2. Unexpected Guest

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22 novembre 2019.

Come un flashback, si insinuarono nella mia mente le immagini della conversazione avuta la mattina stessa con Tanya e automaticamente assunsi un'espressione piuttosto seria, corrugando la fronte e stringendo le mani in due pugni. Un piccolo ghigno si distese sulla bocca dell'altro e, se non fossi stata più bassa di lui di una ventina di centimetri, probabilmente lo avrei massacrato davanti a tutti i presenti. Stavo già immaginando il titolo della testata del giornale con il mio nome scritto per inciso quando fui trascinata dalla folla all'interno dell'autobus, cosa che non mi fece staccare lo sguardo da lui.

Solo quando andai a sedermi di fianco ad una signora, riuscii a rilassare i muscoli ed allentare la presa dei pugni, tornando a respirare normalmente. Ian Blevis, era il tipo di ragazzo che riusciva ad attirare l'attenzione grazie al suo aspetto fisico: magro, slanciato, col viso dai tratti pronunciati, gli occhi azzurri e i capelli di un biondo dorato. Poteva tranquillamente essere uno di quei testimonial per profumi costosi o vestiti firmati, ma nella realtà era tutt'altro e al solo ricordo delle sue labbra sulle mie, le mani calde che mi sfioravano i fianchi e il mio cuore che batteva all'impazzata mi venivano i conati di vomito. Certo, probabilmente la sua condotta era cambiata, dopo essere stato in carcere per circa due anni, ma Blevis non potevo proprio digerirlo. Anzi, non ero proprio il genere di persona che sapeva perdonare. Non ero orgogliosa, più che altro mi proteggevo indossando una corazza di menefreghismo nei confronti di chi mi aveva fatto del male ed era piuttosto difficile che mi ricredessi sulle mie decisioni.

Mi risvegliai dai miei pensieri solo quando la voce metallica - e registrata - chiamò la fermata 'Grange Abbey Groove'. Mi alzai dal posto e, insieme ad un altro paio di persone, scesi dall'abitacolo, salutando gentilmente l'autista. Sospirai, tirando su il cappuccio per proteggermi dalla pioggerella fine, e attraversai a passo svelto il piccolo quartiere della fazione di Donaghmede. Quando calpestai lo zerbino di casa mia, strofinai le suole su di esso ed entrai sentendomi subito sollevata.

Il profumo di pulito, la moquette marroncina e la voce della giornalista del tg in lontananza, mi facevano sentire a casa. Tolsi il giubbotto e lo abbandonai sul mobile dell'entrata, lasciando anche le scarpe di fianco ad esso, e mi beai del calore proveniente dalla stufa in salotto. Fui accolta dalla voce di mia sorella: «Lynn, vieni qui, abbiamo ospiti!», mi intimò con voce squillante. Rimasi leggermente perplessa, di solito non avevamo mai ospiti, ma mi liberai subito di quei pensieri con una scrollata di spalle.

Entrai in salotto e un ragazzo dai capelli castani mi dava le spalle; misi su uno dei migliori sorrisi quando si girò rivolgendomi un'occhiata.
«Lui è Austin, l'ho conosciuto qualche giorno fa in palestra, abita dall'altra parte del quartiere» trillò la bionda, entusiasta di averlo come ospite in casa nostra. Emisi una piccola risatina, perchè era talmente euforica da farmi sorridere, poi mi avvicinai a lui e gli porsi la mano destra: «Io sono Eileen, ma se vuoi puoi chiamarmi Lynn». Annunciai prima che mi stringesse la mano - notai subito che quella di Austin fosse più calda della mia.

«Beh, siediti con noi» mi invitò, anche se suonava piuttosto buffo visto che quella era casa mia, ma non dissi nulla, bensì portai lo sguardo su mia sorella che annuì e continuò la frase di Austin: «Già, e prenditi del thè, ne è avanzata una tazza» alzò le spalle, sorridendo.

Sotto loro consiglio, mi versai del thè in una tazza e mi riavvicinai al tavolo, sedendomi sull'unica sedia rimasta libera. Mi inumidii le labbra: «Non ti ho mai visto da queste parti, Austin» cercai di intavolare una conversazione, dato l'imbarazzante silenzio che si era creato, e presi un sorso della bevanda, riscaldandomi le mani vicino alla tazza bollente.

Il ragazzo puntò i suoi occhi nocciola su di me: «Lo credo bene, io e mia sorella, ci siamo trasferiti qui da poco. Siamo canadesi» ci informò e poi continuò dopo aver preso un sorso dal suo thè. «Voi non siete irlandesi, vero?»

Nya scosse vigorosamente la testa, portando l'attenzione su di me. «No, siamo nate a Cardiff, ma negli ultimi anni...»  lasciò in sospeso la frase, mordicchiandosi il labbro inferiore e chiedendomi implicitamente aiuto con lo sguardo.

«Negli ultimi anni siamo state un po' in giro per il Regno Unito, in cerca della città migliore per noi. Ormai siamo a Dublino da due anni e mezzo e crediamo che questo sia il nostro posto» continuai quello che stava dicendo mia sorella. Era la verità, ma avevo omesso alcuni punti salienti che ci avevano portate lì, perché non mi sembrava adeguato spifferare la nostra situazione familiare a una persona qualunque. Austin poteva anche essere un amico di mia sorella, ma negli anni avevo imparato che era meglio non fidarsi di chiunque ci si trovasse davanti.

«Oh, capisco» rispose pensieroso, «Sinceramente, io mi sto trovando molto bene qui. Gli irlandesi sono molto accoglienti» scrollò le spalle e sembrava davvero un bravo ragazzo, ma questa era solo la mia prima impressione.

«Ne sono contenta» confessai sorridendogli, «Non è troppo difficile spostarsi qui e trovare lavoro è un gioco da ragazzi» annuii per confermare tutto quello che avevo detto.

«Già, Lynn in meno di un mese è riuscita a trovare un lavoro al Temple Bar e tutt'ora sta continuando a lavorare lì» si intromise Nya, parlando di me e del mio lavoro, quasi come se fosse un trofeo. 

Austin aprì la bocca, sorpreso «So che il Temple Bar è uno dei locali storici, nonchè più famosi, di Dublino. Come ti trovi lì?» Mi chiese, guardandomi con una punta di curiosità.

«Molto bene, in realtà. I colleghi sono molto simpatici e il datore di lavoro molto comprensivo» sorrisi in modo tirato, perché i pensieri mi portarono inevitabilmente a Ian e al fatto che, quasi sicuramente, avrebbe cominciato a lavorare con me. «Comunque, non è mia intenzione rimanere lì per molto» continuai, esalando un grosso sospiro.

Aggrottò le sopracciglia: «Cosa intendi?» Chiese piuttosto confuso e personalmente avrei potuto riempire un libro di centoventi pagine con cosa intendessi dire.
«Intendo dire che non è il lavoro che continuerò a fare una volta laureata. O almeno spero sarà così» alzai le spalle e posai la tazza sul tavolo, facendo ricadere la schiena contro la sedia. Ero esausta.

Nya annuì, spettatrice, mentre lui: «Beh, buona fortuna, Lynn!» Disse, assumendo un tono entusiasta.
«A proposito di Temple Bar... domani ho saputo che ci sarà un mini concerto e canteranno due miei amici. Voi ci sarete?»

Mugugnai, «Ho il turno serale, domani, quindi dovrò lavorare» dissi arricciando il naso, perchè quello di Austin era implicitamente un invito ad unirci a lui, a cui però non potevo partecipare attivamente.

Il ragazzo sospirò frustrato, «Vuol dire che porterò solo Tanya con me» finse un tono rassegnato che mi fece ridere. Mia sorella si imbronciò e «Hey!» esclamò dando un piccolo colpetto alla spalla del suo amico. Quest'ultimo scoppiò a ridere: «Sto scherzando,» precisò «ma mi farebbe molto piacere se venissi con me, domani sera» ammiccò, prima di alzarsi dalla sedia.

Nya ricambiò caldamente il suo sorriso e, mentre loro si mettevano d'accordo sull'orario dell'incontro, mi ricordai che il mio capo non mi aveva avvertita di nessun concerto. Mi schiarii la voce per attirare la loro attenzione: «Chi canterà domani sera?» chiesi aggrottando le sopracciglia.

«Si chiamano The Fearless e sono due ragazzi americani».

FearlessWhere stories live. Discover now