Capitolo XIII - Vivi

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31 marzo
«Eren, hai suonato magnificamente! Ti è successo qualcosa di particolarmente bello, ultimamente? La simulazione d'esame di oggi è andata bene?», chiese il professor Smith, ormai talmente abituato al castano e al suo modo di suonare da accorgersi di ogni sua sfumatura, soprattutto se diversa dal solito.
«Erwin, in realtà... stavo pensando di tornare a suonare su un palco. Ci penso da molto, ma adesso ho finalmente trovato la giusta motivazione», rispose il ragazzo, perdendosi nei ricordi della notte da poco trascorsa con il professor Ackerman, e alle sue dolci parole sussurrate prima di addormentarsi.
Aveva passato tutta la giornata a credere di aver sognato tutto: e, una volta autoconvintosi, si era ripetuto che quello che per lui era amore, per Levi probabilmente non era stato altro che sesso, una notte come tante altre.
Eppure c'era qualcosa nel suo sguardo, nel suo modo di sfiorarlo... che lo fece ben sperare.
«Non ti vedevo così sereno da molto tempo», disse il più grande dopo qualche minuto di silenzio, avvicinandosi e avviluppandolo tra le sue braccia; il suo sguardo si era fatto improvvisamente spento, privo di alcun tipo di malizia, ma completamente oscuro, colmo fino all'orlo di rimorso e senso di colpa, «mi dispiace... mi dispiace così tanto, Eren. Per ciò che ti ho fatto in classe, e...»
Lo Jaeger, pronto a scansarsi, rimase immobile per ascoltare ciò che Erwin aveva da dire. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere, come se avesse un peso addosso ormai diventato fin troppo grande da sostenere.
«...e per ciò che ho fatto a lei...», continuò, ormai in un sussurro, tanto che Eren dovette sforzarsi per elaborare ciò che aveva sentito. E mentre il maggiore si allontanava dal suo abbraccio, lasciandolo pieno di dubbi, un'altra figura era immobile davanti alla porta, intento ad osservare la scena.

«Dove credi di andare?»
Eren si voltò di scatto, sfinito da quella strana giornata. Il suo migliore amico si infilò sotto il suo braccio, costringendolo ad abbracciarlo, sorridendogli dolcemente.
«Oggi mi sono auto-invitato a casa tua, spero non sia un problema», lo informò Armin, per poi riprendere a camminare come se nulla fosse.
«Va bene, va bene...».
I due passarono l'intero tragitto ridendo e scherzando; si sentivano stranamente felici, spensierati. Quella casa, ormai diventata una silenziosa tortura, era - per la prima volta dopo tanto tempo - invasa da fragorose risate e superficiali chiacchiere. Ma il momento tanto atteso era arrivato, e non potevano più rimandare: Eren si era finalmente deciso a raccontare ciò che era successo il giorno prima, ed Armin ascoltava ogni parola pendendo dalle sue labbra, come un bambino ascolta una fiaba.
«Sembra fin troppo surreale», disse il biondo, non appena terminato il racconto, mentre fissava un punto imprecisato del soffitto; i due amici erano distesi insieme nel letto, uno in direzione opposta all'altro.
«Eren, non ce la faccio più a resistere, stai puzzando! Datti una lavata, santo cielo! Di questo passo lo ammazzi il professor Ackerman», si lamentò Armin, tappandosi il naso, spostandogli le gambe dal cuscino.
Lo Jaeger, in tutta risposta, tentò di toccargli il viso con i piedi, facendo così partire una grottesca lotta tra i due; tutto, dai movimenti alle espressioni facciali, era vissuto in modo talmente epico da sembrare una tragedia greca. Non appena entrambi placarono le risate, Eren si levò a sedere, accendendosi una sigaretta.
«Non so cosa fare, Armin. Come devo comportarmi? E la storia dell'anonimo? Devo dirglielo, o lasciare perdere?».
«Eren, queste sono cose che puoi decidere solo tu», gli rispose l'Arlert, infilando metà del viso all'interno della sua felpa per non inalare il fumo del compagno, «in ogni caso, sappi che non dirò nulla a Jean su voi due. Siete pur sempre professore e alunno, e per quanto io possa amarlo, stiamo insieme da troppo poco, non so ancora come se la cava nel mantenere i segreti, ed io non voglio causarvi problemi...»
A quelle parole, Eren capì: si rese conto di non essere mai stato solo, nemmeno quando si sentiva come se fosse stato abbandonato da tutti. Ogni volta che ne aveva bisogno, Armin c'era sempre stato per lui; il castano, invece, non aveva fatto altro che autocommiserarsi, pensando di non avere amici, consapevole di non essere amato da nessuno.
Lo Jaeger invertì la sua posizione, ritrovandosi di fianco ad Armin, senza però guardarlo in viso. Non aveva mai fatto nulla per lui e, probabilmente, doveva averlo ferito con il suo egoismo.
«Grazie, Armin...», sussurrò, prendendogli una mano e stringendola fra le sue. Quel gesto fu seguito da un attimo di silenzio: avrebbe tanto voluto rimanere in quel modo, in quella posizione, con l'Arlert accanto, per sempre. Ma il ragazzo aveva imparato a sue spese che nulla di quello che aveva desiderato, nella sua vita, si era mai realizzato. Doveva semplicemente andare avanti.
«Devo ancora parlarti di una questione», disse infine, catturando nuovamente l'attenzione di quegli occhi turchini.

Se solo tu mi amassi || Ereri 〜 Riren #Wattys2019Where stories live. Discover now