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La mattina seguente mi aspettava affissa alla porta di camera mia una lunga lista di cose da fare, dove tra le prime, all'interno del cerchio rosso che avevo disegnato la sera prima con un pennarello, spiccava la scritta "TROVARE LAVORO".

Avevo acconsentito ad andare a vivere con Becca e James ad una sola condizione, io avrei contribuito alle spese familiari, oltre che alle mie personali, niente se e niente ma.

Comunicai questa mia decisione a Becca un mese prima della mia partenza con un tono che non ammetteva nessuna replica e lei, dal canto suo, dopo varie repliche e vari "anche se sei maggiorenne rimani comunque sotto la mia responsabilità", non aveva potuto fare altro che arrendersi a questa mia scelta ed accettarla suo malgrado.

Le sarebbe piaciuto prendersi cura di me come mi aveva cercato di spiegare al cellulare durante quella stessa chiacchierata, ma io avevo ribadito il bisogno della mia indipendenza e della mia libertà economica, oltre al fatto che non sarei andata a vivere da loro facendo la parte della sfruttatrice.

Negli anni di servizio come cameriera al pub avevo inoltre capito che avrei potuto utilizzare il lavoro come valvola di sfogo.
Durante le serate delle partite di football, quando tutto il locale si riempiva di uomini, donne e bambini di tutte le età che avevano il solo intento di rimanere con gli occhi incollati allo schermo luminoso del televisore pronti a non perdersi nemmeno la più minima delle mosse, lavorare costantemente poteva essere distruttivo quanto curativo ed appagante.

Correvo a destra e a sinistra cercando di ricordare che al tavolo 23 John voleva la sua solita birra irlandese nel suo solito boccale irlandese, mentre al tavolo 8 volevano una razione di patatine extra con ketchup extra e un long island extra anche quello.
E così via, avanti e indietro, con ordini lunghissimi affissi nella bacheca immaginaria che avevo in testa.

Arrivavo alla fine del turno stremata, con le gambe a pezzi, le ordinazioni dei clienti che mi risuonavano ancora nelle orecchie e le poche forze che mi rimanevano le utilizzavo per guidare dal pub fino a casa prima di buttarmi a letto ed addormentarmi beatamente.

Scesi le scale che portavano al piano di sotto con la lista delle cose da fare in una mano ed un aroma di caffè mi investì in pieno viso appena misi piede in cucina.
Il regno di James era in pieno fermento, infatti trovai proprio lui ai fornelli intento a preparare la colazione, mentre come sottofondo musicale ecco una canzone dei Radiohead giungere direttamente dalle casse all'angolo della cucina.

«Ehi bambolina, hai dormito bene?» mi chiese sorridendo mio zio dopo essersi strofinato le mani sporche di farina sul grembiule ed avermi dato un bacio in fronte. Profumava di vaniglia e  arancia, mi chiesi cosa stesse preparando di buono quella mattina.

James amava la cucina, ed oserei dire per fortuna, perché se c'era una cosa in cui Becca era veramente pessima era proprio cucinare.
Mi ricordo che quand'ero più piccola avevamo deciso di prendere come tradizione quella di preparare una torta diversa ogni domenica. Becca provò più di una volta ad aiutarmi, ma dopo aver bruciato il pentolino contenente il latte per ben tre volte di fila si limitò semplicemente a passarmi le uova ed a dividermi nelle giuste porzioni farina e lievito ogni qualvolta ne avessi avuto bisogno.

«Si decisamente, grazie» mentii sorridendogli di rimando.
Avevo passato la notte a rigirarmi nelle coperte per il caldo insopportabile e quelle poche ore in cui ero riuscita a dormire senza sudare come un cane, le avevo trascorse risvegliandomi di colpo e con il fiato corto per colpa di qualche incubo.
No, non avevo dormito bene proprio per niente ma l'ultima cosa che volevo era far preoccupare i miei zii.

«Becca dov'è?» gli chiesi poi cercandola con lo sguardo.
«È in veranda, vai pure da lei, tra poco arrivo con la colazione» mi rispose facendo un cenno del capo in direzione delle porte-finestre in fondo alla cucina.

𝐖𝐇𝐀𝐓 𝐅𝐋𝐀𝐖𝐒 𝐈𝐍 𝐓𝐇𝐄 𝐕𝐄𝐈𝐍𝐒 حيث تعيش القصص. اكتشف الآن