XVIII

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Dimitri Alexander Ivanov, Villa Ivanov, New York.

Tenere a bada l'ira mentre mi recavo negli alloggi di Polina non fu semplice, ma uno sguardo al volto triste di Maria mi diede il coraggio necessario di internalizzare la mia rabbia e continuare su quella linea di azione.

Mi permisi di essere migliore per il suo bene. Stavo cambiando, ma non stava mutando il boss della Drakta; no, quello non sarebbe mai cambiato, ma mi stavo modificando intrinsecamente: Dimitri Alexander Ivanov, il mio io più nascosto, l'io che conoscevano solo i miei fratelli, quello sì, che stava andando incontro ad una metamorfosi.

Come se la purezza di Maria Maddalena avesse potuto contagiarmi e riportarmi in uno stato di candore primordiale. Lo sapevo io e se ne era accorta anche quella splendida donna, che mi sorrise timidamente da sotto le ciglia scure.

In risposta le appoggiai una mano sulla schiena in segno di conforto e mi persi ad ammirare i giochi di luci tra le sue trecce mentre la condussi da Polina.

In risposta le appoggiai una mano sulla schiena in segno di conforto e mi persi ad ammirare i giochi di luci tra le sue trecce mentre la condussi da Polina

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Maria Maddalena Ivanov, Villa Ivanov, New York.

Cosa stavo facendo? Stavo davvero andando nella camera di Polina con Dimitri? E se poi avessimo scoperto che tutto questo fosse stato reale? Che lei, davvero, fosse rimasta incinta? Dopo tutto, non sempre le precauzioni erano sicure, no?

Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dal caldo peso del palmo di Dimitri appoggiato  sulla mia schiena e permisi ai piedi di seguire la moquette del corridoio.

Ma io volevo credergli. Davvero. Lo volevo con tutta me stessa; me lo aveva promesso ed era stato gentile, premuroso, allora perché mentire?

Sollevai le palpebre e un lampo di luce si scatenò all'interno del mio campo visivo. Le sfarfallai, ma un dolore lancinante si impossessò dell'arcata sopraorbitaria ed incespicai tra i miei passi.

"Maria?"

Captai la voce in lontananza, perché il dolore divenne così acuto, in così poco tempo, che faticai a pensare. Scoppiò come un falò. Mi portai entrambe le mani alla testa, imprimendo della pressione, per tentare di calmare quel dannatissimo dolore.

Cercai di aprire gli occhi, ma non appena le palpebre si sollevarono di qualche millimetro, una serie di stelline iniziarono a danzare sul pavimento. Con le gambe molli mi adagiai contro al muro e scivolai sul terreno. Percepivo dolore. Troppo dolore alla testa.

"Respira, Maria."

E cercai di farlo.

Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira.

Ma sembrava che la mia concentrazione aumentasse l'intensità di quell'attacco e la mia testa stava letteralmente andando a fuoco. Mi doleva ogni singolo millimetro della scatola cranica e del panico iniziò a strisciarmi lungo lo stomaco.

Promessa |THE NY RUSSIAN MAFIA #1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora