7. Tutta colpa della tempesta

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KIMBERLY

Dopo aver accettato l'aiuto che Steven mi aveva gentilmente offerto, credevo che arrivati in macchina ci saremmo chiusi dentro per parlare. In realtà non è stato così. Una volta saliti nel  suo fuoristrada, ha iniziato a guidare nel silenzio più totale.

Sarà già una buona mezz'oretta che è al volante, e a me questa situazione inizia a spazientire.

Credevo ci saremmo fermati a casa sua, ma quando l'abbiamo superata un moto di angoscia ha iniziato a nascere dentro di me.

Non ho paura di lui, sia chiaro. Anche perché sarebbe davvero difficile averne, insomma l'avete visto? È soltanto che quando sono con lui, cambio. Quasi non mi riconosco. Sono più sciolta, più allegra e anche più spensierata.

Sbuffo di nuovo, questa volta con più enfasi, e lui si volta a guardarmi sorridendo.

<<Siamo quasi arrivati. Tranquilla>>

La tranquillità non fa più per me. In realtà, a pensarci bene, credo proprio che non abbia mai fatto parte di me.

Immaginante le persone che la mattina camminano tranquille lungo il marciapiede, tenendo nella mano destra un caffè, nella sinistra la borsa e sotto braccio il giornale. Niente sembra destarli dal loro stato di tranquillità, neanche i clacson che suonano all'impazzata, le sirene che si avvicinano e si allontanano velocemente, o i corridori che fanno lo slalom tra di loro per poter giungere vittoriosi a Central Park.

Avete immaginato? Bene.

Poi immaginate me, un caffè nella mano destra, borsa rigorosamente Gucci nella sinistra, giornale sotto il braccio e Tom Ford ai piedi che corro con la grazia di un cigno tra tutta quella gente alla ricerca impossibile della mia tranquillità, senza trovarla. Credo di non averla neanche quando dormo.

<<Dove stiamo andando?>>

Non ho nenache il tempo per finire la mia domanda, che l'auto di Steven si ferma, in mezzo al bosco davanti ad un enorme e graziosa villetta di mattoni rossi.

Senza voltarmi verso di lui, scendo dall'auto velocemente e mi piazzo davanti all'ingresso osservandomi costantemente intorno per cercare di cogliere quanti più particolari possibili da imprimere a fuoco nella mia mente. Mi ricorda tanto una delle case vacanza di famiglia in Canada. Mi manca il Canada.

<<Da questo deduco che ti piaccia.>>

Sento il suo corpo appoggiarsi lentamente al mio ed il suo profumo investirmi le narici. Il cuore batte alla velocità della luce e sento un leggero scompiglio nello stomaco. Ma la magia svanisce subito, quando apre con uno scatto la porta e mi sorpassa per entrare in casa.

A malincuore, lo seguo, scuotendo la testa e sventolando la mano davanti alla bocca. C'è tantissima polvere qui dentro. In questa casa, Steven non metteva piede da molto tempo.

Lo seguo con lo sguardo, mentre inizia ad aprire le finestre. Quando i muscoli delle braccia si flettono, una strana sensazione parte dalla testa ed arriva fino al basso ventre facendomi diventare immediatamente rossa dall'imbarazzo per i miei pensieri.

Vorrei soltanto sapere come si sta tra le sue braccia. Quanto forti sono le sue mani. Vorrei soltanto sapere quanto è forte lui.

<<Vieni accomodati.>> Mi fa segno di sedermi accanto a lui sul divano, che ha appena scoperto. Il lenzuolo bianco è totalmente sporco, ma ha sicuramente fatto il suo dovere perché il divano di pelle nera è lucente.

Ridammi luceWhere stories live. Discover now