Una bella squadra

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Mi volto verso il giardino ma papà non c'è, è già in strada, in direzione della villetta degli Hill. Scendo i tre gradini che mi separano dal vialetto e non appena l'aria calda d'Agosto sfiora la mia pelle, un brivido di vita mi percorre le vene. Stare troppo tempo in casa non mi fa bene, è vero, esco ogni tanto per andare in studio, ma forse dovrei fare una passeggiata al parco, respirare l'aria di fuori, dovrei ricominciare a vivere. Infondo so che ha ragione Roger, l'unico modo per dimenticare Amalia e riprendere in mano la mia vita è quello di uscire dalle quattro mura dipinte di blu della mia camera e vedere gente, divertirmi, guardare il mondo con occhi diversi, positivi. O, forse, il problema non è tanto uscire dalle quattro mura della mia camera quanto piuttosto quello di uscire dalle quattro mura del mio orgoglio e della mia cocciutaggine.

-Devi essere più rilassato Bri, più tranq... Ahi!-

D'improvviso sento le forze venirmi meno, un sudore freddo mi percorre la schiena e i miei occhi si chiudono per qualche interminabile secondo. Mi siedo sulla panchina che c'è in giardino, tra i roseti che sono gioia e vanto di mia madre, sistemo a terra la cassetta degli attrezzi e respiro profondamente, spero che mio padre non si sia accorto di questo mio lieve mancamento, ma purtroppo per me non è stato così.

-Cosa ti senti Brian? Ancora lo stomaco?- mi chiede, prendendo posto accanto a me.
-No, no papà, penso... penso sia il calore, o forse la cassetta che è troppo pesante, io non...-
-Lo so io qual è il problema Brian: la musica- risponde alterato, lo sapevo che anche oggi non mi avrebbe risparmiato una delle sue ramanzine sulle mie scelte di vita, a suo dire, sbagliate -Se tu non ti fossi ostinato come un bambino a voler fare musica, adesso non staresti così. Avresti fatto il professore, saresti diventato uno stimato e serio docente universitario, sposato e con figli e invece no! Lui doveva fare il chitarrista, doveva girare il mondo con la sua band e... e tradire con chissà quale sgualdrina quella povera Amalia che è una ragazza così seria, io... io, davvero, non so Brian cosa ti sia preso. Non sei il figlio che ho cresciuto ed educato secondo certi valori, tu sei un'altra persona, tu...-
-Hai finito papà?- gli domando irritato, voltandomi verso di lui -No perché se hai finito con le tue insensate congetture adesso ti spiego io come stanno davvero le cose. Uno: non è colpa della musica se mi sono ammalato, ma di quel maledetto ago infetto della vaccinazione. Due: l'idea che dovessi fare il professore è stata sempre una tua idea e non mia. Tre: tra me e Amalia le cose non andavano già bene prima che partissi per il tour negli Stati Uniti e il resto, se permetti, sono fatti nostri-
-Io non voglio sapere i fatti vostri Brian- mi interrompe lui, puntiglioso come non mai -Io ti sto solo dicendo ciò che penso perché sono tuo padre e ho il diritto di...-
-... tu non hai il diritto di intrometterti nella mia vita papà!- esclamo ad alta voce, ma mi pento subito di questo slancio d'ira. Lo sguardo di mio padre s'impietrisce d'un tratto, mentre alcune gocce di sudore gli rigano il volto raggrinzito dal tempo. Certo, il signor May non è vecchio, ma non è neanche più giovane come quando ero bambino ed è questo che si ostina a non voler capire: io non sono più un bambino.

-Scusami papà, io... io non dovevo urlare, scusa- gli chiedo perdono, infondo è pur sempre mio padre.
-Io lo dicevo che eri cambiato Brian, ma non pensavo che...-
-Anche tu sei cambiato papà- continuo -Da quando sono a casa con voi a stento mi rivolgi la parola e quando lo fai o è per criticare me o è per criticare i ragazzi. Io non ce la faccio più di questo tuo atteggiamento, davvero. Tra qualche giorno, non appena starò meglio, me ne andrò, ho già chiesto a Freddie di aiutarmi a cercare un appartamento- gli comunico e i suoi occhi si stringono su di me, preoccupati.
-Tu... tu vuoi... tu vuoi già andare via?- mi fa sottovoce e questa sua inaspettata preoccupazione mi stupisce non poco.
-Sì, io... io voglio andare via, papà, perché non mi sento accettato da te e questa, credimi, è una cosa che proprio non riesco a sopportare- concludo.

Chino il capo e faccio per afferrare la cassetta degli attrezzi, ma la sua voce tremante mi blocca: -Anche io- sussurra.
-Anche io cosa, papà?- gli chiedo, voltandomi ancora verso di lui.
-Anche io non riesco più a sopportare questa situazione tra me e te- mi confessa e stavolta è lui a chinare il capo -Cosa credi, che per un padre sia semplice vivere sotto lo stesso tetto con il suo unico figlio ed evitarlo, come se nulla fosse?-
-No, posso immaginare che non sia semplice, anche perché io e te...-
-... io e te siamo stati sempre una bella squadra, no?- commenta e lo sento sorridere -Abbiamo costruito tante cose insieme: il telescopio, la Red Special, il modellino del sistema solare...-
-Quello tra l'altro me l'ha smantellato Roger proprio stamattina- rido e papà ride con me, come non accadeva da tanto tempo ormai -Possiamo essere ancora una bella squadra io e te, papà-

Mio padre smette di ridere e sospira -Io... io Brian, devo pensarci- mi risponde -Lo sai che non sono il tipo da... da decisioni affrettate-
-Lo so papà, ma... ma da quando sono stato costretto a letto, in questi ultimi mesi, io... io ho capito che l'unico tempo che abbiamo la certezza di vivere appieno è l'oggi, l'unica cosa che possiamo affermare con certezza è: ora sono qui. Non sappiamo cosa sarà domani, tra due giorni, tra un mese. Quindi papà, non pensarci troppo-

Il signor May sospira ancora, forse le mie parole, dopo tanto tempo e tanti giorni passati senza nemmeno guardarci in faccia, lo stanno facendo riflettere.

-Va bene, non ci penserò tanto su- mi risponde e si alza dalla panchina -Ora però sarà meglio andare dalla Hill, ci staranno aspettando lei e le amiche-

Già, lei e le amiche. Lilibeth. Anche lei mi sta aspettando. Sollevo la pesante cassetta degli attrezzi e mi alzo dalla panchina per seguire mio padre verso la villetta dei nostri vicini che dista pochi passi dalla nostra. Varchiamo il cancelletto di legno e percorriamo il vialetto che divide il giardino in due: ad asciugare al sole ci sono ancora le lenzuola e gli stracci stesi da Lilibeth questa mattina.

-Sto per vederla, sto per parlare con lei, io...- comincio a pensare e l'ansia sale in me, facendomi agitare più del dovuto -Devi stare calmo Brian, calmo...-

Papà picchia gentilmente la porta con le nocche della mano destra, dato che non c'è corrente il campanello non funziona. Io invece resto dietro di lui, ma non di molto, solo quel tanto che mi consenta di carburare l'idea di avere Lilibeth a pochi centimetri da me se dovesse essere lei ad aprire la porta. Per fortuna però è Jessica Hill a fare gli onori di casa.

Jessica Hill è stata il mio sogno proibito quando ero adolescente: lunghi capelli biondi, grandi occhi celesti, candido viso angelico e quelle rotondità femminili che a me, a differenza del mio amico sfascia sistema-solare, non sono mai dispiaciute. Ricordo ancora quando le chiesi di uscire con me, avevo sedici anni e lei quattordici, tremavo come una foglia allo stupendo pensiero che potesse dirmi di sì, e invece. E invece lei rispedì la proposta al mittente con un Mi dispiace, sono già impegnata che per il mio cuore fu peggio di una pugnalata. Da allora tante cose sono cambiate, siamo cresciuti, siamo diventati buoni vicini di casa, buoni amici, siamo usciti insieme nella stessa comitiva varie volte ed è stato proprio in una di queste serate in gruppo che Jessica ha conosciuto Roger. Lei ci ha provato con lui spudoratamente e, devo ammetterlo, questa cosa un po' mi ha fatto star male, ma poi Roger le ha dato il due di picche e io, anche questo devo ammetterlo, ho pensato soddisfatto che infondo la vita, prima o poi, il conto lo presenta sempre a tutti. Poco dopo ho conosciuto Amalia e il sogno patinato di Jessica Hill si è disperso nei meandri della mia mente come il fumo grigio delle Marlboro di mio padre nell'aria londinese. In realtà però era già da tempo che ai miei occhi la Hill non era più la stessa di quando eravamo adolescenti: vanitosa, superba, frivola, patetica, a volte addirittura volgare, questo è diventata Jessica, e anche se sul suo corpo si sono conservate quelle rotondità femminili per le quali mi volto a guardarla ogniqualvolta la scorgo camminare per Walsham Road, il suo candido viso non è più così angelico, ma ricoperto quotidianamente da un massiccio strato di cerone e fondotinta. Mio padre ha sempre detto che la colpa è stata di alcune amiche con le quali frequenta dei posti poco raccomandabili, ma si sa che agli occhi dell'integerrimo Harold May persino una festa tra bambini dell'asilo potrebbe diventare nociva alla salute psichica del suo sensibile e romantico figlio unico.

Tattoo'd Lady (A Brian May Fanfiction) -Italiano-Where stories live. Discover now