3. Lights Years From Me

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San Francisco's House
2 Giugno
Ore 8:38

Lo squillo della linea libera del telefono le rimbombava nelle orecchie e, più passava il tempo, più il nodo che le aveva stretto la gola si faceva più potente.
Ma Lucas alla fine rispose al quarto squillo.
«Tesoro?» Mya lo chiamò dopo attimi di silenzio.

Un sospiro le arrivò alle orecchie, gli occhi le si inumidirono. Sapeva cosa stesse provando lui in quel momento: impotenza nei confronti di quella situazione e rabbia, rabbia verso di lei perché era andata a San Francisco, e rabbia per Connor, perché era semplicemente lui e ciò che aveva fatto nel tempo gravava ancora sulla coscienza di Mya e del suo futuro marito.

«Ciao amore» a sentire quel soprannome una lacrima le solcò il viso, il nodo che le si era formato in gola si sciolse, l'aria che aveva trattenuto le uscì dai polmoni.
Strinse nei pugni le lenzuola che la avvolgevano, era ancora nel letto. Da Lucas dovevano essere le undici, quasi mezzogiorno forse.

«Come stai?»

«Bene, procede tutto bene. Ho spedito gli inviti del matrimonio, domani vado a provare il vestito» il tono di voce si era fatto più tranquillo, Mya sorrise a quelle parole.

«Oh che bello!» esultò lei, il giorno del matrimonio si faceva sempre più vicino.

«E tu come stai? Ti ha dato problemi?»
Non c'era bisogno di sottolineare a chi si riferisse.

«No, stai tranquillo, gli starò alla larga.»

«Bene, è il minimo di ciò che si merita.» Lucas provava così tanto astio nei confronti di Connor, forse più della stessa Mya.
«Adesso devo andare, scusami tesoro, c'è un caso a cui sto lavorando.» la voce si addolcì.

Lei si alzò dal letto. «Tranquillo, devo andare anche io. Ci sentiamo questa sera.»
Si diedero un ultimo saluto prima di chiudere la chiamata.
Sembrava essere andata bene, Lucas non era arrabbiato con lei, ma con la situazione in sé. Lo avrebbe superato, forse lei un po' meno.
Scese le scale in legno ritrovandosi al primo piano, dove era presente la cucina, il salotto e un corridoio che portava chissà dove - non aveva ancora avuto modo di vedere la casa a trecentosessanta gradi, ma forse quel momento sarebbe stato perfetto.
Ma appena si affacciò alla cucina vide Hazel Wills, una vestaglia a coprirle il corpo minuto e i capelli biondi raccolti uno chignon disordinato. Si stava versando una tazza di caffè bollente e, nello stesso momento, sbadigliò.
Mya fece un lieve sorriso.
Hazel era alle prime armi, eppure era già così avanti rispetto agli altri colleghi di San Francisco.
«Buongiorno» Mya entrò in cucina, allegra.

Hazel alzò lo sguardo su di lei, sorpresa di vederla.
«Mya, ciao! Dormito bene?»
Il tono era gentile e la sua voce era delicata come quella di un bambino.
Sapeva già che le sarebbe piaciuta.

«Sì, magari avessi una casa come questa!»

Hazel rise a quel commento.
«Sì è semplicemente stupenda.» prese un'altra tazza versando del caffè per Mya. La ringrazio prendendo la ceramica azzurra.
«Approfittiamo di questo tempo per spassarcela in questa villa.»

«È il posto più bello che ho visto da quando sono arrivata» commentò Mya bevendo un sorso del suo caffè.

Con gli anni la dipendenza dalla caffeina non le era passata di certo, lo beveva minimo quattro volte al giorno, ma quando aveva una giornata no poteva arrivare a berne il doppio.

Hazel corruciò lo sguardo. «Non ti piace San Francisco?»

«Non è che non mi piace  - Mya sospirò, pronta a spiegare - è che è così diversa da Detroit, insomma sono abituata a città in cui regnano i palazzi e la distesa d'acqua la vedi solo al porto, al confine con il Canada. Ma vivere costantemente vicino alle spiaggie... immagino debba essere ripetitivo e noioso.»

Burn SlowWhere stories live. Discover now