54. Non allontanrmi di nuovo

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"Eppure nonostante tutto, solo noi, sappiamo essere così lontanamente insieme

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"Eppure nonostante tutto, solo noi, sappiamo essere così lontanamente insieme."
(Julio Cortázar)





Ero appena rientrata da Philadelphia. Avevo fatto davvero fatica ad addormentarmi, il più delle volte avevo telefonato Derek passando le ore a chiacchierare fino a quando i miei occhi non cedevano da soli sotto l'effetto della sua voce sonora. Fu emozionante stare affianco a Karina Jackson mentre oltrepassavamo il tappeto rosso, per poi soffermarci al tabellone con il mio nome e quello di Givenchy per farci fotografare. Anche mia madre mi aveva telefonato, io le avevo risposto perché infondo a John dovevo un favore, per via del successo che mi stava facendo riscuotere e decisi che la cordialità verso mia madre ne sarebbe stato il prezzo. Ora mai era chiaro, non ero più una ragazza sperduta di Manhattan che se ne stava lì rintanata nella sua camera mentre la mattina si recava all'asilo per fare la maestra. Io ero una star, ero diventata finalmente qualcuno, stavo percorrendo la strada giusta a testa alta e col petto in fuori, non mi dispiaceva più essere fotografata bensì mi piaceva, un grande onore quello di poter essre allo stesso party con alcuni degli stilisti più famosi del mondo come Jimmy Choo, Dolce e Gabbana, Philip Plain, Giorgio Armani e tanti altri. Non ero più un estrena, l'ago del paiaio, la gallina in mezzo ai galli, io ero diventata una di loro. Grazie alla pubblicità della mia manager quasi tutti riconoscevano il mio viso, e lo attribuivano sempre a John McCarthy e al nuovo volto per i diamanti e pelle pregiata firmata Cartier. Nonostante ciò, l'ossessione per il cibo non risultò essere diminuita del tutto, ricordo che prima della passerella mi pesai, ansiosa del risultato ed ero esattamente una quaranta, mancava soltanto una taglia e sarei stata perfetta ma d'altronde avevo promesso a Derek che avrei mangiato e che vomitare e poi svenire non sarebbe stato più un gran passatempo.Grazie al lancio della collezione i debiti che John risultava avere sembrarono andar meglio del previsto, non capitava spesso e senza volerlo urigliavo le sue telefonate quando mi recavo in ufficio per lavorare insieme su alcuni capi. Decisi di mostrargli anche alcune bozze di calzature e di borse, sorrise fiero e le prese in considerazione con occhi gioisi e sfavillanti.  Quel venerdì, io e Derek ci trovammo nell'edificio che egli aveva affitato per dar spazio alle mostre d'arte finanizante da John e da alcuni dei suoi colleghi buon intenditori, per Derek fu difficile accettare la cosa ma i soldi di suo padre gli servivano e seppure John fosse totalmente assente e disinteressato alla cosa cercava, come me, di metterci del buon impegno come d'altronde io mi forzai di fare con mia madre la quale risultò essere più disintossicata e col viso per niente pallido, perfino col rossetto ai bordi giusti. Forse, la compagnia di John gli faceva davvero bene un uomo di quella taglia aveva di certo bisogno di una donna raffinata e seria accanto, Kate mi sembrò del tutto fuori discussione ma stranamente a John ciò non dispiaceva affatto e lei per lui riuscì a fare a meno di quelle pasticche, almeno fu ciò che mostrò.
-"Allora, che ne pensi?"- la voce profonda e soddisfatta del ragazzo mi scosse i pensieri, m'ero imbambolata a fissare le pareti bianche e i corridoii lunghi dal pavimento in mattonelle marroncino chiaro. Sulla nostra testa vi era perfino un soppalco, ed un ufficio personale dove Derek potesse lavorare ai suoi quadri anche se dichiarò espressamente di non averne bisogno,  gli bastava casa sua.
-"E'.. stupendo qui, insomma è quello che volevi giusto?"- gli sorrisi, per infondergli coraggio e buon umore. Mi avvolse le spalle con un braccio, per fortuna la primavera si accingeva ad arrivare e il nostro primo incontro mi parve immediatamente così vicino, erano passati mesi dalla nostra conoscenza e convinenza eppure mi sembrava soltanto ieri, la scena in cui scappai dalla festa di Kristie completamente zuppa e Derek che mi difese da quei ladruncoli in sella alla sua moto.
-"Si, proprio così"-
-"Quando ci sarà la prima mostra?"-
-"Non ne ho idea, dovrei sentire mio padre per fissare una data"- una punta di nervosismo gli bagnò la voce. Tolse via il braccio dalle mie spalle, per intascare le mani nei suoi jeans blu.
-"Chiamalo allora"- feci spallucce, l'edificio si trovava molto vicino a Central Park, proprio nel centro di New York in uno dei suoi vicoli caratteristici,non molto lontano da casa. L'abitacolo era molto ampio, caratterizzato da un piano inferiore e un'enorme sala molto luminosa per via delle vetrate decorate e dipinte, due corridoi e una seconda stanza e più infondo anche una terza leggermente più piccola delle altre. Un sopplaco con una ringhiera e una scalinata a chiocciola.
-"Si, lo chiamerò"- sbuffò, recandosi ad un tavolino che aveva sistemato recentemente con su una bottiglia di Rum e due bicchieri di vetro bassi.
-"Perchè sento che non lo farai affatto?"- mi avvicinai al tavolo, dove egli si versò dell'alcol nel bicchiere, io rifiutai con un cenno del capo.
-"Mio padre serve ancora troppo rancore per me.. non può funzionare"- sapevo che a Derek mancasse suo padre, che gli servisse una spalla soda su cui piangere, su cui consolarsi e perchè no anche su cui sorridere. Tutta la sua vita girava intorno a me, mi credeva l'unica cosa salda e sicura della sua vita ma mi sarebbe piaciuto che anche sua sorella e suo padre ne avessero fatto parte. Forse, con Kristie le cose iniziavano a migliorare, almeno quella ragazza cercava di mettere da parte i rancori ma John, conoscevo la sua tenacia e la poca considerazione che avesse del figlio.
-"Questo non puoi saperlo, provaci almeno"- incrociai le braccia al petto, fossilizzandomi sulle sua labbra attaccate al bicchiere mentre un sorso di Rum gliele bagnava.
-"Credimi Steffens, ci ho provato ma.. è  impossibile, crede che sia ancora colpevole della morte di mia madre, che in parte è vero, ma questi tre anni non si possono cancellare"-
-"No"- sentenziai, sicura di me. Egli corrugò la fronte, interessato alla mia frase categorica e severa.
-"Cosa?"-
-"Tu non ci hai mai provato. Der, smettila di dire che tu hai fatto tutto il possibile perchè non è vero. Se tuo padre crede che tu ne sia responsabile allora dovreste parlarne seriamente"- sospirai, spostò lo sguardo altrove e attesi qualche secondo.
-"Non mi ascolterà mai.. credi che non gliene abbia già parlato? E' inutile, ci sono troppi trascorsi, anch'io mi sono comportato come il figlio peggiore che potesse avere ma.."-
-"Allora ripara a ciò che hai fatto" -non rispose, s'umettò le labbra e sospirò a pieni polmoni guardando al di la della vetrata in alto. M'avvicinai, pigiando con delicatezza il capo sul suo addome ci sprofondai dentro, addentrandomi nella sua meravigliosa acqua di colonia. Gli cinsi il bacino, lui non esitò neanche un secondo a massaggiarmi il capo e poi le punte dei capelli.
-"Non sarà facile.."- sospirò ancora una volta
-"Non ho mica detto che lo sarà"- percepì il suo sorriso anche se in realtà non potessi vederlo, eravamo così in simbiosi. Sollevai il mento, ed egli come suo solito mi rubò un bacio delicato e ma veloce sulla  labbra, facendo rimbombare quel fugace schioccò fra le pareti dell'edificio. Non mi infastidì per nulla, bensì una parte del mio cuore sperò che continuasse che mi baciasse per poi accantonarmi alla parete e lasciarm ici travolgere da ciò che veramente sentivo. Ma non lo fece, io neppure, lasciammo le cose così com'erano. Come infondo ci eravamo pianficati fin dall'inizio, amici.


IL CORAGGIO DI RESTARE (In corso)Where stories live. Discover now