Tu sei Brian May

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-Buonasera signor May. Ciao Brian- ci saluta Jessica, poggiata allo stipite della porta d'ingresso. Indossa un semplice jeans blu, una maglietta nera dei Led Zeppelin su cui spicca il biondo cenere dei suoi capelli sciolti e il suo viso è impiastricciato da un trucco molto pesante e marcato.
-Buonasera Jessica- ricambia mio padre.
-Ciao Jessica- rispondo invece io -Da quanto tempo che... che non ci vediamo-
-Già, da prima che partissi per l'America. Mamma mi ha detto che non sei stato bene, ma... ma entrate pure. Spero riusciate a risolvere il problema perché senza elettricità non possiamo nemmeno accendere i ventilatori e oggi si muore dal caldo-

La Hill si sposta dallo stipite della porta per farci entrare. Il primo a varcare la soglia è papà, poi entro io. Fin da quando ero bambino la casa degli Hill è rimasta sempre la stessa: carta da parati floreale, tipico mobilio in legno laccato a lucido anni '40, fotografie del matrimonio dei padroni di casa mescolate a finti, ma ben imitati, Degas e Toulouse-Lautrec. Mi guardo intorno nel tentativo di scorgere qualche dettaglio che mi permetta di capire se Lilibeth è in casa, ma nulla.

-Da quello che mi hai raccontato prima, penso che il problema sia al quadro elettrico- comincia a spigarle mio padre -Ho portato Brian con me così che lui possa controllare il contatore in cantina mentre io lavoro al quadro-
-Va bene, ma certo signor May, il quadro elettrico è di sopra, nel corridoio- e si avvia verso le scale -Brian- si rivolge a me -Ti faccio accompagnare in cantina dalla mia amica. Lilibeth! Lilibeth puoi scendere un attimo?- urla e la sua voce echeggia nella tromba delle scale.
-Mio Dio, adesso scende- penso tra me e me, stringendo impaurito la maniglia della cassetta degli attrezzi -Io... io non so se riuscirò a...-
-Va bene Jessica, scendo subito!- risponde Lilibeth, anche lei gridando, forse è in camera sua.
-Brian? Mi stai ascoltando?- la voce di mio padre mi riporta alla realtà. Mi volto verso le scale e vedo lui e Jessica osservarmi in modo strano.
-Io... io papà... non... scusami, dicevi?-
-Ho detto: dammi la cassetta degli attrezzi così io e Jessica andiamo di sopra. Quando ti dico di alzare la leva del contatore la alzi. Va bene? Hai capito?-
-Sì papà, ho capito, non sono mica stupido- ribatto permaloso.
-Non sei stupido, ma oggi hai un po' la testa fra le nuvole come tua madre-
-Sì, vabbè...- commento, non è il caso di continuare altrimenti...
-Allora noi saliamo di sopra Brian, la mia amica Lilibeth adesso scende subito- prende la parola Jessica, salendo i primi gradini -Con permesso- e si avvia al piano di sopra.
-Prego Jessica, a dopo- le rispondo e passo la cassetta degli attrezzi a mio padre che la segue verso il secondo piano.

Sospiro agitato, sto per rimanere da solo con la ragazza che mi sta facendo battere il cuore da circa due mesi e questo mi rende molto nervoso. Farò la cosa giusta? Dirò cose insensate e farò solo figuracce a causa del mio essere goffo ogniqualvolta mi sento in imbarazzo? Questo non lo so. D'improvviso, sento un rumore ovattato di passi che scendono le scale: è lei, è Lilibeth.

-Ciao- mi saluta una volta giunta all'ultimo gradino della rampa di scale davanti a me.
-Ciao- replico semplicemente, ho bisogno di qualche secondo in più del dovuto per mettere in funzione le mie sinapsi -Io... io sono...-
-...Brian, tu sei Brian May, lo so, il vicino di Jessica. Io invece sono...-
-... Lilibeth- l'interrompo e lei si stupisce non poco quando sente che so il suo nome -So qual è il tuo nome perché ho sentito Jessica che ti chiamava mentre eri in giardino, l'altro giorno-
-Ah, ho capito. Mi sembrava strano che mi avessi riconosciuta-

Mi tende la mano e non appena gliela stringo avverto in lei un leggero tremolio. Giurerei sulla testa di Galileo Galilei che sta tremando per l'emozione, anche se non riesco a capirne il motivo: perché dev'essere tanto emozionata di conoscermi se infondo non sa nemmeno chi sono io?

-Ma tu sei il chitarrista della band che farà la storia della musica in questo Paese e nel mondo!- mi ripeterebbe Roger, ma in questo momento mi sento soltanto un innamorato, timido, ma pur sempre un innamorato.

-Ma... ma vieni Brian. La... la cantina è da questa parte- tentenna lei e lascia la mia mano.

Afferra una torcia dalla cassettiera e mi fa strada verso l'altra parte dell'ingresso. Dopo aver aperto una porta cigolante, dinanzi a noi si staglia la buia rampa di scale che dà nel seminterrato: il dolce profumo di muffa, tipico di ogni cantina che si rispetti, penetra all'istante nelle mie narici. Scendiamo le scale scricchiolanti, lei mi precede con la torcia accesa e questo mi consente di tirare qualche respiro profondo per calmarmi e asciugare le gocce fredde di sudore che mi rigano il volto per l'ansia e il calore. La luce soffusa della torcia illumina questo stretto cunicolo di scale e illumina lei, Lilibeth, bellissima nella sua semplicità. Indossa sempre il corto vestitino bianco a fiorellini, ha i capelli legati in un'alta coda di cavallo e la sua mano sinistra, senza anelli e senza smalto, si posa leggera e aggraziata sul corrimano di legno. I miei occhi scendono su di lei, su ogni parte del suo corpo, per fortuna mi dà le spalle così non può accorgersene, e si posano sul suo tatuaggio, sul cavalluccio marino bordeaux.

-Eccoci qua, siamo arrivati- dice d'improvviso, voltandosi verso di me e di scatto alzo gli occhi per non essere scoperto.
-Ah, si... certo- rispondo semplicemente. Per fortuna che c'è poca luce qui sotto, altrimenti Lilibeth avrebbe notato il mio viso avvampatosi per l'imbarazzo.

Lilibeth si ferma accanto a un muro sdruccioloso, posa al torcia su un tavolo in modo tale che la luce sia diretta verso la parete su cui è fissato il contatore.

-Così possiamo tenerlo sotto controllo e sollevare subito la levetta quando serve- fa lei, tra tutti e due in questo momento l'unica a pensare ancora alla faccenda della luce.

Tattoo'd Lady (A Brian May Fanfiction) -Italiano-On viuen les histories. Descobreix ara