9. Adolescenti di oggi

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Cosa diamine sto facendo qui?

I Tre Manici di Scopa non brulica di gente come durante i fine settimana. I tavoli sono occupati solo dai soliti clienti abituali, una strega con un cappello che farebbe invidia ad un cono del traffico, dei vecchi che giocano a scacchi. Ed io: il più insignificante dei Potter. Nessuno mi guarda quando il campanello alla porta annuncia il mio arrivo, nessuno solleva lo sguardo dai propri bicchieri, non ne vale la pena, non per me.

Io non sono James, il primogenito modello,  quello carismatico, sorridente, sicuro di sé, con la battuta sempre pronta sulla punta della lingua. E non sono neanche Lily, la tanto attesa figlia femmina, quella bella, coraggiosa, grintosa, capace di smuovere folle con solo l'uso della voce.

Io sono Albus Severus e non c'è molto da fare: per chi mi circonda il mio destino è già scritto. Mi chiamo come due grandi presidi di Hogwarts, questo genera la convinzione che io abbia talento, che io sia intelligente. Tutti, quindi, mi guardano dall'alto in basso se fallisco, rimangono delusi accorgendosi che non sono come loro, e non lo sarò mai.

Ma non importa. Sono diverso, sono il primo Potter ad essere stato smistato in Serpeverde, sono l'unico figlio con gli occhi di mio padre.

«Il Capello Parlante
tiene conto della tua scelta.»

E io ho scelto. Ho scelto chi sono e non chi avrei dovuto essere, e non me ne pentirò mai.

Eppure, non è abbastanza.

Cosa diamine sto facendo qui?

Ho un appuntamento, ma non uno qualunque. Nossignore. Sto per presentarmi al cospetto della ragazza per la quale ho una cotta da anni — o almeno penso: non ho mai capito cosa dovrei provare esattamente o quale sia l'avviso che, a scopo informativo, manda impulsi al cervello e mi ricorda che quella è la persona che desidero. Farfalle nello stomaco, forse? Mai provate. Battito accelerato? Nemmeno. Non con lei, almeno. Eppure, anche se il mio corpo manda segnali contrastanti, io so che la Corvonero che mi aspetta seduta a un tavolo appartato mi piace. È bella, intelligente, simpatica. Deve piacermi.

«Albus, eccoti finalmente!» mi saluta allegra Mei Zaho, alzandosi in piedi per venirmi a stampare due calorosi baci sulle guance. Profuma di gelsomino. «Ho già ordinato da bere, spero non ti dispiaccia»

Scuoto la testa e ricambio il sorriso. Mi lascio cadere sulla sedia di fronte alla sua. «Scusa per il ritardo»‌ il fatto è che non volevo venire. Penso, ma non glielo dico.

La osservo con attenzione, studio ogni particolare del suo viso a partire dalla delicata forma a mandorla dei suoi occhi castano dorati, il naso piccolo, le labbra sottili curvate in un sorriso, fino ad arrivare alle onde di capelli scuri come inchiostro che le solleticano le guance. La fisso, imprimo la sua bellezza delicata nella mente. Ma non funziona. Vuoto. Vuoto totale. Non provo assolutamente niente quando la guardo.

Conosco il motivo, eppure preferisco ignorarlo. È più semplice credere che questo nulla sia quello che sentono le persone quando si piacciono. Magari con il tempo imparerò a conviverci.

Cosa diamine sto facendo qui?

***

«Vedi anche tu quello che vedo io?» lancio un'occhiata complice a Nina Parkinson, la ragazza dal caschetto scuro che ha appena preso posto al bancone dei Tre Manici di Scopa. Le unghie nere che ticchettano sul legno.

Lei solleva le sopracciglia. «Roxanne, sono miope, quindi probabilmente no»

«A ore dodici ci sono Albus e Mei Zaho che si sbaciucchiano come una coppia in luna di miele»

Un disastro di supercattivoWhere stories live. Discover now