia, certo, ma a loro non fregava niente di lui, avevano occhi solo per sua sorella maggiore e facevano finta che lui non esistesse, quasi come se fosse morto. Lì osservò per qualche secondo, poi tornò al presente e si ricordò del compito che il capo gli aveva affidato.
Prese della rincorsa, non tanta, non gli sarebbe servita; corse e sfondò la finestra proprio mentre il maggiordomo aveva finito di cantare la canzone di buon compleanno e la ragazza stava per spegnere le diciotto candeline. Ma non fu lei a spegnerle, una ventata di aria fredda le fece scendere un brivido lungo la schiena e le candeline si spensero da sole. Nessuno fece in tempo a capire il motivo che un vortice di luce argentea avvolse tutti e quattro. L'aria era sempre più forte e tutto ciò che era in tavola volò per aria e si schiantò verso le pareti, il lampadario di cristallo iniziò a volteggiare e le lampadine scoppiarono una dietro l'altra. Il padre corse verso la moglie che stava abbracciando la figlia, ma non badò al maggiordomo che si era rifugiato sotto al tavolo. Le sedie volarono anche esse e sfiorarono la ragazzina, schiantandosi e frantumandosi contro le pareti.
Il velocista continuò a correre, fino a quando il padre non si staccò dalla moglie per provare a capire da dove quel vortice si creasse. Solo allora si lanciò sul padre e lo afferrò per la cravatta, lo trascinò dalla finestra rotta, poi si fermò.
La moglie iniziò a supplicarlo di lasciarlo andare, ma lui non disse niente, fece solo dei 'no' con la testa. Osservò la ragazza, in qualche modo gli dispiaceva di aver rovinato il suo compleanno, ma non aveva altra scelta, voleva quel futuro che tanto sognava.
"Merida prenditi cura di lei!" disse il padre mentre il velocista lo tirava su di peso e lo afferrava dalla vita. "Ti voglio bene Emma!"
E uscì dalla finestra rotta, così com'era era entrato, in un flash.
Emma non sapeva cosa fare, era rimasta sconvolta così come la madre e non aveva aperto bocca per una settimana. Quella figura. Era una figura alta e slanciata con una tuta elastica color argento. Portava una maschera e aveva solo i fori per gli occhi, il resto non era possibile vederlo. Aveva continuato a vedere quelle immagini per giorni, e con sua madre non andava meglio...
Quella tuta gli permetteva anche di attraversare la debole barriera protettiva che il capo aveva creato per proteggere ciò che chiamava la Fortezza. Una volta attraversata la barriera si fermò e avanzò verso il portone a passo d'uomo. Entrò nella Fortezza e una donna coi capelli rossi scuri scattò in piedi dal trono bianco appena lo vide, mentre una ragazza dai capelli biondi smise di parlare con lei e si diresse verso il velocista subito dietro alla donna coi capelli rossi.
"Bene!" disse Alicia mentre il velocista lasciava andare il padre di Emma per terra, non aveva un bel colorito e sembrava sul punto di rigurgitare la cena. "Hai portato a termine il tuo compito. Hai corso per le città?" il velocista annuì. "Ottimo, bravissimo. Cosa hai fatto alla tuta?" il velocista non rispose e Alicia si limitò a sorridere e a far schioccare più volte la lingua. Passò una mano sulla tuta e lo strappo sparì. "Ora non sei più vulnerabile! Nicole, porta il nostro ospite nella cella più scomoda che abbiamo. Tu puoi andare, e grazie, torna pure a casa!"
Il velocista si girò e sparì di nuovo. Alicia si voltò e osservò Nicole mentre trascinava via il padre di Emma, poi tornò accanto ad Alicia seduta sul trono.
"Sai almeno come si chiama?" chiese Nicole curiosa.
"Chi il velocista?" rispose Alicia con tono divertito. "Certo che lo so, ma non è necessario che tu lo sappia!"
"Perché? Pensi che io lo conosca?"
"Tu? Può darsi, di persona non credo tu l'abbia mai visto, ma non voglio metterlo a disagio, per questo gli ho dato la tuta!"
"Per nascondermi la sua identità?"
"Solo in minima parte, in realtà quella tuta rilasciava nell'aria delle sostanze che creeranno un..." fece una piccola pausa. "Piccolo problema climatico per una settimana in varie città, New York compreso, e mi aiuterà a diffondere una cosa." Non guardava Nicole, guardava fuori, in cortile, mentre i soldati lavoravano alle Montagne D'Acciaio.
"Cosa?"
"Non è ancora il momento che tu lo sappia. Il velocista d'argento sa cose che tu magari ancora non sai, ma lui aveva il diritto di saperle."
"Quindi ha anche un nome in codice, velocista d'argento?!"
"Sì! Ti piace?" la guardò, finalmente, assieme a un grande sorriso compiaciuto della sua scelta.
"Mi piacerebbe sapere per lo più il vero nome."
"Lo scoprirai, abbi pazienza, ricordati qual è il tuo posto Nicole!" susseguirono alcuni secondi di silenzio.
"Dov'è andato ora?" chiese Nicole.
"A casa!" rispose Alicia mentre si strappava delle doppie punte dai capelli. "Deve prepararsi per la scuola! Quest'anno inizia il suo secondo anno, è un peccato che tu non ci andrai, avresti potuto capire chi è!"
Tornato a casa, nascose la tuta in una scatola da scarpe con un incantesimo che Alicia gli aveva dato: se qualcuno l'avesse aperta avrebbe trovato soltanto una scatola vuota. La nascose nel suo armadio e corse via di nuovo, questa volta andò dal suo padrone.
"Ho fatto quello che mi hai chiesto, ho guardato in ogni città che mi hai detto, le scatole non ci sono!" disse appena si fermò nel suo studio. Lo odiava quello studio: piccolo, disordinato, sporco, lui odiava tutte queste cose.
"Le scatole non ci sono?!" il suo padrone era di spalle alla finestra e osservava la luna. "Strano, avrei giurato che ci fossero!" si voltò verso il ragazzo e l'osservò con i suoi occhi di ghiaccio.
"Continuerai a cercarle, ma non..."
"Ma signore..."
"Non voglio scuse! Continuerai a cercarle, ma non ora. Da domani ti concentrati sulla scuola, non dare nell'occhio, attento se qualcuno ti segue, non fare in modo che la Suprema del Giorno si insospettisca di te, comportati da ragazzo normale, hai capito?"
"Si signore!"
"Bene, ora va a casa, la tua famiglia sarà in pensiero!"
"Credono che io stia giocando ai videogiochi!"
Il suo capo sospirò, non gli aveva dato un'ottima sistemazione, ma al velocista andava bene, gli bastava solo non rivedere la sua famiglia biologica. Egli, infatti, dopo che venne contattato da Alicia fece una mossa drastica ma necessaria per sparire nel nulla. Aveva alloggiato alla Fortezza per un po' di tempo, poi il padrone era entrato di punto in bianco nella sua vita, dandogli come prima cosa un nuovo alloggio: aveva fatto un incantesimo a una vecchia coppia mondinga e ora credevano che il ragazzo fosse un loro lontano nipote, iscritto a un liceo vicino a casa loro. Lo trattavano bene, ma al velocista non interessava più di tanto: voleva il futuro di gioie e avrebbe fatto di tutto per averlo.
Il ragazzo si diresse verso la porta e afferrò la maniglia, ma prima salutò di nuovo il suo padrone.
"Arrivederci Walter!"
E pochi giorno dopo si ritrovò di fronte al portone della scuola che per lui non aveva molto senso. La considerava inutile e pensava che il suo rendimento scolastico non servisse per il suo futuro. Si sistemò la borsa sulla spalla e si diresse verso il portone come tutti gli altri, poi gli vibrò il telefono. Gliel'aveva regalato sua sorella per i suoi diciassette anni, prima di tutta la messa in scena, e se n'era innamorato.
Lesse il messaggio, corto, a prima vista insignificante e con una firma strana. Recitava:

Clarissa Sangue e il Velocista d'Argento || VOLUME 3Onde histórias criam vida. Descubra agora