Capitolo VIII - A volte, va bene piangere

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«Se vuoi puoi rimanere, Eren».

Come aveva fatto a ritrovarsi in quella situazione?
Eren non riusciva a pensare ad altro che a quella domanda, mentre si rigirava nel letto nel tentativo di addormentarsi. Per quanto la sua mente gli avesse gridato di declinare l'invito, la dolcezza con la quale il professore aveva pronunciato il suo nome lo aveva destabilizzato, facendo battere pericolosamente forte il suo cuore. E così, trasportato dai sentimenti, il castano aveva immediatamente ceduto alla tentazione.
Sbuffò, ripensando agli avvenimenti di quella sera, afferrando il telefono dal comodino.

«Vado a prenderti un cambio di vestiti e a sostituire le lenzuola», disse Levi, una volta che il ragazzo si era riseduto di fronte a lui.
«Professore, non è necessario, posso dormire sul divano», ribatté Eren, sorpreso dall'attenzione che il corvino gli stava rivolgendo.
«Non se ne parla, Jaeger, sei mio ospite», insisté l'Ackerman, mostrando il solito cipiglio annoiato, «dormo io sul divano».
Fu a quel punto che Eren non seppe più cosa ribattere: apprezzava quell'inaspettata gentilezza, eppure avrebbe solo voluto rimanere con Levi ancora un po'.
«Hai cenato?», chiese il corvino, tornato dopo pochi minuti con una canottiera nera ed un paio di pantaloncini, probabilmente entrambi troppo piccoli per Eren. Il castano però accettò di buon grado, cercando di nascondere il suo crescente sorriso: quella sera non solo avrebbe indossato i vestiti di Levi, ma avrebbe anche dormito nel suo letto!
«Sì», mentì, distogliendo lo sguardo, incamminandosi verso il bagno per cambiarsi.
Indossò il completo datogli dal professore, felice di scoprire che la taglia - nonostante non fosse quella giusta - non era eccessivamente piccola per il suo corpo, data la larga vestibilità.
Tornato in soggiorno, collegato alla cucina, trovò Levi intento a cucinare.
«Professore, che sta facendo?», chiese spaesato il castano, osservando - con gli occhi pieni d'ammirazione e amore - il corvino ai fornelli.
«So quando racconti cazzate, Jaeger. Ora siediti e aspetta la cena».
Eren non era abituato a dormire fuori casa, ad avere qualcuno accanto la sera, né tanto meno a sentire quest'ultimo preoccuparsi per la sua salute. Sempre solo, in quella casa separata dal resto del mondo, era stato lasciato a morire.
E nonostante la dolcezza di qualche minuto prima fosse scomparsa, lasciando il posto al tono duro di Levi, calcato soprattutto nel pronunciare il suo cognome, Eren sorrise, sentendo le sue guance imporporarsi.
Quella scena sembrava una delle tante che aveva sognato: si sentiva al suo posto, come se - finalmente - fosse a casa. Il cuore prese a bruciargli, ma non dello stesso incendio che lo consumava ogni notte: era forse la voglia di abbracciare da dietro quell'uomo, lasciando una lunga scia di languidi baci sul suo collo? O magari la felicità nel mangiare un pasto da lui cucinato, scoprendolo sorprendentemente gustoso?
«È tutto buonissimo, grazie!», ripeté per l'ennesima volta il ragazzo, sentendo sbuffare il più grande. Non si sarebbe mai aspettato che Levi fosse così bravo in cucina, e la cosa non fece altro che alimentare il suo buon umore.
Per la prima volta, dopo tanti anni, Eren stava mangiando con gusto: il nodo allo stomaco sembrava essersi sciolto, scomparso nella tempesta di quegli occhi argentei; finalmente mangiava per fame, e non semplicemente per sopravvivere o per mantenere in forze il proprio corpo.
Una volta terminato il katsudon, con la pancia piena, lo Jaeger si alzò frettolosamente, avvicinandosi al lavabo con passo felpato.
«Non ci provare», disse Levi, alzandosi dal divano e raggiungendo il ragazzo in pochi secondi, bloccandogli la mano che aveva afferrato la spugna. Come aveva fatto a vederlo, se fino a qualche secondo prima era girato di spalle?
«Mi dispiace professore», si scusò il castano, cercando di non pensare alla mano di Levi che gli cingeva il polso, «ho già iniziato», disse, liberandosi con uno strattone dalla presa dell'Ackerman ed iniziando a insaponare la scodella e le bacchette di metallo che, in meno di qualche minuto, furono lavate ed asciugate.
Levi, sconfitto, tornò sul divano, ignorando il fastidioso ghigno sul viso del più piccolo. Quella scena sembrò, ad entrambi, così quotidiana e familiare che ebbero paura di assuefarsi, abituarsi alla presenza dell'altro. Quanto si sarebbero sentiti soli la sera dopo?
«Vai a dormire, moccioso», disse il corvino, dopo qualche minuto di silenzio. Avrebbe solo voluto stringere Eren tra le sue braccia, annegare nel mare smeraldino dei suoi occhi, baciare quelle labbra rosee che, in quel momento, erano torturate dai denti dello Jaeger. Perché era così agitato?
«Buonanotte professore, a domani», mormorò, nonostante non avesse assolutamente sonno, attraversando il corridoio della casa per poi richiudersi la porta della camera alle spalle.
Quella frase, "a domani", sembrava quasi una promessa.
La stanza di Levi era molto semplice, realizzata sui toni del bianco e del grigio: il letto matrimoniale, attaccato al muro dalla parte della testiera, si trovava sopra un grande tappeto rotondo; ai lati del letto due comodini, con svariate cianfrusaglie poste sopra, ed un'abat-jour da muro per lato.
Una cassettiera bianca, che conteneva perlopiù orologi, gemelli da polso e accessori vari, era custode di un grande televisore, di cui Eren non riuscì però a trovare il telecomando. Infine, a riempire le pareti "laterali" al letto, si trovava da un lato un armadio in legno di betulla, di un bianco immacolato, come fosse ancora nuovo; mentre, dall'altra parte, un'enorme finestra con tende grigie ospitava un angolo lettura, composto da una poltrona ed una lampada da terra.
Eren si distese sul morbido materasso, esausto, affondando il viso tra i cuscini; nonostante il professore avesse cambiato le lenzuola, il suo profumo lo circondava completamente, inebriandolo, facendogli perdere la testa e l'ultimo barlume di lucidità rimastogli in corpo.
"Se solo non fosse il mio professore", pensò, infilandosi sotto le coperte, "magari sarebbe qui con me adesso, e non sul divano."
Subito dopo aver formulato quel pensiero, però, il castano si rimproverò mentalmente: uno dei suoi difetti era quello di non riuscire ad accontentarsi, mai.

Se solo tu mi amassi || Ereri 〜 Riren #Wattys2019Where stories live. Discover now