Il cavalluccio marino

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-Comunque... comunque sì, Amalia mi ha lasciato mentre ero ancora negli Stati Uniti- le spiego e non so nemmeno io perché parlo di una cosa così personale a lei che, infondo, è una sconosciuta -Quando ero a New Orleans ho conosciuto una ragazza, Deborah, una ballerina del Dungeon, un famoso locale notturno del quartiere parigino e...-
-...non voglio sapere altro- mi blocca lei e noto del risentimento nel suo sguardo amaro -Scusami, forse ti sembro brusca, ma...-
-No, anzi, scusa tu. Sono io che ho cominciato a parlarti della mia vita così, senza motivo. E' solo che, non lo so, mi sento a mio agio con te-
-E di questo ne sono felice Brian, molto- mi sorride e per fortuna il suo sguardo torna a essere sereno come due minuti fa.
-Ma... ma parliamo di te adesso- mi faccio coraggio -Cioè, se ti va-
-Certo, se a te fa piacere ascoltare della mia vita, anche se non c'è nulla di interessante come nella tua-
-Ma che dici? Ogni vita è unica e quindi interessante-

Lilibeth mi sorride timida e le sorrido anch'io. E' stupenda quando sorride, potrei naufragare nel suo sorriso.

-Beh, ecco, io... io, studio, sono all'ultimo anno della facoltà di lettere al King's College-
-Interessante, dopo hai intenzione di continuare? Farai il dottorato?-
-Non penso. A dirti la verità, vorrei piuttosto trovare un lavoro. Anche adesso lavoro, ma nulla di eccezionale-
-Perché? Che lavoro fai?- mi viene spontaneo di domandarle, ma forse faccio male perché d'improvviso il suo volto si fa paonazzo e Lilibeth china il capo.
-Io.. beh... io faccio la...-

-Brian! Brian! La levetta per favore!- mio padre urla ancora, proprio adesso.

Sbuffo, un po' irritato per essere stati interrotti proprio adesso, e mi volto ancora verso il contatore. -Si papà, la sollevo subito!- grido, ma in cuor mio spero che la genialità di Harold May ancora non sia riuscita a risolvere il problema al quadro elettrico di casa Hill.

Sollevo questa maledetta levetta e non succede nulla anche questa volta. L'abbasso di nuovo e avviso mio padre: -Niente papà, riprova ancora!- e torno all'unico motivo per il quale sono sceso in questa cantina a inumidirmi le ossa: Lilibeth.

-Stavi... stavi dicendo? Che lavoro fai?- le chiedo, incrociando le braccia al petto.
-Io... beh, lavoro in un locale, lo stesso locale in cui lavorano anche Jessica ed Emma, l'altra ragazza che vive qui da quando i genitori di Jessica sono partiti per l'Australia-
-Prima dove vivevi?-
-Vivevo a Strand, vicino l'università. Avevo una stanza in affitto-
-Quindi non sei di Londra?- le chiedo ancora, ho tanta paura che il tempo passi troppo in fretta per soddisfare la mia voracità di informazioni su di lei.
-No, io... mio padre è inglese, mia madre italiana, sono nata e cresciuta in Italia e mi sono trasferita per gli studi universitari qui a Londra. Ho sempre lavorato e studiato, ma il mio padrone di casa mi ha chiesto un aumento d'affitto proprio adesso che mi manca poco alla laurea. La proposta di Jessica è capitata proprio nel momento giusto: ho risparmiato parecchi soldi grazie a lei-
-Quando ti laureerai?-
-A Settembre, a fine Settembre-
-Ah, beh, è... è una bella notizia- mento, questo significa che fra un mese andrà via per sempre da Londra.
-Sì, ma comunque fra qualche giorno torneranno i genitori di Jessica, quindi io ed Emma potremmo restare qui ancora per poco. Mi dispiace andar via perché mi trovo bene in questo quartiere: posto tranquillo, gente tranquilla che si fa gli affari suoi-

-Certo, perché non ti sei mai accorta del sottoscritto che ti spia dai vetri delle sua finestra ogniqualvolta esci in giardino- penso tra me e me, ma ovviamente mi astengo dal rivelarle la mia segreta indole da maniaco della finestra accanto.

-E poi...- prosegue lei guardandomi negli occhi -...e poi qui ho un illustre vicino di casa- conclude e nel suo sguardo compare quel non so ché di seducente che mi fa tremare per l'eccitazione.
-Eppure non sei mai venuta a... a trovarmi- la provoco, ma mi vergogno subito di averlo fatto considerando che io sono stato il primo a non aver mai avuto il coraggio di bussare alla sua porta -Altre fan avrebbero fatto carte false per avere questa possibilità-
-Io non sono il tipo che fa di queste cose Brian, io...-
-Perdonami, non era mia intenzione offenderti-
-Ma certo, tranquillo, lo so- mi sorride ancora -E poi, con quale scusa sarei potuta venire da te?-
-Beh, per esempio, saresti potuta venire a raccontarmi come mai ti sei fatta tatuare un cavalluccio marino sulla caviglia destra-

Lilibeth mi fissa perplessa, china il capo verso la sua caviglia e poi alza ancora la testa verso di me che, di sicuro, sarò diventato ancora rosso per l'imbarazzo.

-Attento osservatore, complimenti- ammicca lei.
-Sì, io... cioè, sono... io sono... appassionato di tatuaggi, è questo il motivo- farnetico, dei tatuaggi non me n'è mai fregato niente, ma di lei sì.
-Ah, capisco. Non la sapevo questa cosa-

-Nemmeno io- penso ancora, ma ormai...

-In realtà, io amo molto il mare- mi spiega -E il cavalluccio marino mi ha sempre intrigato come animale, non solo per la forma elegante, ma soprattutto perché è fedele: è monogamo, sceglie un partner che sarà lo stesso per tutta la durata della sua vita e questa è una cosa bella, una cosa che pochi esseri umani riescono a imitare-

Lilibeth mi guarda e in questo istante dire che mi sento un verme è dir poco. Io ci sono stato male per aver tradito Amalia, tanto male, molto più di quello che mio padre o Amalia stessa abbiano potuto immaginare. Forse proprio per questo Lilibeth non ha voluto ascoltare tutta la storia della mia folle serata al Dungeon, non tollera il tradimento. Ma, infondo, chi di noi lo tollererebbe? E se fosse accaduto a me? Se fosse stata Amalia a tradirmi, io come l'avrei presa?

-Ha un significato profondo, allora, il tuo tatuaggio- commento, almeno così la mia mente smette di macinare ipotesi e supposizioni.
-Sì, ha un significato che non a tutti interessa, per la verità. Sei stato uno dei pochi a chiedermi perché ho scelto di tatuare proprio un cavalluccio marino-

-Brian! Brian! La levetta per favore!-

Mai come stavolta, le urla di mio padre capitano proprio nel momento migliore. Sento di aver toccato un argomento delicato con Lilibeth e di certo averle citato la mia avventura con Peaches non ha contribuito a fornirle una buona immagine di me. Sospiro e mi volto verso il contatore. Sollevo la levetta e, come per magia, una soffusa luce ambrata s'accende a illuminare questa cantina buia e i miei pensieri.

-Oh, finalmente la luce!- esclama Lilibeth.
-Eh, papà ce l'ha fatta- commento io -Papà, tutto fatto!- grido.
-Bene, ti aspetto all'ingresso!- urla lui.

Mi guardo un po' intorno, tra casse piene di abiti vecchi, mobili dismessi, una piccola dispensa per le scorte di cibo e il lavabo che perde. Quando mi volto verso Lilibeth la scorgo che ha appena spento la torcia, il suo viso è pensieroso, forse sta ancora riflettendo sulla faccenda della fedeltà.

-Allora, saliamo?- mi fa sottovoce.
-Sì, beh... io... io spero di rivederti presto-
-Ci rivedremo molto più presto di quello che pensi, Brian- mi risponde lei, il suo sguardo tornato a essere malizioso.

Sospiro: penso che nelle prossime ore non farò altro che riflettere su queste sue ultime parole.

Tattoo'd Lady (A Brian May Fanfiction) -Italiano-Where stories live. Discover now