Non conoscevo molto quell'abitazione, ma un posto in solitudine lo ricordavo. Inserì il cappotto e il necessario per non morire assiderata in giardino e quando l'aria fredda di gennaio mi colpì in viso avrei voluto sprofondare in un enorme baratro. Sedetti sull'altalena di ferro rossa e cominciai a dondolarmi lentamente, leggeri fiocchi di neve iniziarono a schiantarsi sul suolo erboso riaprendolo di bianco. Mi strinsi nel cappotto, nonostante i gradi sotto zero quella brezza fredda cominciai a sentirla di meno, per via probabilmente della mente continuamente in viaggio. Tentai di inviare un messaggio a Megan liberandomi un paio di dita dai guanti, le dissi che mi mancava che mi madre era tremenda come al solito, sperai che mi rispondesse.
Tre quarti d'ora più tardi probabilmente, udì dei passi pesanti e come potei non riconoscere la forte pressione di quegli anfibi. Il ragazzo incappucciato si accomodò al sedile accanto al mio e iniziò a dondolarsi.
-"Tutto bene?"- quella voce ovattata e coperta dalla sciarpa spessa mi fece sorridere mentalmente. Tirai un grande sospiro.
-"Si.. credo di sì"- adagiai il capo agli anelli di ferro, per fortuna quel giorno avevo indossato anche il berretto di lana.
-"Ne sei sicura?"- si sporse maggiormente cercando di indagare nelle mie iridi chiare.
-"No"- sentenziai, spazzando via con la punta delle mie scarpe un granulo di neve.
-"È stato parecchio forte.. quello schiaffo"- non risposi subito, probabilmente Derek aveva la fantastica capacità di sdrammatizzare le cose, di farti sorridere anche quando non ne era opportuno.
-"Nha, non tanto"- tirai un grosso sospiro nascondendo il naso infreddolito nella spessa sciarpa di lana.
-"Mi dispiace.. non volevo creare tanto disturbo, Timor mi accompagnerà a casa"- riflettei, non avevo più la minima voglia di guardare in faccia mia madre e di ricordarmi ogni volta quanto ella sia stata capace di farmi sentire sola nel corso negli anni.
-"Non scusarti, la mia famiglia non è poi così diversa dalla tua"- sbottó egli, guardando un punto fisso davanti a se. Quel sorriso era svanito ed aveva lasciato spazio ad uno sguardo rammarico e pensieroso. Per quanto non andassimo d'accordo, in cuor mio sapevo che Derek poteva capirmi più di qualsiasi altra persona al mondo, ero a conoscenza del fatto che egli avesse avuto uno di quei passati turbolenti dal quale è difficile scappare, lui era come me, per questo ne avevo paura.
-"Forza, entriamo si gela qui fuori"- soffiò l'aria dalla sua bocca che si trasformò in vapore, si strofinò le mani inserendole nelle tasche del suo giaccone. Non risposi, annuì e con passo felpato restai dietro la sua figura.  Non mi accorsi del paccoccio che teneva fra le mani, il quale probabilmente l'aveva appoggiato sull'erba nel momento in cui aveva preso posto sull'altalena. Sperai di non incontrare nessuno, mi sarei scusata con quella famiglia più tardi d'altronde ero pur sempre educata e rispettosa. Arriviamo all'ingresso senza passare per la sala da pranzo e salimmo lentamente la scalinata a chiocciola che tanto mi piaceva. Ci fermammo al secondo piano, il design era esattamente uguale per tutta la struttura, pareti écru quadri d'epoca, pavimenti lucidi e tappeti esotici. Dopo il lungo corridoio ci fermammo alla terza porta sulla sinistra la quale egli la aprì senza alcuna fatica.
-"Cos'è quello?"- indicai il cartoccio, egli mi aveva spalancato la porta di legno bianco e mi incitò ad entrarci, così feci.
-"Il tuo pranzo"- rispose con nonchalance.
Un enorme letto a baldacchino regnava al centro della stanza un mini sofà color crema con di fronte un enorme schermo al plasma, un tappeto circolare ai piedi del letto e un bagno privato. Tolsi via la sciarpa e il capello reggendoli fra le mani, osservai in giro soffermandomi minuziosamente su ogni dettaglio, nessuna traccia di disordine o di polvere pensai addirittura che non fosse mai stata usata.
-"Questa si che è una camera"- ridacchiai, concentrandomi sull'enorme comò bianco dai pomelli dorati, poi una cornice posta su di esso mi fece assottigliare gli occhi. M'avvicinai all'oggetto reggendolo successivamente fra le dita. Era una cornice di legno chiaro, in essa c'era incisa una foto di una donna affascinante da lunghi capelli castani e lisci col viso spiccicato a quello di un dolce bambino baffutello. Quegli occhi blu come il mare, in contrasto coi capelli corti e il sorriso sbarazzino mi fecero capire immediatamente.
-"Ma è la sua stanza questa"- con un tono affermativo mi voltai verso egli che in tanto era intento a sistemare il cartoccio sulla scrivania, tirò fuori due piatti con tanto di posate e bicchiere.
-"Si be' mio padre è sempre stato convinto che un giorno sarei venuto a vivere qui, come un principe, non ti sembra troppo?"- storse il naso osservando per un nano secondo l'arredamento della stanza.
-"Io dico di no, è bellissima"- lo contrastai, pigiai il cappotto assieme al resto al bordo del materasso coperto dalla trapunta marrone e mi avvicinai alla scrivania.
-"Allora qui ci sono carne, patate e un po' di pasta con il salmone"- dichiarò fiero di se, mi stupì del fatto che egli si fosse preoccupato di portarmi il pranzo datone che ero fuggita in maniera maleducata il giorno del primo gennaio. Mi sentì tremendamente nell'essere stata fuori luogo e capricciosa, non era il momento quello di azzuffarsi sul proprio genitore, non ero neanche a casa mia avevo causato un gran disturbo con la mia rabbia incontrollabile e fuori tempo. In oltre non avrei mai immaginato di ricever altri schiaffi, nessuno dopo Robert mi aveva mai toccato con un solo dito. Quel suono rimbombò ancora nelle mie orecchie e quella pressione la percepì premermi ancora sulla mi guancia.
-"Non ho molta fame"- anche se lo stomaco non era per niente d'accordo, quell'amaro in bocca non si decideva a sciogliersi così come i sensi di colpa. Egli non rispose, bensì si liberò anch'esso del suo cappotto rivelando il maglione color petrolio. Si posizionò dietro la mia figura e posò con forza le mani sulle spalle, un rapido movimento e lentamente mi incitò a sedermi sulla sedia accanto alla scrivania.
-"Stefens, non ci muoviamo di qui fin quando non avrai mangiato almeno la carne. Hai saltato anche la colazione stamattina"- come un genitore sgrida un figlio, si liberò anche della sciarpa e si sedette al bordo del letto picchiettando le dita sulle sue ginocchia. Osservai la sua immagine, e senza che me ne rendessi conto sfociai in una fragorosa risata.
-"Sembri mio padre, sul serio"- parlai fra un risolino e un altro.
-"Mi comporterò come tale se non mangi"- un sorriso scappò anche a lui, fui grata della sua presenza nonostante le milioni di cose che odiavo sul suo conto, ero felice quando ci ritrovavamo insieme quando le nostre risate non esitavano ad unirsi all'usignolo.
-"Tu? Non credo saresti un bravo genitore Derek"- appoggiai il mento al legno della sedia ruotandomi completamente e dando le spalle al mio pranzo. Con espressione fintamente allibita si guardò intorno e con l'indice indicò se stesso, quelle movenze mi fecero ridere ancora di più.
-"Io? Ma stai scherzando sarei un perfetto papà invece"- risi come una squilibrata per via dell'atteggiamento superbo che aveva assunto, rise anch'egli.
-"Si come no, tuo figlio a dodici anni saprà già distinguere un paio di tette finte da quelle vere"- sbarrò le iridi blu e rise come un matto tenendosi la mano sul ventre e calandosi all'interno sul materasso.
-"Questa è bella, si può essere"- rispose fra una risata e un altra. Fu rasserenante ridere insieme, per qualche minuto scordai quasi il motivo per il quale quella mattina era cominciata col piede storto per finire con un rumoroso e possente schiaffo. Virai lo sguardo sulla cornice per poi schiantarmi nuovamente contro il suo oceano blu.
-"Sei tu in quella foto?"- la sua risata scemò lentamente fino a smettere e a far spazio ad una serie di pensieri vaganti e insistenti. Quell'oceano divenne immediatamente buio. Osservò anch'egli la foto posta sul comò, così rapidamente che tornò a strofinarsi le dita sul tessuto dei pantaloni.
-"Si sono io"- quel tono in colore mi fece rabbrividire, probabilmente non sapeva che suo padre aveva piantato lì una foto con sua madre.
-"Ti manca molto tua madre?"- mi pentì subito dopo di quella frase, forse Derek non era quella persona a cui far rimembrare i momenti passati, preferiva tenerli per se starsene in silenzio e non parlaci. Non volevo essere invadente, anche se le cose a quel periodo non mi erano ancora del tutto chiare. Si continuava a dire che Derek avesse fatto uno di quegli errori madornali dai quali non si può più tornare indietro, e che sua madre fosse morta in un incendio. Avrei tanto voluto sapere le origini di quella storia. Sperai in una reazione passiva piuttosto che una sfuriata e probabili cocci rotti sul pavimento, d' altronde stavamo davvero provando ad essere amici. Si schiarì fortemente la gola prima di rispondere.
-"Forse si"- quella vaga domanda fu accompagnata da un sguardo confuso e imbarazzato, forse mai nessuno gli aveva posto quella domanda.
-"Siamo amici, non devi vergognarti"- provai a continuare, datone la sua reazione probabilmente positiva. Cercai di rassicurarlo con gli occhi, provando in continuazione di incastrare le sue iridi oscure, ci riuscì e sorrisi dolcemente inclinando il capo verso sinistra.
-"Se mi guardi in quel modo, dovrò smettere di vergognarmi"- canzonó, seppur quel tono a mio parare parve sensuale e seducente, ma cercai di ignorarlo come del resto ormai facevo da quando lo conoscevo. Ridacchiai divertita, scostando il capo a destra e a sinistra.
-"Sei sempre il solito"- tacque qualche secondo, e dopo delle leggere risa tornò serio.
-"Comunque si, mi manca molto.. non lo nego, è stata tutta colpa e mi odio per questo"- il fievole tono distrutto dal dolore si schiantò diritto nel petto, facendomi sciogliere come neve al sole. Non volevo dargli strane aspettative, ne certamente volevo darle a me stessa me ormai in sua presenza l'impulsività e quelle sensazioni predominanti prendevano il sopravvento. Senza che potessi continuare, lentamente mi avvicinai al bordo del materasso mi ci sistemai su con tutte le scarpe spostando il penso interamente sulle ginocchia. Non esitai, ma forse avrei dovuto farlo, appoggiai il capo sulla sua grossa spalla e gli avvolsi il petto con entrambe le braccia. Non avrei dovuto farlo, specialmente in virtù del bacio che ci eravamo scambiati la sera prima che come un schiocco di dita pareva essere stato dimenticato sia da me che da egli. Sorrise appena, e cominciò a strofinarmi il dorso della mano col pollice. Schiusi le labbra, ma poi ci ripensai preferivo il silenzio.
-"Un giorno ti racconterò tutto, promesso"- precedette le mie domande, le mie intenzioni e forse aveva ragione doveva essere lui a parlarmene come io dovevo essere pronta a raccontargli ogni cosa. Mi venne da sorridere, non ci eravamo mossi di un solo millimetro il suo profumo maschile mi aveva ormai posseduta respirarlo mi sembrò ormai un'abitudine.
-"Stiamo diventando sentimentali"- mugolai seccata, egli ridacchiò divertito. L'altra mano, quella libera avvolse il mio capo, afferrando delle piccole ciocche di capelli e attorcigliandoseli fra i polpastrelli, sarei rimasta in quella posizione per sempre. Quasi avvertì le palpebre chiudersi.
-"Si.. lo so, ma non fa niente"- il suo petto si alzò e si abbassò allo spasmo di risata che aveva emesso, io mi stavo godendo quella tranquillità e quella pace che tanto avevo bramato per tutta la vita.

IL CORAGGIO DI RESTARE (In corso)Where stories live. Discover now