Capitolo 36

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Marta

È come se un grosso lenzuolo bianco fosse stato calato sul mondo intero. In casa l'aria è pesante. Si sentono solo i singhiozzi miei e di mia madre. Anche lei, come me, ora deve farsi forza. Mentre lei è al telefono con l'avvocato, io ne approfitto per fare una doccia fredda. Spero che l'acqua riesca a togliermi tutta l'amarezza della giornata. Alessandro è dovuto andare al lavoro. Io, per fortuna, ho qualche giorno di permesso. Non riuscirei proprio ad andare in ufficio in queste condizioni.

Di vedere Matteo e tutti gli altri, in questo momento, non me la sento proprio. Alle ragazze non ho detto nulla di quel che sta succedendo. Preferisco che resti tutto fuori dall'ambiente lavorativo, per quanto possibile, visto che le notizie compaiono sui giornali. Sotto lo scorrere dell'acqua mi sento quasi rinascere. Le gocce scivolano velocemente sul mio corpo, portandosi via un po' della negatività che mi opprime. Ma, quasi immediatamente, inizio a piangere. Piango per mio padre, per Alessandro, per tutti. Alessandro ha detto che ora è sicuro che non è stato lui, ma che deve provarlo. Una delle prove è l'imboscata. Chiudo gli occhi e respiro lentamente.

Ho un brutto presentimento. Alessandro ultimante, a causa di tutto quello che sta succedendo, sta tornando irascibile ed impulsivo, com'era molto tempo fa. Ho paura. Esco dalla doccia e mi avvolgo nell'accappatoio. Guardo lo specchio di fronte a me e quel che vedo non mi piace per niente.

Gli occhi sono rossi per le tante lacrime. Sotto di essi, iniziano a formasi delle enormi occhiaie. Proprio mentre mi sto rivestendo, lo squillo del cellulare mi provoca un sussulto. Lo afferro di corsa. Punto gli occhi sul display prima di rispondere. Paola. "Non dire nulla. Sono sotto casa tua. Aprimi". E mette giù. Faccio le scale di corsa ed arrivo alla porta in pochi secondi.

La apro e, immediatamente, Paola mi avvolge in un abbraccio fortissimo. "Ho pensato che ti servisse qualcuno vicino in questo momento! So che Alessandro lavora, perciò non potevo lasciarti sola proprio ora!". Non dico nulla. Vorrei dire qualcosa, ma le parole mi muoiono in gola. Quando riesco finalmente a dire qualcosa, siamo già nella mia camera. Paola chiude la porta alle sue spalle. Sospiro, come se quello che dovessi dire mi costasse molta fatica. "Mia madre ora è al telefono con l'avvocato. Spero riesca a fare qualcosa". Incrociamo i nostri sguardi nello stesso momento e noto che ha gli occhi lucidi. I suoi occhi marroni, per la prima volta dopo tanto tempo, rispecchiano esattamente quello che provo io. Mi era mancata questa sintonia. "Andiamo, Marta. Andiamo a sentire che dice tua madre". Non ne ho molta voglia, ma non ho alternative. È stato commesso un grave errore e va dimostrato.

Io e Paola scendiamo in cucina, raggiungendo mia madre. "Novità?" le chiedo, guardando il suo viso, e notando gli occhi scavati dal dolore. Annuisce. "Sì. Dobbiamo andare. Ci aspettano in caserma". "Alessandro lo sa?" mi chiede mentre andiamo. Faccio segno di no con la testa, mentre Paola mi passa il telefono per scrivergli un messaggio. La risposta è immediata. Mi scrive che è appena stato convocato in caserma anche lui. Mentre attraversiamo l'entrata della caserma, vengo investita da tantissime emozioni negative.

 Percorriamo il vialetto fatto di pietre grigie. Questo luogo mentre i brividi solo a guardarne il giardinetto esterno. L'unica nota di colore presente è l'erba, ora ocra a causa del caldo degli ultimi giorni. La sala d'aspetto non è meno cupa dell'esterno. Delle sedie appoggiate ad una parete grigia, e la stanza completamente spoglia, se non per una pianta abbastanza grande, che ricopre l'angolo sulla sinistra. Ci accomodiamo, mentre Paola rimane al mio fianco, come sempre. Dalla finestra che si affaccia sull'altra stanza riesco ad intravedere mio padre, seduto su una di quelle sedie da ufficio abbastanza comode. Questa caserma è talmente piccola che a quanto pare è già tanto se ha una piccola cella di detenzione provvisoria. Avverto un profumo familiare. Alzo lo sguardo. Alessandro è davanti a me. In modo automatico, il mio corpo si alza per abbracciarlo.

Senza volerlo, il mio cervello ha ordinato da solo alle gambe di andare da lui. A quanto pare il mio corpo sente il bisogno di stare a contatto con il suo. "Calma piccola. Risolveremo tutto" mi sussurra appena ci sciogliamo dall'abbraccio. Lo sguardo scambiato con mia madre dice tutto. Uno sguardo carico di comprensione. Di chi è nella stessa situazione e non vede l'ora di mettere fine a tanta sofferenza. Veniamo finalmente convocati al colloquio, tutti assieme. Cosa molto strana. Gli occhi di mio padre incrociano subito i miei, prima ancora di quelli di mia madre. Il suo dolore mi penetra fin nel profondo. "Vedrai. Si sistemerà tutto". I suoi occhi sembrano dire proprio questo. Annuisco comprensiva, mentre Alessandro mi stringe la mano per farmi sentire la sua vicinanza. A lui, però, mio padre riserva solamente uno sguardo carico di rabbia. Riusciranno mai a riappacificarsi per il mio bene?

Il colloquio finisce. Mio padre è innocente. Con grande sollievo usciamo da quell'edifico cupo. Ora rimane solamente una cosa da fare. Consegnare Francesco alla giustizia. Cosa molto difficile, vista la mancanza di prove. Resta solo la sua confessione. Ma a quanto pare Francesco è introvabile al telefono. Non ci resta che stanarlo in qualche modo. Ottenere una sua confessione non sarà cosa semplice.

Ecco perché mia madre e Paola devono tornare a casa. Questa storia la dobbiamo portare a termine io, Alessandro e mio padre. Una volta arrivati sotto al palazzo in cui vive, la sensazione che qualcosa possa andare storto si insinua dentro di me. Arrivati alla porta del suo appartamento, quella sensazione si fa ancora più forte.

Tanto da farmi bloccare Alessandro, trattenendolo per la giacca.

"Che c'è? Andrà tutto bene. Avremo quello che ci serve e metteremo fine a tutto questo casino!" mi sussurra, prima di strattonare la giacca. Scuoto la testa. Non è questo. Qualcosa di più forte. La porta è semi aperta. Entriamo e troviamo l'appartamento completamente vuoto. Francesco se n'è andato. Scappando come un codardo. Codardo come solo un colpevole sa essere.

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