𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝟽:

264 30 9
                                    

𝙸𝚕 𝚐𝚎𝚗𝚒𝚘

18 gennaio 2018.
Incheon [인천 광역시, Incheon gwang-yeoksi]

Sembrava che la discussione sul quel soggetto fosse in codice, eppure davvero esisteva un ragazzo così intelligente per la sua età che si prestava a dare una mano alla polizia, un asso nella manica di Seonghwa che nessuno conosceva se non quei pochi membri della sua squadra.
Quella mattina di gennaio, un giovedì, quando Yeosang prese la metropolitana di Anyang, sapeva che avrebbe dovuto contattare quel ragazzo per aggiornarlo e in caso chiedergli una mano se non avesse accettato di partire con lui. Per il momento doveva prepararsi mentalmente al fatto che sarebbe dovuto andare in un orfanotrofio, uno dei luoghi, a parer suo, più tristi del mondo. Perché i bambini venivano messi al mondo e venivano lasciati lì in questa maniera? Anche loro meritavano di vivere a pieno la loro vita col sostegno di qualcuno. Fortunatamente Yeosang poteva dire di essere nato in una famiglia felice, con dei genitori fantastici a cui voleva solo un gran bene; vedere quel posto lo avrebbe messo a disagio, ne era sicuro.
Quando scese di casa, percorse a piedi la strada verso la metropolitana, timbrando il biglietto che San gli aveva fatto trovare la mattina precedente sulla scrivania, con un paio di informazioni per avvisarlo su cosa avrebbe trovato una volta sul posto. La lista dei nomi, le cartelle di chi era ancora in orfanotrofio e altri diversi appunti erano tutti inseriti in un fascicolo che lui aveva riposto in una tracolla di cuoio prima di chiudere la porta dell'appartamento. In quel momento si ricordò della raccomandazione di Yunho di stare attento e di essere forte, soprattutto di non cacciarli nei guai; a detta sua c'erano tante persone cattive che uno come Yeosang, piccolo e frascile come un grissino, non avrebbe potuto facilmente affrontare. Yunho non voleva sminuire il suo ragazzo, era solo uno dei suoi modi più affettuosi per dirgli che non si sentiva di perderlo. Al pensiero il biondo sorrise sentendosi le guance prendere fuoco.
Ad ogni modo, durante il tragitto fino alla stazione della metropolitana, Yeosang non aveva smesso di pensare se avesse dovuto chiamare il ragazzo speciale oppure semplicemente aspettare di arrivare al binario e capire lì se lui sarebbe andato con lui o meno. Decise la seconda. Solitamente non era uno che andava in giro a cercare la gente, spesso era il contrario; quindi si diresse verso il luogo della partenza con la sua tracolla e la sua fidata valigetta.
Normalmente, la stazione era piena di  gente, quel giorno però sembrava deserta, probabilmente la successione dei diversi omicidi aveva spaventato gli abitanti di Incheon, ma tutti andavano ugualmente a svolgere i loro compiti.

L'orologio segnava quasi le dieci e trenta, Yeosang stava controllando l'orario costantemente per salire sul treno esatto alle undici meno in quarto. Era abbastanza pensieroso, molto più taciturno del solito e con una buona probabilità anche poco socievole. Stava sulla difensiva in ogni momento, si sentiva continuamente osservato e non poteva farci assolutamente niente, odiava quella sensazione che qualcuno lo guardasse specialmente quando era solo, ma era un uomo e doveva essere forte abbastanza da tenere a bada il suo nervosismo e non uscire la pistola dalla sua custodia.
Roteò gli occhi, e subito dopo li spostò su una figura poco lontana che non aveva staccato gli occhi da lui, più bassa di lui e con una divisa scolastica che riconobbe che solo dopo averla attentamente osservata. C'era solo una persona, uno studente, che casualmente poteva trovarsi alla stazione di Incheon a quell'ora del mattino, saltando le lezioni mattutine.
«Jongho-ssi?» disse incredulo, muovendo qualche passo verso di lui, finché non lo raggiunse.
«In persona» rispose l'altro, sorprendendo Yeosang che non riusciva a credere che lo avesse sentito da così lontano, il biondo dovette guardarsi dietro per ricalcolare la loro distanza.
Dopo un attimo di smarrimento, in cui Yeosang aveva provato a mettere in ordine i suoi pensieri, finalmente poté osservare attentamente Choi Jongho. Una figura alta poco meno di lui, il cui corpo era perfettamente fasciato dalla completa uniforme della sua scuola superiore; una corporatura ben proporzionata, e se il biondo avesse dovuto fare un ipotesi, anche molto muscoloso. Il viso ovale accoglieva un paio di occhi grandi, un naso con la punta leggermente schiacciata e le labbra piene. Alle orecchie aveva qualche piercing, ma nessuno di essi rovinava la sua figura da intelligentone quale era. Davvero un genio, chiunque avrebbe pensato, ma Jongho era dotato, un gran cervello, e pieno di risorse. Svolgeva semplicemente il suo lavoro.
«Il treno partirà tra qualche minuto Yeosang hyung, dovremmo cominciare a salire» disse Jongho. Il moro aveva finto un colpo di tosse per portare l'attenzione sul veicolo di fronte a loro che stava cominciando a riempirsi velocemente.
«Hai ragione, andiamo» Yeosang scosse la testa in senso affermativo e prese la sua valigia prima di salire i tre gradini e imbucarsi lungo lo stretto corridoio, oltre una serie di porte scorrevoli. Appena ebbe trovato la cabina per lui e il suo compagno di viaggio, che San si era preoccupato di prenotare, si sedette vicino al finestrino. Così fece anche Jongho, proprio di fronte a lui — era quasi inquietante.
«Non mi aspettavo per niente che venissi, Jongho-ssi. Seonghwa mi aveva detto che stavi studiando per gli esami d'ammissione all'università» Yeosang parlò per rompere il ghiaccio e quella situazione imbarazzante.
«È così, difatti non ho smesso neanche un secondo, fino a questa mattina» l'altro cominciò «Nonostante sia un genio, non mi permetterei mai di rimanere indietro per qualche impegno con la polizia, Seonghwa hyung lo sa bene. L'ho chiamato fuori il solito orario per avvisarlo della mia decisione, questa mattina».
«Capisco, di fatto era incerto che venissi, per l'appunto» Yeosang affermò restando ad ammirare il paesaggio oltre il finestrino.
Il treno aveva cominciato a muoversi lentamente, quindi i suoi occhi si spostavano da un oggetto ad un altro.
Non parlarono per il resto del viaggio.
Più che altro nessuno dei due aveva niente di particolare da chiedere, anche solo dire una stupidaggine per dar inizio al dialogo. Se non fosse stato per il caso, i due non avrebbero scambiato una sola parola, ma Yeosang dovette aggiornarlo attentamente sulla novità degli ultimi giorni, affinché il moro conoscesse tutti i dettagli.
«È un caso interessante» il più piccolo affermò, riflettendo su tutti i particolari che il biondo gli aveva dato all'interno di un fascicolo. Nel leggere attentamente gli avvenimenti, aveva trovato strano, ma anche palese, il fatto che i ragazzi dell'orfanotrofio c'entrassero anche col resto degli omicidi, e sì, concordava anche con Hyehyo — fatto alquanto strano per lui.
«Qualunque sia il motivo per cui uccide, il nostro assassino sembra davvero incazz...ops, scusa Hyung. Dicevo, il nostro assassino sembra arrabbiato e ormai non riesce a privarsi di questa sensazione, tra l'altro se è una vendetta, non si fermerà fino a quando non l'avrà terminata. Mi chiedo per quale assurdo qualcuno potrebbe mai fare una cosa del genere?».
«Non ne ho idea» rispose Yeosang.
Certo, già di suo non condivideva che si riconducesse alla vendetta come metodo per arrivare al benessere personale, ma addirittura uccidere, proprio non lo accettava, tanto meno si sforzava di capire, inconcepibile. Probabilmente perché lui non aveva mai avuto certi pensieri.
Pensò che sarebbe stata dura per lui arrivare fino alla fine della faccenda senza rimanere disgustato, per carattere sapeva che si sarebbe sentito davvero male, ma per giustizia nei confronti delle vittime avrebbe dovuto scoprire la verità.
Nel fare quella considerazione aveva storto il naso e scosso la testa, tanto che Jongho, che da qualche minuto lo osservava, pensò fosse un essere davvero carino e molto raffinato.
Il moro non lo aveva mai ammesso, ma quello Hyung gli faceva una simpatia fuori dal normale anche col lato peggiore del suo carattere, avrebbe sempre tenuto dentro le enormi risate che non avrebbe mai fatto di fronte a lui o a qualcun altro. Si fece scappare l'accenno di un sorriso e disse a se stesso «Carino».

◯  Tinto di rossoWhere stories live. Discover now