XXXVIII. Fine dei giochi.

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-Sai perché lei ha cominciato a fare parte della Piramide?-, domando, la voce tremolante.

Brian si passa una mano tra i capelli, sospirando pesantemente, -Tieniti forte.-

Annuisco, un'espressione seria mista a timore; timore di scoprire affari spiacevoli.

-Tuo padre, fino a qualche anno fa, aveva il vizio del gioco. Buttava soldi e soldi nel gioco, fino al punto di spendere più di ciò che poteva permettersi. Prendeva il denaro dalle transazioni commerciali che concludeva con dei clienti, conservandosi il cinquanta percento e sperperando il tutto nel giro di poche ore. Ciò che perdeva, era più di ciò che incassava. Per fartela breve... Si indebitò con una banda "Scorpions". Gli doveva qualche centinaio di migliaia di euro, ma lui non poteva permetterseli. Perciò tua madre cominciò a correre, con tuo zio accanto a sé sotto forma di meccanico. Le forniva auto potenti, modificate, per tirare avanti e vincere soldi, che poi gli Scorpions avrebbero intascato-, spiega lui, scrutando la mia reazione inesistente, -Dopo la morte di tuo zio, i livelli di tua madre calarono e non riuscì più a vincere una gara, intanto il debito diventava sempre più grande.-

-Perché hanno ucciso mia madre?-, domando con la voce tremante dalla rabbia.

Voglio scappare da questo posto. Voglio andare a casa per staccare a morsi quella testa di cavolo di mio padre, causa della morte di mia madre.

-Come ti ho già detto, il debito si stava accumulando e nessuno lo pagava, perciò gli Scorpions l'hanno...-, si interrompe, appena mi vede alzarmi dalla sedia e uscire dal locale, a testa alta e il cuore che pulsa velocemente.

La testa pulsa violentemente, le mani strette a pugno tremano leggermente, cariche di adrenalina da scaricare.

"Gli stacco la testa, quanto è vero Dio"

Ilyà, appoggiato al muro, mentre Jordan cammina nervosamente davanti all'ingresso del locale; entrambi alzando lo sguardo su me.

-Ilyà, vai a farti un giro con Jordan. Non fallo tornare a casa, se non dopo un'ora a partire da questo preciso istante-, ordino perentoriamente, prima di infilarmi sbrigativa dentro la Porsche.

Sbatto lo sportello con violenza, la chiave ruota dentro il nottolino e parto con una sgommata, decisa ad arrivare a destinazione il prima possibile. Cambio le marce con foga, facendo slalom tra le auto con una velocità degna di Bolt.

Le auto strombazzano dietro di me, sbalordite; ragazzini, sul ciglio della strada, fischiano meravigliati.

Il tutto mi passa addosso, gli occhi puntati avanti, una mano sul volante e l'altra sul cambio. Il motore ringhia appena mi infilo dentro la curva della strada per casa mia, con il tachimetro illuminato che tocca i cento chilometri orari.

Mi guardo alle spalle, tranquillizzata dal fatto che Ilyà non mi abbia seguito e parcheggio la macchina nel vialetto di casa, senza nemmeno chiudere il cancello.

La rabbia detta legge, in questo momento. I pensieri sono offuscati, e non riescono a collegarsi tra di loro senza accavallarsi. Un grande punto interrogativo stampato sulla faccia.

Spalanco la porta di casa, trovando la figura di Miriam accomodata sul divano, con una rivista di moda in una mano e una tazza fumante di tè nell'altra. Poggia lo sguardo su di me, scrutando il mio viso rosso dalla concitazione, gli occhiali scesi sul naso.

-Ciao Miriam, potresti dirmi dove è mio padre?-, domando sbrigativa, senza guardarla in faccia.

-Ciao, cara. Nello studio. Primo piano, seconda porta a sinistra-, risponde lentamente, troppo lentamente per una come me che ha bisogno di risposte al più presto.

L'Incantatrice - Fino alla fineWhere stories live. Discover now