Parte 4

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Faccio un passo dentro la sala della biglietteria. H.W. è sempre lì, sembra non essersi mosso di un millimetro. Mi dirigo verso di lui e mi siedo a due sedili blu di distanza. Fisso il pavimento. "Va tutto bene?" gli chiedo; per un attimo mi chiedo se capisca che sto parlando con lui. H.W. non risponde.

"Si è calmato? Possiamo parlare?" domando.

"Di che dobbiamo parlare?" fa H.W., con tono insolente.

"Perché non vuole accettare il biglietto omaggio?".

H.W. scuote la testa.

"Se mi dice il motivo la posso aiutare". Cerco di rassicurarlo, anche se non ho la più pallida idea di come poter fare; mi sembra di stare patteggiando con un uomo che minaccia di buttarsi da un balcone.

"Non capirebbe" risponde, altezzoso. "Non mi va di parlarne qui, davanti a tutti".

"Davanti a tutti?" ripeto. "Non c'è nessuno qui. Siamo solo io e lei. Adesso, se può, metta da parte quel bastone e mi dica tutto".

H.W. mi guarda in faccia per la prima volta. "Il bastone resta dov'è; dovrò pur difendermi, no?".

Sospiro. "Sì, va bene, come vuole, ma non me lo punti addosso".

H.W. acconsente restando in silenzio. Io decido di aspettare che lui inizi a parlare. Qualcosa mi dice che parlerà presto, che ci tiene a difendere la sua posizione più di quanto detesti la mia presenza. Io ho appena buttato giù un enorme sorso d'acqua assieme all'aspirina, e il mio esofago brontola per il dolore. La mano di H.W. appollaiata sulla punta del bastone trema: è la prima volta che lo noto.

Poi mi arriva di nuovo una fitta di mal di testa. Non so perché, non so come, ma è come se quei due arpioni si fossero fatti strada per altri due centimetri nel mio cervello. Chiudo gli occhi e proprio in quel momento H.W. inizia a parlare.

"Ha mai sentito parlare dell'" anti-culto"?".

"L'anti-che?".

"E' una specie di filosofia, una corrente di pensiero underground, secondo la quale ogni scelta che facciamo sposta l'asse del nostro bene morale e lo allinea con i nostri desideri più materiali".

Io mi massaggio le tempie. "Non ho capito".

"Voglio dire che il nostro dio, il dio di ciascuno di noi, è nelle nostre scelte. Di solito si pensa sempre che uno sceglie per fare contento dio, per rispettare le sue regole. Invece secondo questo pensiero è dio che è succubo di noi, siamo noi a definire ciò che è etico e ciò che non lo è. Siamo noi a dominare i nostri dei. Non lo trova affascinante?".

Non riesco a dire altro che "Scusi, cosa?".

"Lasci perdere" mi dice. "Qual è il suo nome?".

Glielo dico.

"Bel nome" dice. "E' il nome di mia figlia. Io e mia moglie glielo abbiamo dato perché ci piaceva. Sa la storia del chiamare i propri bambini come i propri genitori, o come qualcuno di speciale, per onorarli. Io e mia moglie siamo sempre stati contrari. Abbiamo comprato un libro di nomi, aperto una pagina a caso e abbiamo scelto. Mi scusi se la sto importunando con queste chiacchiere".

Il vecchio che voleva infilzarmi con un'asta di legno si sta scusando? "Non si preoccupi". Vada avanti, vorrei aggiungere, vada al dunque.

"Le piace lavorare qui?" mi fa lui, invece, quasi per deridermi. "Dev'essere interessante, vede tanta gente, gente che parte, gente che torna".

"Eh, è vero" lo assecondo io in tono piatto, nascondendo la mia impazienza il più possibile.

"Però qui la gente parte per lavoro, i treni sono perlopiù regionali, non è così?".

I PENDOLARI SI VESTONO DI NEROWhere stories live. Discover now