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«Fammi venire con te» le chiesi avvicinandomi di più.
Eravamo a casa, sedute sul nostro divano bordeaux in mezzo al salotto, la sua canzone preferita di Lenny Kravitz riempiva con accordi di chitarra tutta la stanza ricordandomi quanto quella musica mi facesse sentire bene.

Aveva i lunghi capelli raccolti in due trecce color ambra che le ricadevano sulle spalle come rampicanti di edera e mi stava guardando con quei suoi occhi da cerbiatta che mi avevano sempre incantato fin da piccola.

«Non è possibile tesoro» disse carezzandomi una guancia con un sorriso accennato in volto.

La sentivo parlare come se fossimo state lontane da tutto, in una bolla, solo io e lei e nessun altro, sospese nel tempo. C'era un non so che di malinconico nelle parole che mi aveva appena detto ma la vedevo felice, leggera, aveva una luce diversa negli occhi che le illuminava tutto il volto. Eppure, quella leggera nota di tristezza che mi si era insinuata nelle orecchie, mi faceva capire che qualcosa non andava.

«Perché? Perché non è possibile, come fai a dirlo?» le chiesi avvicinandomi ancora di più. Le presi una mano fra le mie e cercai una risposta sul suo viso, una qualsiasi espressione che potesse farmi capire cosa ci fosse di sbagliato in quello che le stavo chiedendo.

«Non puoi Andrea. Tu non puoi rimanere»
«Cosa...cosa stai dicendo? Si che posso, perché non potrei? » le chiesi ridendo nervosamente sentendo l'angoscia correre e divorarmi la gola bloccandomi le parole.

«Tu devi andare Andrea» rispose spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«No cosa dici? No no no io non devo andare. Tu non puoi lasciarmi, non mi puoi abbandonare» le dissi stringendole la mano e scuotendo energicamente la testa «Io non devo andare da nessuna parte» continuai con il fiato corto ed un peso sul petto che mi stava schiacciando lentamente.

Cosa stava dicendo? Cosa stava succedendo? E perché non sentivo la sua mano stringere le mie? Era così delicata, così leggera, quasi innaturale.
La vidi sorridermi dolcemente mentre scioglieva quel groviglio di dita in cui io avevo cercato invano di trattenerla fino a quel momento.

«No non me ne devo andare. Credimi non devo andare da nessuna parte. Non lasciarmi qui, ti prego» iniziai a singhiozzare e mi si chiuse la gola.

Un bruciore mi pervase dalla bocca dello stomaco fino alle labbra impedendomi di respirare. Avrei voluto urlare, aggrapparmi con tutte le mie forze al lembo della sua maglietta e tenerla con me, gridarle che non sarei dovuta essere in nessun posto se non lí con lei, a casa.

«Portami con te, ti prego, portami con te. Voglio che finisca, voglio che finisca tutto quanto. Ti scongiuro»

Mi svegliai urlando con la fronte imperlata di sudore come le foglie degli alberi ricoperti di rugiada al mattino. Sentivo il sangue pulsare nelle orecchie ed il cuore cercare di uscirmi dal petto in un impeto di ritmo incontrollato.

Mi guardai intorno facendo scattare la testa come una furia cercando di capire dove fossi fino a che non scontrai lo sguardo con il bestione color del cielo che si estendeva in tutta la sua maestosità fuori dalla mia finestra.
Stavo stringendo le lenzuola fra le mani con una forza tale che le mie nocche erano sbiancate totalmente e mi mancava il fiato come se avessi appena corso una maratona.

La porta si spalancò di colpo e vidi precipitarsi nella stanza mia zia con un'espressione di puro terrore stampata in volto.

«Dre, tesoro... cos'è successo?» mi chiese guardandosi intorno con aria spaventata prima di captare l'espressione probabilmente stravolta del mio viso.
«Io...io non lo so» farfugliai cercando di mettere in piedi una frase che avesse un che di logico in tutto quel groviglio di incomprensioni.
«Non lo so...sembrava così reale, così vero...e lei era lì che mi parlava. Mi stava parlando capisci? Era lì con me, le stavo stringendo la mano»

𝐖𝐇𝐀𝐓 𝐅𝐋𝐀𝐖𝐒 𝐈𝐍 𝐓𝐇𝐄 𝐕𝐄𝐈𝐍𝐒 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora