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Martedì rientro finalmente in ufficio. Hanno dimesso Richard e siamo stati da loro fino a lunedì mattina, quando Alec ha insistito per riportarmi a Milano. È ripartito ieri sera e, da allora, mi manca come l'aria. Sto distrattamente mescolando il caffè quando Alice mi si avvicina.

<<Ehi! Quella nel paese delle meraviglie dovrei essere io!>> mi prende in giro e io le do un buffetto sul braccio.

Mi chiede come ho passato il weekend e, riluttante, le racconto di Alec e di suo padre. Lei mi abbraccia e io mi rilasso un po'. Per un attimo penso a quanto sia bello poter lavorare in un ambiente come il mio, dove il tuo capo ti saluta sorridente la mattina e le tue colleghe sono molto più che semplici compagne di lavoro.

Sono circa le quattro quando Stephan mi chiama nel suo ufficio. Lì, con mio immenso stupore, mi ritrovo faccia a faccia con Emmett Mirrell. Essendo la partenza fissata per il prossimo venerdì, presumo voglia discutere dei dettagli del viaggio.

<<Ciao, Mia>> mi saluta lui educato e io gli sorrido mentre gli stringo la mano. Ha una presa ferrea, sicura e, nonostante la confidenza, mi intimidisce ancora.

<<Sei pronta per partire?>>

<<Sì, direi di sì>> rispondo con un tono di voce fermo, anche se in realtà non mi sento pronta per niente.

Mi chiede l'indirizzo di casa, in modo da potermi venire a prendere, e io glielo trascrivo velocemente su un post-it.

<<Il volo è previsto per venerdì mattina alle sette. Puoi portare con te due bagagli da imbarco. Lascia pure a casa il computer, tanto nel tuo ufficio ne avrai uno. Hai qualche domanda?>>

Computer? Nel mio ufficio? Ma che cavolo...

Faccio segno di no con la testa e deglutisco a vuoto.

<<Bene, allora. Passo a prenderti venerdì>> e, con una strizzata d'occhio, si congeda. Quando esce dalla porta, si lascia dietro una scia di profumo Paco Rabanne e vedo le teste delle mie colleghe girarsi all'unisono per osservare, pacatamente, il suo didietro. Rido tra me e torno alla mia scrivania.

Il venerdì il mio umore non cambia per niente. Ormai abituata a vedere Alec, non so come impegnare il mio tempo mentre lui è a Cagliari per il campionato. Il sabato lo passo sul divano con Daniel, con cibo cinese d'asporto e tante ore di Netflix.

Domenica, invece, mi costringo ad andare al centro commerciale per completare gli ultimi acquisti in vista di New York. Mi sono già rassegnata al fatto che per i prossimi tre giorni andrò in ufficio vestita da stracciona, visto che gli abiti decenti sono impilati o piegati sul letto della camera degli ospiti, pronti per essere messi in valigia. È sempre così, i giorni prima di partire: sembri una scappata di casa, è una regola.

È mercoledì e sto tornando dall'ufficio, diretta in palestra per la mia ultima seduta con Pino prima di partire. La suoneria del mio telefono riempie l'abitacolo e premo il tasto di risposta sul volante.

<<Ciao, baby>> la voce calda di Alec riempie le casse della Toyota e io sprofondo nel sedile in pelle.

<<Mi manchi>> gemo, trattengo a stento il magone. Una lacrima sfugge al mio controllo e mi affretto ad asciugarla.

<<Oh, piccola, anche tu. Da morire>> anche Alec ha il magone e quasi scoppio a piangere come un'isterica quando realizzo, per l'ennesima volta, che starò via un mese. Un mese.

<<Stai andando in palestra?>>

<<Sì>> mormoro mentre altre lacrime sgorgano.

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