Capitolo 9

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Rossella si sedette lentamente sul letto della sua piccola camera, tenendo le mani posate in grembo e le gambe penzoloni. Il suo sguardo fisso vagò oltre il vetro della finestra, scrutando i profili degli edifici illuminati dalla luna e dalle tenui luci dei lampioni cittadini lungo Kinzie Street. Aveva creduto alle parole di Andrew come una bambina ingenua, lasciandosi abbindolare da quel racconto strappalacrime sulla madre e dal suo bel faccino. Invece si era rivelato uno stronzo, esattamente come tutti gli altri suoi pari che se la stavano godendo al piano di sotto. Si asciugò la guancia con la manica del maglione, mentre il pensiero di Elizabeth, con tutta probabilità disperata per il suo rapimento, si faceva strada nel suo cuore.

Se si era spinta a tanto era anche per proteggere lei, per fare in modo di allontanarla da quel padre che si ritrovavano.

Strinse i pugni sui pantaloni fino a far diventare bianche le nocche, la cui pelle era già pallida, ma la sua attenzione venne attirata da alcuni colpi ben dati alla porta della camera e, subito, si ricompose sistemandosi i capelli dietro un orecchio e stendendo la stoffa della camicia. A casa era stata educata in quel modo, difficilmente avrebbe perso quell'abitudine.

«Avanti bambolina, fammi entrare!» La implorò Andrew con voce impastata dall'alcol di qualche bicchiere di troppo.

«Vattene, lasciami stare» Urlò Rossella, alzandosi di scatto dal letto e dirigendosi verso la porta.

Un attimo di silenzio precedette un'altra serie di colpi alla porta.

«Ti prego, voglio solo scusarmi!» Replicò con voce insistente.

Rossella roteò gli occhi al cielo, nonostante un lieve sorriso spuntò sul suo viso.

«Andrew, sei ubriaco» Disse esasperata, ma il fatto che il ragazzo fosse lì davanti alla sua porta in fondo le piaceva. Significava che forse ci teneva davvero a lei.

«No, no...» Continuò imperterrito l'altro, prima di crollare e sedersi sul pavimento con una precaria bottiglia di whisky stretta in mano.

Rossella sospirò amareggiata e, dopo averci ripensato più volte, decise di aprire la porta, trovando il suo interlocutore seduto contro la ringhiera del soppalco. Aveva piegato la testa in avanti, reggendosela con la mano libera e senza riuscire ad alzare lo sguardo tenuto fisso sul pavimento in legno. Tuttavia, quando sentì la porta aprirsi, lottando contro il mal di testa riuscì a voltarsi verso di lei e a guardarla in volto con un sorriso beota. Si alzò lentamente, sentendo le ginocchia traballare, fino a quando non riuscì a tenersi saldo alla ringhiera.

«Ehi» La salutò.

«E tu questo lo chiami profumo?» Commentò Rossella agitando una mano davanti al viso del ragazzo, ma Andrew iniziò a ridere.

«Questo è l'odore della vittoria, ragazzina» Commentò quest'ultimo ciondolando. «Ho appena vinto dieci dollari con un'ottima mano a poker» Finì tutto il contenuto del bicchiere con un solo sorso, dopodiché la guardò sorridendo. «Ma non avrà senso gioirne se so che tu sei qui con il muso lungo»

Rossella si appoggiò allo stipite della porta tenendo le braccia incrociate sul petto, coperto dal maglione scuro e stropicciato. Una linea corrucciata le attraversò la fronte mentre fissava il volto stralunato del ragazzo. Andrew le piaceva, ma la frase detta a tavola aveva contribuito a cancellare quella sorta di sentimento che iniziava a provare per lui.

«Sei ubriaco, Andrew. Non sai quello che dici...» Borbottò acida, sperando di fargli capire come l'aveva fatta sentire, ma Andrew battè la mano aperta sul petto.

Il moro guardò il fondo del bicchiere stretto tra le dita della mano. Vide appena il suo volto sfocato riflesso nel liquido ambrato e, per un secondo, gli parve di vedere suo zio Vincent.

L'odore pungente del legno neroWhere stories live. Discover now