Capitolo 37

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Quando l'aveva indossata quella mattina, la gonna bianca era immacolata: non una piega, non uno stropicciamento. Ora che Elizabeth la stringeva con forza e tormento, invece, sembrava al pari di un fazzoletto usato. Nonostante il suo fidanzato le avesse detto di restare calma e che non c'era bisogno di essere così in ansia, proprio non riusciva a rilassarsi.

«Perché non vuoi dirmelo ora?» Chiese mentre si avviavano verso casa del ragazzo. Probabilmente era la terza, quarta volta che lo chiedeva, sentendosi ripetere sempre la stessa cosa che non tardò ad arrivare nemmeno in quel caso:

«Perché è una sorpresa, tesoro.»

La ragazza sbuffò al pari di una bambina capricciosa, ma il suo volto si illuminò quando vide affissa a un palazzo la targa con il nome della via in cui abitava il giovane. Ormai mancava poco a destinazione.

«Sei sicuro che la sorpresa mi piacerà? Non avevi una bella faccia quando sei venuto a prendermi.» Commentò cercando di distrarsi; Brian, dal canto suo replicò con un sorriso cortese.

«Ti ho mai fatto sorprese che non ti siano piaciute?»

«No.» Rispose Elizabeth accomodandosi meglio sul sedile in pelle dell'auto. «Ma eri piuttosto pallido, sembrava avessi visto un fantasma!» Ridacchiò e Brian fece lo stesso, anche se la sua risata nascondeva una certa verità in ciò che aveva appena detto la fidanzata. Un fantasma lo aveva visto davvero e, a breve, lo avrebbe visto anche lei.

«Eccoci, siamo arrivati. Mi raccomando, resta calma o ti rovinerai il momento!» Le disse dolcemente mentre la vettura si arrestava docile accanto al marciapiede.

Pochi attimi dopo sia lui che la ragazza stavano già salendo in fretta le scale: Elizabeth sembrava una bambina che veniva portata al luna park la prima volta e non mancò di sottolineargli quanto fosse lento nel camminare. Brian, al contrario, sembrava alquanto divertito all'idea di rallentare ancor più il passo.

«Ancora poco e ci siamo, tesoro mio.» Le disse melenso mentre raggiungeva con lentezza estrema il pianerottolo del palazzo e si prodigava nel cercare la chiave giusta.

«Ti ho mai detto di essere una persona impaziente?» Chiese Elizabeth saltellando appena sul posto. Quando sentì il clack della serratura, però, si bloccò sul posto e inspirò a fondo per calmare i nervi tesi. Era iperattiva, non poteva negarlo a nessuno.

«Dopo di te.» Le disse il giovane aprendole la porta e mostrando l'interno dell'appartamento, in cui Elizabeth entrò con un atteggiamento completamente opposto a quello dimostrato finora: era vigile, sospettosa e si muoveva con calma estrema nel piccolo atrio.

Quando raggiunse il salotto, però, Brian la vide bloccarsi sul posto con sguardo impassibile, quasi deluso, rivolto verso una delle due poltrone in raso. Non aveva bisogno di vedere coi suoi occhi per sapere chi la stesse aspettando.

«Alla buon'ora.» Disse acida una voce maschile che si espanse in tutta la camera: «Come stai, Elizabeth? Iniziavo a temere che avessi cambiato idea.» Commentò ancora, squadrando dapprima la ragazza e, in seguito, il giovane. Sul volto sfregiato predominava un sorriso enigmatico mentre teneva la testa appoggiata al pugno chiuso. Il braccio piegato verso l'alto sul bracciolo destro.

«Andrew.» Si limitò a salutarlo la ragazza, senza scomporsi o chiedere altro.

Il ragazzo, per tutta risposta, si sciolse dalla posizione in cui era e si lasciò affondare con la schiena nella morbida imbottitura della poltrona.

«"Sì, sto bene anche io", grazie per avermelo chiesto.» Le disse sarcastico. «Ti trovo bene, sai? Sei diventata davvero graziosa dall'ultima volta che ci siamo visti, Brian ha fatto sicuramente centro a chiederti la mano.»

L'odore pungente del legno neroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora