16. It's Not Your Fault

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13 Giugno
Ore 12:13

Meno di due giorni erano passati da quando Lucas era arrivato a San Francisco, due giorni che Mya aveva passato col fiato sospeso quando lei e il suo futuro sposo erano insieme e con l'ansia quando usciva perché non sapeva mai quando sarebbe tornato, quanto tempo avesse per se stessa. Due notti che Lucas cercava intimità con la sua amata che però lei non gli concedeva, scampando a quei momenti con ogni scusa plausibile. Due notti che chiudeva a malapena gli occhi per dormire. Si addormentava sul tardi, poche ore prima del suono della sveglia e poi la spegneva, continuando a dormire. Almeno avrebbe evitato Lucas per ancora qualche tempo così.
Il giorno prima Kwan aveva deciso di far fare a Lucas un giro della città, staccandolo un po' da quella casa nella quale ormai aleggiava aria pungente. Mya era eternamente grata a Kwan. Ma erano quasi due giorni che lei e Connor non si rivolgevano parola, non che lui non volesse parlarle, anzi, però lei cercava in tutti i modi di evitare i suoi sguardi. Quindi non era una la persona da cui cercava di scappare, ma ben due.

Ma le notti insonni le avevamo dato modo di pensare e mettere in ordine le idee, piano piano il discorso da dire a Lucas stava prendendo forma nella sua mente.

Era tutto straziante, pressante e le giornate sembravano durare all'infinito.
Quando Lucas era in casa, lei si rifugiava in camera di Kwan e passava un po' di tempo con lui e osservavano gli spostamenti che effettuavano le macchine dei ragazzi appartenenti alla gang di Gudrun tramite GPS.
A quanto sembrava, tutti loro si erano sbagliati ipotizzando le avrebbero beccato i loro localizzatori in un paio di giorni: quelle macchine non venivano ispezionate né ritoccate, quindi difficilmente si erano accorti dei dispositivi proprio per questo.

Lei aveva commentato quella situazione come colpo di fortuna, mentre Kwan aveva semplicemente espresso la sua opinione con un semplice "Stupidi!" riferito ai possessori illegali delle macchine.

Mancava poco alla prossima gara, lì avrebbero dato una svolta al loro caso, sarebbero andati avanti.
Qualche tempo prima Mya avrebbe gioito a quel pensiero, ma a pensare che dopo aver risolto il caso sarebbe dovuta tornare a Detroit, a casa sua, dove tutto le ricordava Lucas... scosse il capo, no, c'era una posizione da Capo Bureau che l'aspettava nella sua città.

Quel pensiero però non la entusiasmò molto. In quel momento le sue priorità erano ben altre, anche se continuava a rimandarle. Salire di livello lavorativo sembrava l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

Era in salotto in compagnia di Leah quando il campanello del cancello iniziò a suonare. Le saltò un battito al pensiero che potesse essere Lucas, già di ritorno dal suo giretto in città.

Leah e Mya si lanciarono un'occhiata, al che la prima posò il telefono su divano avviandosi verso il citofono per aprire.
«Eccoli!» esultò aprendo il portone. «Kwan!» la donna urlò richiamando Kwan dalla sua tana.

«Eccoli chi?» chiese Mya alzandosi anche lei dal comodo divano.

Leah la guardò inarcando le sopracciglia. «Non chi» aprì il portone e sul pianerottolo fecero capolino due uomini in giacca e cravatta, lo sguardo impassibile. «Ma cosa

Ma Mya continuava a vedere dei "chi", a meno che quei tizi non fossero dei robot.
Leah estrasse dalla cintura la sua carta d'identità e uno dei due uomini la presero, identificandola.

«Sono arrivati?» Kwan scese di corsa le scale saltando gli ultimi due gradini, in due balzi si ritrovò di fianco a Mya.

L'uomo che aveva ispezionato la carta d'identità a Leah gliela restituì facendo dei passi indietro, qualche attimo dopo entrò in casa con in mano una grossa cassa d'acciaio, lo stesso fece l'altro uomo. Entrarono in assoluto silenzio, il tutto avrebbe allarmato Mya ma l'espressione dei suoi due colleghi era molto più che serena.

Burn SlowWhere stories live. Discover now