Capitolo 35

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Alessandro

Hanno arrestato Simone Dal Basso. Non ci posso credere. Credo che non dimenticherò mai lo sguardo di Marta in quel momento. Sapevo che Francesco non avrebbe portato nulla di buono. Da quando è riapparso, le cose non hanno fatto che peggiorare. Fino a mettere a rischio anche la mia relazione con Marta. Torniamo tutti a casa in preda allo sconforto più assoluto. Marta non riesce a fermare le lacrime. "Non ci posso credere..." è quello che ripete tra un singhiozzo e l'altro. La sua testa rimane appoggiata al mio petto. E le sue lacrime continuano a bagnare la mia maglietta.

"Shh, Marta. Dai...risolveremo anche questa. Ora però basta piangere". Le sollevo il mento, fissandola per qualche istante. Quanto amo guardarla negli occhi in questi momenti. Le sue iridi color smeraldo luccicano a causa delle lacrime. Il suo telefono vibra nella sua tasca già da qualche secondo. "Dovresti rispondere" le dico, prendendolo. "Non ho voglia di sentire nessuno". La sua voce mi giunge ovattata.

Abbasso lo sguardo. Ha nascosto nuovamente il viso sul mio petto. Intanto il cellulare continua a vibrare tra le mie mani. "Che avete? La connessione Wi-Fi? Paola ti cerca". Decido di rispondere io al posto suo. "Ciao, Paola". "Alessandro? Come mai mi rispondi tu? Che è successo?". Questa ragazza ha un intuito sbalorditivo. No, nulla di straordinario. Solo un legame fortissimo con Marta. "Beh, un po' di cose sono successe. Marta non vuole parlare con nessuno. Quindi credo che te lo debba dire io. Hanno arrestato suo padre...". Abbasso lo sguardo e trovo nuovamente i suoi occhi lucidi che mi guardano. In quegli smeraldi verdi, si nota a malapena un mare in tempesta. "Cosa??". La voce di Paola, dall'altra parte del telefono, mi fa tornare alla realtà. "Quando è successo?". Sospiro. "Circa mezz'ora fa"

 Marta mi fa segno di passarle il telefono, mentre io ne approfitto per alzarmi dal divano e cambiarmi la maglietta. Non so che fare per dimostrare l'innocenza di Simone, ma ora più che mai ne sono convinto. La sua reazione alla lettera me ne ha dato conferma. "Tua madre avrà bisogno di te!". Arrivo in salotto indossando una camicia pulita a maniche corte ed i pantaloni della divisa. Alza lo sguardo verso di me. "Che fai? Te ne vai?". Il tremolio della sua voce fa tremare per qualche secondo il mio cuore. Guardo l'orologio e annuisco. "Ho un turno fra mezz'ora. Se vuoi ti riporto io a casa" le dico, parlando a voce bassa. "OK" dice semplicemente. Ho paura.

Ho paura per lei.

Dovrà affrontare sua madre appena tornerà a casa. Ed io non potrò essere al suo fianco, per sostenerla. Per darle la forza di affrontare tutto questo. "Non ce la faccio ad entrare". Le prendo la mano, stringendola forte. "Sì che ce la fai. Su, ora vai". La incito a scendere dalla macchina, dopo averle dato un bacio. Mentre torno verso casa, l'idea di chiamare Michael continua a ronzarmi nella testa. Lui vuole bene a Marta. Di certo, vorrebbe starle vicino in questo momento. Alla fine, mi decido e lo chiamo, mentre scendo dall'auto per raggiungere l'autobus. Gli spiego gli ultimi avvenimenti, compreso l'arresto. Al contrario di ciò che mi sarei aspettato, non ha reagito male. Anzi, sembrava davvero dispiaciuto. Ultimamente sono stupito riguardo il suo cambiamento. Marta mi ha riferito che sembra essere tornato il ragazzo che ha conosciuto. Qualcosa, durante il suo periodo in Germania, deve averlo fatto cambiare. Oppure sì è reso semplicemente conto che Marta non potrà mai ricambiare i suoi sentimenti. Ancora non mi è chiaro. A turno finito, dopo essermi accertato di come stiano andando le cose a casa Dal Basso, realizzo che devo fare qualcosa per risolvere la situazione. Le domande senza risposta che mi attanagliano sono molte. Ma una, in particolare, mi fa stare male più di tutte. Perché Francesco si è comportato così? Cosa mi sta nascondendo? Compongo più volte il suo numero, senza però ottenere mai una risposta. Il suo telefono è sempre spento. Non mi resta altro da fare che cercarlo personalmente. Il caldo in questi giorni è insopportabile. L'auto sembra un forno, ma devo comunque fare qualcosa. In poco tempo, raggiungo il condominio dove dovrebbe abitare Francesco.

Credo viva ancora nello stesso appartamento di quando eravamo ragazzini. Non ha mai cambiato nulla nella sua misera vita. Figuriamoci la casa. Non mi stupisco se alla nostra età sia ancora single. Il suo unico amore è sua madre. Santa donna. Guardo l'edificio. Credo che sia uno dei pochi ancora rimasti costruiti negli anni Settanta. Dovrebbero quanto meno ristrutturarlo. Salgo le scale, arrivando in breve tempo al quinto piano. Faccio un bel respiro prima di suonare il campanello dell'appartamento numero 35. La porta si apre. Dietro di essa, la sua faccia da sbruffone compare per metà. Sento salire una rabbia sempre più forte dentro di me. Succede tutto in una frazione di secondo. Mi avvento con forza su di lui, afferrandolo per la maglietta e gli sferro un pugno in faccia. "Cos'era quello che abbiamo visto oggi?". La mia voce è talmente piena di rabbia che stento io stesso a riconoscerla. Francesco non fa in tempo a rispondere che un altro pugno gli arriva sull'occhio destro.

"Conti...lo sapevo che, in fondo, non sei mai cambiato. Sei sempre il solito stronzo che crede che tutto gli sia dovuto. E che non c'è cosa che non possa risolvere con un pugno" dice, mentre si rialza da terra. Sono accecato dalla rabbia, "Stai zitto, Rossi. Non ti devi permettere di insultarmi. Qui, se c'è un pezzo di merda, sei tu! Che abile mossa quella di incastrare Simone! Complimenti!". Mi guarda terrorizzato. "I-io non so di che cosa stai parlando!". "Ah, sì? Te lo devo ricordare io?" sbraito. Dopo avergli dato un altro pugno, mi fermo improvvisamente con il braccio a mezz'aria. Ma che sto facendo? La mia paura più grande si è appena concretizzata: sto tornando l'Alessandro di un tempo.

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