VIRGINIA (PARTE UNO)

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1973, aprile.



Virginia Hasenbein possedeva una bellezza sconvolgente, rara da trovare in un'altra ragazza.

Non era molto alta, ma il suo corpo magro e sottile era perfettamente proporzionato, ed attirava numerosi sguardi maschili quando passeggiava per le strade di Philadelphia in compagnia delle sue amiche o della sua adorata barboncina bianca; ma ciò che lasciava veramente senza fiato era il suo viso: incorniciato da una lunga e vaporosa chioma di capelli ondulati dalle sfumature biondo rossicce, rasentava quasi la perfezione.

Il volto dalla forma ovale faceva da cornice ad un paio di labbra carnose, simili ad un bocciolo di rosa, ad un naso piccolo, ad un paio di grandi occhi azzurri ed a delle sopracciglia sottili, ad ala di gabbiano.

La mente di chiunque la incontrasse per caso veniva attraversata dallo stesso, identico, pensiero: Virginia Hasenbein assomigliava ad una di quelle bellissime bambole di porcellana che si trovavano nei negozi di antiquariato e che ogni signora anziana desiderava avere nella propria collezione personale.

I ragazzi del quartiere se la contendevano dai tempi del liceo, gli ammiratori non le mancavano, anzi, erano aumentati da quando aveva mosso i primi passi come modella, ma, a ventitre anni, non aveva ancora nessuno a suo fianco.

Qualche storiella l'aveva avuta, come tutte le altre ragazze, ma non era mai stato nulla di serio.

Le sue amiche la prendevano in giro perché era alla ricerca del vero amore, del colpo di fulmine, della persona che le facesse sentire le farfalle dentro lo stomaco.

Secondo loro, il vero amore esisteva solo nelle favole per bambine.

Secondo Virginia, invece, esisteva anche nella realtà... Solo che aspettava il momento più opportuno per palesarsi.



Virginia spalancò la finestra della propria camera da letto e guardò verso il basso: in mezzo al giardino di casa sua c'era una figura femminile che continuava ad agitare le braccia sopra la testa per attirare la sua attenzione.

"Layla, ma sei matta?" la riprese la giovane in un sussurro, affinché nessun altra la sentisse "non devi tirare sassi contro la finestra della mia camera! Vuoi svegliare i miei genitori?"

"E allora scendi prima che il prossimo sasso ti arrivi in fronte"

"Senti... Non lo so... Non sono più sicura di volerla fare questa cosa, sai? È troppo... Troppo stupida e rischiosa"

"Che cosa? Stai scherzando, vero? Non puoi tirarti indietro adesso, all'ultimo secondo! Non se ne parla assolutamente! Scendi o giuro che inizio a gridare, sai che sono pronta a farlo!".

Virginia sapeva fin troppo bene che Layla non stava scherzando.

Richiuse la finestra con uno sbuffo, prese la giacca, una borsa a tracolla, ed uscì di casa facendo attenzione a non fare rumore: se anche uno solo dei suoi genitori l'avesse sorpresa sgattaiolare fuori nel cuore della notte, avrebbe passato guai seri; chiuse la porta d'ingresso piano e raggiunse l'amica in giardino.

Layla non le lasciò il tempo di protestare: la prese per mano e la trascinò letteralmente fino alla fermata dell'autobus infondo alla via, ed arrivarono appena in tempo per salire sul mezzo di trasporto.

"C'è mancato davvero poco!" commentò l'amica facendosi aria con la mano destra, aveva il viso arrossato a causa della corsa disperata; si lasciò cadere su un sedile vuoto e Virginia la imitò: anche lei era accaldata "se lo avessimo perso, avremmo perso anche l'inizio del concerto. Siamo già terribilmente in ritardo, a quest'ora possiamo scordarci i posti migliori"

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