Parte XIII.

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Settembre 2014.

Dopo un anno, ci fu un cambiamento, un piccolo passo avanti. Io e lui ci frequentavamo di più. Non ai livelli di una coppia, non allarmatevi. Ma eravamo diventati buoni amici.

Spesso ci confrontavamo su diverse argomentazioni, su fatti reali, della vita, e lì iniziai a conoscerlo meglio. E mi innamorai di lui all'inverosimile. Iniziai a capire come ragionava, e soprattutto, perché ragionava in un certo modo. Iniziai ad interpretare ogni suo sguardo, quando era annoiato, nervoso, triste o semplicemente indifferente.

Iniziai a vederlo per ciò che era: un ragazzo indifeso, che spesso si creava una corazza attorno per non essere ferito, perché la vita gli aveva già dato la sua dose di sofferenza. E lo ammiravo, perché lui sorrideva sempre. Non sembrava mai scoraggiato o negativo.

Diventammo persino complici, in alcune situazioni. Ci bastava uno sguardo per capirci, e uno per dirci cose che sapevamo solo noi due. Insomma, eravamo amici a tutti gli effetti.

E io mi feci andar bene quell'amicizia, sebbene io non provassi solo affetto nei suoi confronti. Ma pur di stargli vicino, capirlo e passare del tempo con lui, me lo feci andare più che bene.


I nostri amici iniziarono a prenderci in giro, ci chiamavano "la coppietta." Io arrossivo sempre, mentre lui li lasciava perdere, rispondendo sempre con un sorriso che a volte odiavo. Perché? Perché mi confondeva.

Ridevamo insieme, parlavamo, condividevamo pensieri molto intimi, che probabilmente non avrei confidato a chiunque, e per quello mi sentii molto unita a lui, più di qualsiasi altro rapporto. Lui si interessava sempre a me, voleva capirmi, mi faceva sempre molte domande e quando non capiva, si metteva d'impegno, sedendosi, e guardandomi con sguardo serio. Quasi potevo vedere le rotelle del suo cervello in funzione. Ed era così bello, quando faceva in quel modo. Aveva le rughette in mezzo alle sopracciglia, e spesso si mangiava le unghie. Era bello in qualsiasi modo lo vedessi, in qualsiasi ora, in qualsiasi circostanza.

Io e lui non messaggiavamo mai, né avevamo mai parlato al telefono. Il nostro rapporto era basato sui nostri incontri. E sebbene, col senno di poi, ho capito che non era una cosa così brutta questa, all'epoca mi faceva soffrire, perché passare i giorni senza sentirlo era brutto per me che ne avevo passati già tanti lontani da lui. Sentivo sempre il bisogno di raccontargli quello che mi succedeva, e dirgli «Hai visto? Te lo avevo detto che sarebbe andata così, e tu negavi sempre...» Ma invece non potevo. Avrei voluto scrivergli dopo aver preso la mia prima sufficienza in chimica, per sentirmi dire da lui «Io avrei preso di più!» con il suo solito umorismo, e poi cimentarci nelle materie che studiavamo che erano diverse, ma che ci rappresentavano alla perfezione. Detestavo sentire queste cose, e detestavo di più non sapere più cosa gli passasse per la testa.

Se lo odiavo, mi chiedete? Cacchio, a volte avevo la sensazione che se me lo fossi trovata davanti in determinati momenti probabilmente non glielo avrebbe tolto nessuno un calcio negli stinchi. Altre, invece, avevo la tentazione di scrivergli qualsiasi novità. Qualunque avvenimento accadesse, volevo raccontarglielo. Volevo sentire la sua opinione, sfogarmi con lui e poi farci una bella risata con una delle nostre battute oscene. Sentivo il bisogno di renderlo partecipe, perché era quasi come se lui fosse sempre con me, tanto invadeva i miei pensieri.

C'erano volte in cui provavo talmente tanta rabbia per quella situazione, quello stato in bilico, che cercavo di ignorarlo, facendo finta che lui non esistesse. E allora lui, capendolo, si avvicinava stuzzicandomi, contraddicendomi non appena aprivo bocca, e facendo aumentare la mia rabbia.

Ma arriva sempre un momento in cui la favola s'interrompe, e la magia viene improvvisamente trasformata in realtà. La nuda e cruda realtà. E nel mio caso, la realtà aveva un nome, un cognome, un sedere perfetto e dei capelli lisci come la seta.

Non mi rassegnavo. Non mi rassegnavo al fatto che una come lei avesse potuto rubare il cuore di lui, mentre io, che lo avevo sempre amato anche da lontano, ero solo un'amica...ero io, che ci sarei sempre stata. Ma non quella che aveva rubato il suo cuore. Non quella che riceveva le sue attenzioni, e che si beava del suo tocco o dei suoi sguardi.

Ragazzi, io ero a pezzi. Solo chi ama fino allo sfinimento sa quanto male faccia la sconfitta. Solo chi ama sa quanto vederlo tra le braccia di un'altra possa far sprofondare un intero mondo, e ribaltare la realtà. Non potevo crederci...non dopo averlo amato con tutto il mio cuore, non dopo averlo aspettato per due anni, non dopo aver lottato contro tutti, e aver chiuso la porta in faccia a qualcosa di più sicuro.


"...e penserai a quante volte i miei occhi si sono spenti vedendoti con lei. Penserai agli sguardi cupi che avevo mentre ero tra le braccia di un altro."

Glielo scrissi in un messaggio, che non ebbi mai il coraggio di inviare. Glielo scrissi quando decisi di lasciarmi andare, e provare a dare una possibilità ad un ragazzo che mi voleva bene, e che voleva solo il meglio per me.

Iniziai a messaggiare con Julian, nonostante i miei pensieri andassero sempre verso un'altra direzione. Julian era un ragazzo dolce, gentile e premuroso. E decisi di dargli una possibilità, perché era quella che mi meritavo anche io.


Un giorno, in compagnia di alcuni nostri amici, io e lui ci incontrammo. Era passato un po' di tempo da quando non ci vedevamo, e cercai di ignorare quella stretta allo stomaco non appena mi guardò.

Vederlo, sapendo di star facendo la conoscenza di un altro ragazzo, mi aveva turbata e intristita, perché sapevo che Julian, per quanto bravo fosse, non era lui.

Mi allontanai dai miei amici, perché avevo bisogno di schiarirmi le idee e di mettere in ordine il casino che avevo in testa in quel momento. Non volevo ammettere a me stessa che i miei sentimenti per lui continuavano ad essere una forza più grande di me. Non volevo ammettere che solo guardandolo mi perdevo nei suoi occhi, nella sua risata, nel sorriso che spesso trasudava una tristezza infinta.

«Mi hai deluso.» la sua voce dietro di me, mi fece voltare di scatto. Me ne volevo andare, ma lui mi afferrò per il polso, impedendomi di non guardarlo dritto negli occhi. Lì, dove il mio autocontrollo sembrava svanire.

«Cosa vuoi?» gli risposi.

«Niente.» fece spallucce, «ma mi sei caduta dal cuore, davvero. Non pensavo che ti frequentassi con quello lì. Proprio con lui, poi.»

Alzai un sopracciglio, e lui evidentemente vide la mia espressione confusa, perché distolse lo sguardo. «E a te cosa importa? Cosa ti importa se mi frequento con un ragazzo che mi tratta bene? Ti da per caso fastidio?»

Non rispose subito. Non riusciva a guardarmi negli occhi.

«Non è questo. È solo che non me lo aspettavo da te, tutto qui.»

«Perché cosa avrei fatto di tanto grave, per sentirmi dire queste parole?»

Lui sospirò. «Niente, lascia stare. Ma sappi che mi hai deluso.»

Se ne stava per andare, voltandomi le spalle, quando mi sentì parlare, e si voltò verso di me.

«Non posso aspettare qualcuno che non vuole arrivare.»

«Forse potevi.» sussurrò. Poi scosse la testa. «No, hai ragione...»

Se ne andò, lasciandomi lì, senza che potessi ribattere, senza potergli dire che io lo avevo aspettato per due anni, due interi anni, senza avere occhi per qualcuno che non fosse lui. Non permettendomi di essere felice con qualcun altro, perché sapevo che la mia felicità giaceva dentro di lui. Volevo dirgli di stare ad ascoltarmi. Volevo dirgli che lo amavo, e che mai nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto.

Ma non gli dissi niente, e dentro di me, quel giorno, si ruppe qualcosa.


Come stelle cadenti.Where stories live. Discover now