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Quando dicevo che Becca era negata con la cucina intendevo dire che era veramente negata con la cucina.
Il ragazzo del ristornate messicano ci aveva consegnato la cena da soli dieci minuti e lei, nel breve lasso di tempo in cui mi ero assentata per cercare una bottiglia di vino, era riuscita a bruciare tutte le sue quesadillas abbrustolendo anche metà delle mie.
Forno 1 Becca 0.

«Io ti giuro che li ho controllati, non mi sono mossa da qui, avevo gli occhi puntati su quei fagottini ripieni» piangucoló dopo avermi aiutata a buttare la cena nella spazzatura.

Avevo ormai perso il conto delle volte in cui aveva bruciato qualcosa rischiando di far saltare in aria un elettrodomestico.
La prima fu al pub.
Dopo le lezioni andai come sempre ad aspettare che finisse il turno nel retro della cucina, ma quella volta quando entrai ,Charlie, il proprietario, mi disse che aveva già finito da un'ora e che mi stava aspettando nel parcheggio sul retro.

L'aveva mandata a casa prima perché gli aveva fatto esplodere il microonde ma aveva evitato di licenziarla per il suo "bel visino angelico".
Non aveva più messo piede nella cucina del locale dopo quella volta.

«Beh, ormai è andata così. Farò un salto al ristorante e prenderò qualcos'altro, non voglio far fare un'altro viaggio al tipo delle consegne» dissi pulendomi le mani in uno straccio.

Avrei inoltre voluto evitare l'imbarazzo di dover riordinare un'altra cena completa facendo sembrare me e Becca come due che si ritrovano un buco nero al posto dello stomaco.

«Io intanto apro le finestre perché non si respira qua dentro» disse lei sventolandosi una mano davanti al viso con un'espressione disgustata.
Oltre al caldo per me ancora insopportabile della California, adesso si era aggiunto anche l'odore acre di bruciato.

«Oh chissà come mai» risposi ironica alzando le sopracciglia.
«Questa tecnologia è così inaffidabile» disse lei mettendosi le mani sui fianchi e scuotendo la testa con disappunto.

Scossi la testa dandole un colpetto con il braccio ed andai in salotto per recuperare i soldi e le chiavi dell'auto.
«Ti conviene farmi trovare il vino pronto per farti perdonare» le urlai prima di aprire la porta d'entrata ed uscire sul vialetto.

Salii in macchina, misi in moto e con la coda dell'occhio la vidi sporgersi dal parapetto della veranda sventolando un fazzoletto bianco in segno di saluto.

«Torna presto mia eroina, terrò lo sguardo puntato sull'orizzonte» urlò mettendo le mani a cono davanti alla bocca per farsi sentire meglio.
Mi misi una mano sul cuore e dopo aver acceso lo stereo ed alzato il volume per una canzone dei Nickelback, le feci un cenno e partii canticchiando lasciandomela alle spalle insieme al suo fazzolettino bianco.

In California le strade erano quasi sempre affollate, tutti i film ambientati lì che avevo visto facevano onore a quel posto senza ombra di dubbio.
Ovunque mi girassi potevo trovare ragazzi con la tavola da surf sottobraccio affiancati da altri in skate che facevano zigzag fra le auto sotto ad un cielo color pastello. Sembrava una tavolozza su cui qualcuno aveva accidentalmente rovesciato dei barattoli di vernice azzurri e rosa dando vita a miscugli di colori incredibili.

Quel paesaggio così completamente diverso da quello in cui ero cresciuta, dal luogo in cui avevo dimenticato il cuore, così colorato e movimentato, mi destabilizzava e mi faceva sentire fuori posto, come una piccola goccia di inchiostro nero su di un quadro carico di colori brillanti come un prato fiorito in primavera.

Non avrei trovato abeti e pini ombrosi in cui nascondermi coi lupi o nuvole cariche di pioggia pronte a liberarsi sopra di me creando temporali fragorosi, nessuna cascata ghiacciata o scogliera a picco sull'oceano maestoso, solo palme, spiagge bianche immacolate ed onde azzurre come ali di farfalle.
Un altro mondo di cui io non facevo parte.

𝐖𝐇𝐀𝐓 𝐅𝐋𝐀𝐖𝐒 𝐈𝐍 𝐓𝐇𝐄 𝐕𝐄𝐈𝐍𝐒 Where stories live. Discover now