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L'ultima volta che vidi zia Rebecca e zio James fu al mio diciannovesimo compleanno.
Si erano fatti un viaggio di diciotto ore solo per potermi veder spegnere delle candeline bianche e rosse, da una torta di fragole e mirtilli che mia madre mi aveva premurosamente preparato la mattina stessa.

Lo stesso viaggio lo stavo ripercorrendo io, un anno dopo, per andare a vivere da loro e per cercare  una luce nella nuova vita che mi aspettava e che io non stavo minimamente accogliendo a braccia aperte. Se avessi potuto avrei fatto un'inversione ad U nel bel mezzo dell'autostrada e me ne sarei tornata dritta dritta a Washington con il mio pick-up, ma sfortunatamente ero impossibilitata nel farlo. L'avevo promesso.

Dopo un pomeriggio intero alla guida ed una notte passata in uno squallido motel di un paesino a fianco dell'autostrada, senza acqua corrente ed elettricità, mi ero rimessa al volante per concludere il viaggio che mi avrebbe portato fino in California dai miei zii.

Accostai l'auto al ciglio della strada e parcheggiai in uno spiazzo sterrato che costeggiava un vecchio Diner dall'insegna cadente e scolorita dal tempo.

Il mio stomaco mi stava mandando segnali di cedimento da quasi un'ora ed io non avevo intenzione di farmi gli ultimi kilometri di viaggio che mi attendevano pensando a quanto sarebbe stato bello poter addentare un buon panino e sgranchire le gambe. Nemmeno dopo essermi accorta della presenza di alcuni motociclisti che mi stavano squadrando da capo a piedi appoggiati alle loro moto.

Scesi dall'auto ed inspirai a pieni polmoni l'odore di fritto che giungeva dall'entrata prima di avviarmici a passo svelto. Mi pentii quasi subito della scelta di quel locale dalle occhiate che mi rivolsero la maggior parte dei clienti seduti al bancone, ma oramai ero lì ed agli sguardi indiscreti ero abituata.

Barbe lunghe, giacche di pelle e boccali di birra riempivano la mia visuale, ma non ci diedi peso. Ero incappata in un raduno di motociclisti? Buon per me, da piccola avevo una passione per le Harley Davidson, non sarebbe stato tanto difficile poter vedere da vicino quel mondo.

Mi avviai verso un tavolo in fondo al locale con ancora lo sguardo di qualche curioso puntato sulla schiena, dove sentivo che la mia canottiera nera si era appiccicata in qualche punto durante il viaggio ed iniziai a guardare distrattamente la carta delle vivande optando alla fine per un semplice hamburger e delle patatine fritte.
Accesi lo schermo del cellulare per controllare l'ora e scoprii due chiamate perse da parte di zia Becca e decisi di richiamarla.
Mi rispose subito.

«Andrea?» la voce squillante dall'altro capo del cellulare mi estraniò per un attimo dal groviglio di pensieri che si era formato durante gli ultimi mesi nella mia testa e dal vociare di sottofondo del diner, riportandomi indietro nei boschi umidi ed ombrosi che mi stavo lasciando alle spalle kilometro dopo kilometro.

«Ciao Becca» risposi volgendo lo sguardo verso la strada oltre la vetrata «Mi sono fermata ora per mangiare qualcosa, non ho sentito le chiamate, scusami»
«Oh ragazza mi hai fatto preoccupare. Per un attimo ho pensato stessi cercando di evitarmi e fossi rimasta là senza dire nulla a nessuno» rispose ridendo sommessamente.

Mi morsi un labbro e sorrisi scuotendo la testa anche se effettivamente quel pensiero ,durante le ore di viaggio precedenti, mi aveva sfiorato la mente più di una volta ed il peso che sentivo sul petto si era fatto sempre più opprimente e difficile da sopportare man mano che mi allontanavo da Washington.

«Non ti preoccupare, se i miei calcoli sono giusti sarò da voi fra qualche ora»
«Non sto nella pelle, arriverai in tempo per poter vedere la gara di surf di James. Ci teneva andassimo ad assisterlo entrambe dopo il tuo arrivo, ovviamente prima avrai tutto il tempo per scaricare i bagagli e sistemarti, immagino tu sia stanca, è un viaggio molto lungo»

𝐖𝐇𝐀𝐓 𝐅𝐋𝐀𝐖𝐒 𝐈𝐍 𝐓𝐇𝐄 𝐕𝐄𝐈𝐍𝐒 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora