Capitolo 28

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Novembre 1931.

Con l'inverno inoltrato e le temperature estreme, tipiche della fredda stagione di Chicago, i cittadini uscivano sempre più di rado dalle proprie case: se lo facevano era solo per lo stretto necessario o, casomai, per andare a scaldarsi con un bel bicchiere di vino o di grappa fresca di distilleria clandestina. In fondo, quello era l'unico modo per provare un po' di ebbrezza e dimenticare i propri problemi, le paure e lo stato pietoso in cui la città versava. 

Andrew, dal canto suo, aveva scelto di assecondare la massa: dopo il funerale di Rossella si era rintanato nel suo vecchio appartamento lasciatogli dai genitori ed erano ormai quasi due mesi che non si faceva più vedere. Solo Oliver e Luke si degnavano di andare a controllare che fosse ancora vivo, se avesse bisogno di qualcosa... ma lui non ne voleva proprio sapere. Né di ricominciare con la vecchia vita, né di ritornare al cantiere navale. Non al momento, almeno.

Al contrario, Antony, che invece usciva sempre di rado per via del suo bel faccino fin troppo conosciuto, aveva stranamente iniziato a uscire al tramonto per tornare a casa quando meno ce lo si aspettava. Nessuno sapeva dove andasse o cosa facesse è, ovviamente, nessuno aveva il coraggio di porre domande.

Ma lui aveva dei piani ben precisi e, soprattutto, dei motivi ben fondati per non dire nulla. Gli piaceva uscire di notte quando la città si spopolava di perbenisti e si riempiva, invece, di quei relitti umani che tutti schivavano. Ubriachi che uscivano dagli speak-easy, prostitute, accattoni, criminali come lui che agivano nell'ombra. Dopo la cattura di Capone sembrava che il clima per le strade fosse più disteso.

Il vapore si alzava docile dai tombini sparsi e qua e là, bianco e sospeso a mezz'aria come spettri che infestavano le vie buie e rischiarate, a malapena, dai lampioni dalla luce fioca. Un'atmosfera simile a quella narrata nel "Canto di Natale" di Dickens, a cui si sommava un forte odore di legna bruciata e fuliggine che si levava da molteplici comignoli. 

Antony camminava a passo spedito lungo il marciapiede coperto del primo nevischio, stringendosi il cappotto invernale addosso come un qualunque cittadino di Chicago. Due uomini, fermi dall'altra parte della strada lo fissarono distrattamente mentre parlavano sotto l'insegna di un blind-pig, una bettola da quattro soldi clandestina, e sussultarono vistosamente nel riconoscerlo. Antony, al contrario, sorrise divertito a vederli scappare via mentre proseguiva il proprio cammino.

Attraversò quasi tre isolati prima di arrivare a destinazione: si fermò davanti ad una piccola villetta, stretta tra due palazzi di nuova costruzione e lasciò scorrere lo sguardo sull'intero edificio con un vago senso di malinconia. Rabbrividì nel riconoscere quel lato così... sentimentale che a volte riaffiorava quando tornava nella casa dove era cresciuto. La mano scivolò involontariamente nella tasca del cappotto, a sfiorare il pacchetto di Lucky Strike comprato due giorni prima. Non le disdegnava, ma non erano affatto come le Marlboro a cui era abituato. La differenza del tabacco era quasi impercettibile alla lingua di un profano, ma lui la sentiva eccome.

Se ne portò una alle labbra, seguita da un fiammifero acceso che gli illuminò spettralmente i lineamenti del viso smunto proprio mentre il tabacco iniziava a fumacchiare.

Con la coda dell'occhio vide la tenda della finestra alla sua sinistra muoversi di scatto, segno che il suo ospite era in casa. Non si chiese nemmeno se lo stesse attendendo da molto, in fondo non gliene importava neanche e subito sfoderò un sorriso deliziato, pregustandosi la "chiacchierata".

Quando varcò la porta, si sentì inebriato come al solito di vecchi ricordi, risalenti a quando era ancora un moccioso che si divertiva a tormentare il piccolo Andrew, ormai al pari di un fratellino.

Si soffermò a fissare una foto di famiglia quando notò un'ombra muoversi vicino alla finestra.

«Sei in ritardo...» Mormorò l'ospite, spiandolo da dietro al muro che dava su un piccolo salotto.

Antony soffiò divertito e si girò in quella direzione, pronto ad attaccare.

«Avevi forse di meglio da fare che aspettarmi?» Chiese con voce bassa. Bastò quel tono per ristabilire il proprio ruolo di superiorità tra i due: la figura, infatti, si appiattì stringendosi al muro e abbassò istintivamente lo sguardo.

«No...» Rispose rabbuiata, cercando di raccogliere coraggio per porre la solita domanda che si ripeteva uguale ogni volta che si incontravano. «Gli hai... parlato?»

L'uomo non rispose. Le fece il giro attorno, posizionandosi di fronte ad essa e costringendola a girarsi verso di lui: adorava vedere le persone tremare di fronte al suo sguardo perverso, ne godeva più dell'atto fisico. 

«Che ne diresti di divertirci di nuovo un po'?» Mormorò ignorando di proposito ciò che gli era stato appena chiesto. Si limitò poi a sfiorarle il viso pallido e scavato, la cui pelle rabbrividì e sbiancò lentamente all'aumentare dell'angoscia provata. 

«I-io...»

«Shh, non c'è bisogno che ti agiti. Lo sai che sarebbe controproducente.» Le disse Antony poggiandole con estrema delicatezza un dito sulle labbra. Aveva imparato con il tempo a saggiare il metodo giusto per piegare qualcuno al proprio volere e, di solito, mostrare compassione dopo aver dato prova di cosa era capace funzionava alla perfezione. E la cosa lo eccitava in modo disumano.

Finalmente, sentì la figura davanti a sé tremare spaventata a quel suo tocco e deglutire la già poca saliva che essa aveva in gola. In quegli occhi spenti si materializzò il terrore di essere in trappola, di non avere nemmeno una misera via d'uscita... ma poi la rassegnazione prese il sopravvento e l'espressione terrorizzata si affievolì per lasciare spazio a una malata accondiscendenza. Smettere di resistere e lottare era più facile, meno doloroso.

«Visto? Non va già tutto meglio?» Continuò l'uomo abbassando ulteriormente il tono di voce e riducendolo ad un sussurro. Si spinse ancora di più contro la figura, avvertendo il proprio corpo pompare sangue verso il basso e iniziando ad avere un certo fastidio al cavallo dei pantaloni, ormai rigonfio e in tensione. «Sai, dopo la settimana scorsa non ho fatto altro che ripensare a...»

«Ti prego, Tony... N-non come l'ultima volta...» Lo fermò l'esile figura guardandolo con occhi stanchi, provati dal ricordo del loro ultimo incontro. Avrebbe voluto continuare a ribattere e a implorarlo di non esagerare, ma il respiro in gola si affievolì quando la mano gelida dell'uomo iniziò a sfiorarle prima il seno e, a scendere, i fianchi e il ventre, in una perfetta alternanza tra freddo e caldo. 

La vivida paura di lasciarsi andare a qualcosa che sapeva essere sbagliato e che le avrebbe solo fatto del male. In fondo lo voleva, ma in fondo lo odiava.

La mano di Antony scendeva ancora, sempre più giù lungo il fianco destro... Lo sentiva gemere di impazienza contro il suo orecchio mentre si insinuava sotto ai suoi vestiti; ne sentiva il respiro appena accelerato, un ringhio basso proveniente dalla pancia che sembrava volesse dirle quanto l'uomo si stesse trattenendo dall'impulso di strapparle tutti i vestiti di dosso, di prenderla e farla sua con violenza. 

D'improvviso il contatto con il muro al quale la stava schiacciando si fece più marcato: Antony non voleva più attendere oltre. Lo vide sorridere ampiamente, avvicinandosi a pochi millimetri dalle sue labbra.

«Per questa volta mi tratterrò, hai la mia parola.» Mormorò mellifluo prima di baciarla avidamente. 

L'odore pungente del legno neroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora