Capitolo 4. Lo specchio dell'anima - II

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Chiusi gli occhi per un breve istante cercando di capire cosa stesse succedendo: sentì i tuoni fondersi con le voci scure degli uomini poco lontani intenti a parlare a bassa voce, come se non volessero farsi sentire.

Deglutì quando sentì qualcosa sfiorarmi il polso. 
Quel tocco mi fece aprire gli occhi scoprendo di averne altri cento puntati addosso; gli agenti dell'associazione avevano smesso di borbottare e adesso se ne stavano rigidi sul posto con una mano stretta attorno a un fucile semiautomatico.

Spostai lo sguardo sulla donna che avevo davanti trovando già i suoi occhi verdi su di me. Cercai di ignorare i brividi che avevano preso d'assalto il mio corpo, seguiti dallo stomaco che sembrava attorcigliarsi su se stesso, pensando che tutto sarebbe finito presto. Credevo che vedere mia madre mi avrebbe tranquillizzata, ma il suo sguardo vuoto e l'atteggiamento distaccato mi ricordarono gli uomini dietro di lei; ci misi poco a capire che non era venuta a sussurrarmi parole di conforto.

Improvvisamente riesco a capire la sua scelta di non mostrarsi mai davanti a me in abiti da dipendente: la spaventa dovermi guardare e giudicare come se fossi una ragazza qualsiasi e non sua figlia. 

Ma cosa ci faccio quì?

Per cosa dovrei essere giudicata?

La guardai, dietro i miei occhi spalancati, cercando di scovare nel suo sguardo una traccia di sentimento che avrebbe potuto farmi capire che avrebbe fatto un'eccezione, ma in cambio ricevetti solo uno schiarimento di gola e un invito ad accomodarmi.

Quindi adesso anche lei rappresenta una minaccia?

Serrai la mascella facendo un passo indietro, aumentando la distanza e quest'ultima sembrò avvertire il mio distacco ma non lo diede a vedere infatti si allontanò di poco voltando il capo sulla sedia al centro della stanza.

«Salve Gwen Ramos McRae, ci scusiamo per averla portata via bruscamente dai suoi doveri quotidiani, in nostra difesa il nostro comportamento seppur sbagliato è stato necessario.» iniziò allontanandosi da me per raggiungere la sua collega.

Quest'ultima mi osservava rigida e con la mascella serrata da dietro spessi occhiali neri, mia madre continuò in tono formale tenendo gli occhi fissi sul block notes:  «La dottoressa Hill le porrà delle semplici domande sulla sua vita quotidiana le cui risposte verranno registrate, la preghiamo di rispondere sinceramente e con un tono formale.» 

La sua richiesta mi mandò in confusione, cosa avrebbero dovuto farsene delle informazioni sulla mia vita privata? 

«Delle domande..?» chiesi in un sussurro confusa rilassando i muscoli delle spalle che iniziavano a dolere.

«Sì, la prego di sedersi.» Rispose tranquilla rivolgendomi per un paio di secondi un sorriso di incoraggiamento.

Il suono dei suoi tacchi sul parquet mi risvegliarono dal mio breve stato di trance, non mi accorsi nemmeno di essermi allontanata dalla porta fino a quando non sentì il freddo della sedia in metallo a contatto con le mie gambe nude.

Una luce accecante venne puntata sul mio viso facendomi riparare gli occhi con una mano, subito dopo seguì un breve beep che mi fece capire che era troppo tardi per chiedere altre spiegazioni. Mi guardai attorno con la coda dell'occhio cercando di scovare più dettagli possibili: le tende erano chiuse e non permettevano alla luce di entrare, i riscaldamenti erano stati spenti e nessuno sembrava risentire del freddo a differenza di me e delle mie mani tremanti.

Il suono dei tacchi della dottoressa Hill si fece più vicino fino a quando non me la ritrovai di fronte, si sedette sulla sedia all'altro lato del tavolo facendo ondeggiare i capelli neri legati in una coda alta. Il modo elegante in cui accavallava le gambe e portava con un dito indietro gli occhiali mi ricordò per un breve istante la scena di un libro giallo letto pochi giorni prima.

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