𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝟸:

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𝙻'𝚒𝚗𝚝𝚎𝚛𝚛𝚘𝚐𝚊𝚝𝚘𝚛𝚒𝚘 𝚌𝚘𝚗 𝚒 𝙺𝚒𝚖


15 gennaio 2018.
Incheon [인천 광역시, Incheon gwang-yeoksi]

Yeosang prese l'ascensore, appana accanto alla pesante porta di legno che divideva lui dai pensieri del detective Park Seonghwa. Perché era così, quello non era solo un'ufficio, no, in realtà quello era il luogo dove il ragazzo buttava fuori tutti i suoi pensieri inconsciamente. Dentro quella stanza c'era il suo mondo e lui si rinchiudeva per ore a cercare il colpevole, qualsiasi caso esso fosse. All'interno dell'ufficio avveniva il processo che portava a trovare ogni criminale. Seonghwa li aveva sempre trovati tutti, uno dopo l'altro.
Era ammirevole, poiché quel detective molto giovane e lunatico da non crederci, da quando era arrivato a Incheon era riuscito a mettere una quantità impressionante di criminali dietro la sbarre. Omicida, ladri, truffatori, persino hacker, pedofili e spacciatori. Nessuno aveva avuto scampo; forse era anche per questo era il poliziotto più odiato dai criminali e allo stesso tempo più stimato dai suoi colleghi di lavoro.
Se c'era una cosa di cui era sicuro Yeosang era che anche questa volta, visti i suoi successi, avrebbe risolto anche questo caso.
Con molta tranquillità, il biondo aveva raggiunto il corridoio solo illuminato da luci bianche attaccate alle pareti, verso l'obitorio di Mr. Jeong. L'ascensore per quel poco che ci era rimasto non era stato tanto male. Una volta chiuse le porte, Yeosang si era rilassato, poggiando entrambe le braccia ad un corrimano di legno, così come l'intero spazio era rivestito. Le boiserie di legno appena ridipinte riflettevano la luce calda del lampadario in vetro, così come potevano farlo o diversi specchi attaccati alle pareti metalliche, dove il biondo si specchiava sempre. Potevamo chiamarla ossessione, abitudine o forse un vero e proprio disturbo, ma non c'era mai una volta in cui lui non si specchiasse per sistemarsi i capelli arruffati che avrebbe dovuto presto sistemare.
Il dong dell'ascensore fece intendere a Yeosang che era arrivato al piano - 1, dove Yunho sicuramente lo stava aspettando. Il medico legale aveva trovato di certo qualche particolarità sfuggita alla sua macchina fotografica, sostenendo un'intensa discussione col cadavere.
«Bene bene, Yunho hyung» Yeosang fece il suo ingresso nell'obitorio della polizia di Namdong «Cosa abbiamo?» si rivolse al moro.
«Kim Doyoung, trentadue anni, trasferito ad Incheon da meno di un anno. Segni sulle mani» Yunho mostrò i segni che la vittima era stata legata «Nastro adesivo, resistente» precisò.
«Quindi il nostro assassino ha dovuto tenerlo a bada?»
«Sì, la pelle è stata prima graffiata, qualche possibilità di liberarsi ma è durato poco. Il colpo alla testa è stato sparato in fretta tutto sommato. Mentre nella vittima uccisa al Parco della Libertà modo non c'è nessun segno di lotta ma solo lo sparo, questa volta ha dovuto confrontarsi con uno più tenace; inoltre sembra che il killer fosse più vicino del solito, si sarà trovato addosso un pò di pressione o forse non aveva tempo».
«Bene, Yunho» affermò come al solito Yeosang, spostando velocemente lo sguardo dal cadavere al ragazzo.
«Di nulla, voi avete novità?» chiese il ragazzo.
«Abbiamo trovato un biglietto della metro per Anyang di andata e ritorno e un pezzo di carta che non abbiamo ancora analizzato. Però strano, no?»
«Già. Stavolta ha agito in maniera diversa, con più agitazione, non aveva mai aggredito le sue vittime in questo modo, né le aveva mai legate. Sembra che sia diventato improvvisamente più violento, almeno molto di più rispetto a prima».
Yunho si mise a braccia conserte con uno sguardo concentrato sull'uomo oramai freddo come il ghiaccio. Sembrava volesse che Kim Doyoung si alzasse per farsi svelare l'identità del suo assassino, perché aveva subito un attacco così pesante o che ci fosse qualcosa che gli era sfuggito.
Si disse, prima che la porta dell'obitorio fosse nuovamente varcata dall'altro detective, che avrebbe riesaminato nuovamente il corpo di quell'uomo, prima che arrivassero nel pomeriggio i familiari per fargli visita.

Ma se lui dall'altra parte, non aveva trovato niente di che, Seonghwa avrebbe scoperto molte cose interessanti.
Aspettava davanti alla porta della centrale con le una mano dietro la schiena e l'altra teneva ancora il caffè che Yeosang gli aveva portato pochi minuti prima. Lanciava parecchi sguardi all'orologio, ma più la lancetta completava il suo percorso sul quadrante, più lui diventava nervoso.
Seonghwa era uno che odiava i ritardi, e all'università aveva imparato che era meglio arrivare dieci minuti in anticipo che cinque minuti in ritardo. Era importante trovarsi in un luogo ancora prima che succedesse il fatto e solo in quel momento agire come si doveva.
In tutti quegli anni non aveva mai sforato il suo orario, pronto in maniera impeccabile come sempre.
Fortunatamente per la sua pasienza, Seonghwa non dovette aspettare davvero molto prima che le persone tanto attese mettessero piede in centrale: un uomo e due donne.
Vide, con occhi sottili, come al solito, che quelle figure non ebbero alcuna paura ad entrare in centrale, con passo sostenuto, con sguardo perso a girovagare come se dovessero controllare che tutto fosse al suo posto; l'uomo fece un cenno di testa alla segretaria del centro informazioni, mentre le donne, tenendosi saldamente l'una all'altra, non rivolgevano particolari sguardi, ma sapevano dove recarsi. Molto probabilmente non era la pra volta che quella famiglia Kim aveva a che fare con la polizia.
Seonghwa, una volta partorito quel suo ovvio pensiero, si fece avanti, gettando via il contenitore vuoto del caffè, presentandosi a loro con un piccolo inchino. Da vicino poté osservare i vestiti di ottima fattura, borse e scarpe costose e modi di fare tipici di gente che a soldi stava più che bene. «Benestanti, gente ricca, la razza più difficile con cui parlare» pensò sospirando.
«Prego, da questa parte signori Kim, parleremo in un luogo più appartato» disse il moro, facendo strada ai tre verso la sala interrogatori.
Quando aveva parlato di posti appartati non aveva fatto riferimento ad un salotto o al suo stesso ufficio, che di norma era riservato solo a lui; la sala interrogatori era l'unica soluzione per quel tipo di discussioni e l'unica che potesse davvero utilizzare. Anche se la reazione non fu delle migliori, Seonghwa li convinse che doveva seguire delle regole.
«Lo sappiamo benissimo detective Park. Non è la prima volta che veniamo gentilmente ospitati dalla stazione di polizia Namdong» la donna sulla quarantina spiegò gesticolando, tornando a poggiare le mani sopra le proprie gambe accavallate.
«L'ho notato, signora Kim. Appena siete entrati dalla porta della centrale. Immagino che sia già avvenuto qualcosa…».
«Un fatto riguardante nostro figlio Doyoung, maltrattamenti su minori, non era la prima volta. Abbiamo dovuto pagare caro certi avvocati» ammise il padre.
«Kim Doyoung era stato arrestato per maltrattamenti su minori. In quale circostanza?».
«Detective!» la donna fece un urletto indispettita. Non aveva proprio voglia di parlare del fatto, ma la figlia sembrava essere del tutto contraria.
Non appena Seonghwa disse che poteva essere necessario, lei prese a parlare.
La sua voce era molto innocente, nulla a che vedere con la persona a cui apparteneva. Poteva essere un'adolescente, una quasi donna che da poco aveva avuto il consenso di esprimere il suo punto di vista in una società che non lo permetteva chissà quanto spesso. La ragazza accavallò le gambe lentamente, avvicinando la sua sedia al tavolo, schiacciando la lingua pronta a rifilare a Seonghwa una di quelle dichiarazioni chiave in quel caso.

«Mio fratello lavorava in un orfanotrofio ad Anyang, tutto sommato poco distante da qui con la metro; difatti quando ci siamo trasferiti qui la prendeva spesso. Doyoung aveva il compito di svolgere alcuni lavori come fare la spesa, controllare se tutto fosse in ordine, assumere le dipendenti e così via, nonostante ciò non ha mai comprato quell'edificio. Durante le sua permanenza non si era fatto molti amici, e senza che nessuno lo sapesse se la faceva con una delle dipendenti a poco dal matrimonio e maltrattava alcuni dei bambini. Una volta maggiorenni, i pargoli lo hanno denunciato con tutte le prove possibili e immaginabili. Grazie agli avvocati gli è andata bene, gli hanno dato poco, solo due anni, ma ci sono ancora quei ragazzi che vogliono vendetta ed io non posso dargli torto».
«Molto bene signorina Kim, la ringrazio. Un'altra cosa che vi chiedo, a che ci siamo, è se potevate riconoscere qualcuno tra queste persone. Pensiamo che la persona che abbia ucciso Doyoung sia stato anche l'assassino di questi altri» Seonghwa mostrò le foto delle vittime.
«Alcuni di questi lavoravano con mio fratello. Quelli di Chinatown non li conosco, ma quest'uomo e questa donna sì. Lui è Kim Seongjun e lei sua moglie Karen» rispose prontamente la ragazza, sembrava l'unica a voler collaborare, poi anche la madre si unì a guardare le immagini, indossando un paio di occhiali molto raffinati.
«Moglie? La signorina Daehyung?». Seonghwa non aveva trovato nessun matrimonio tra i due nei documenti.
«Daehyung aveva cambiato nome in Karen poco tempo fa, ed era sposata con   Seongjun da poco, a causa delle famiglie non è mai stato officializzato. Credo che l'unica copia risieda al comune».
«Posso sapere che legame avevano si signori Kim con Doyoung?»
«I due erano amici di Doyoung, nonostante fossero più grandi e cercavano un figlio, hanno preso un ragazzino di nome Seojoong, Woojoong, non ricordo, ma sono sicuro che ci sia "joong" alla fine del nome. Quel ragazzo è scappato dopo un paio di anni. Non so cosa sia accaduto, Karen non ne ha mai parlato».
«Bene, grazie» disse Seonghwa «Se avete una lista di chi ha denunciato vostro figlio, signori Kim, mi piacerebbe averla, tra quelli potrebbe esserci un sospettato o magari l'assassino. Un'ultima cosa prima di andare, sapevate che prima di morire Doyoung doveva andare ad Anyang e tornare?».
«No» i tre annuirono.

◯  Tinto di rossoWhere stories live. Discover now