Capitolo 29.

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Flashback

«Cazzo, fa piano.» Impreco quando il cotone umido tocca il mio labbro inferiore, ho gli occhi chiusi ma riesco a sentire il sospiro frustato della giovane donna che mi sta medicando la ferita. Kelsey fa un passo indietro e quando non sento più l’odore dello spirito nel raggio di un metro apro le mie iridi verdi che si specchiano subito nelle sue nere.
«Come ti sei procurato questo taglio sul labbro? Se non sbaglio è da più una settimana che sei lì.» Distoglie gli occhi da me bagnando la stoffa umida nell’alcol ancora una volta. Non riesce a dirlo, sorrido al pensiero di come è difficile ammettere una cosa così stupida. Sono appena tornato e sono le dannate sei del mattino, non ho mai avuto un mal di testa peggiore di questo.
«Lì dove?» Sghignazzo prendendola in giro, noto subito le sue labbra unirsi e l’occhiata tremenda che mi manda. «Ah, dietro le sbarre, intendi?»
«Non è divertente, Harry. Sai quanto è stato pericoloso? Sai quanto tuo padre è stato in pensiero per te? Sono stati dieci giorni tremendi.» Le trema il labbro e prima di continuare prende un lungo sospiro. «Devi smetterla di metterti nei guai o tuo padre ti manderà a Portland dai tuoi nonni.» No, cazzo no.
«Mi hanno rilasciato, smettiamola di girarci intorno.»
«Ti hanno rilasciato solo perché non hanno trovato abbastanza prove per incolparti, ma non credo che sia normale che un ragazzino di diciotto anni se ne giri per Adel con un sacchetto di cocaina in tasca.» Non è mia madre perché quale ragione mi sta rimproverando?
«Lo stavo portando ad un amico.»
«Perché?»
«Non sapevo che in quella borsa ci fosse quel sacchetto di roba..» Mento farfugliando.
«Chi ti ha detto di consegnare quella borsa?» Delineo le labbra in una smorfia d’odio stringendo un pugno sul grembo, ho già avuto lo stesso interrogatorio con la polizia. Quando finalmente capisce di starmi irritando e che non le darò una risposta si appoggia con i fianchi al tavolo e scuotendo il capo continua con un’altra domanda. «Ti stai comportando in modo strano da quando hai conosciuto quel biondino.» I miei occhi si alzano subito su di lei, non sento altro che la sua voce e quella del mio amico che mi suona nella testa. «Com’è che si chiama? Heath?»
«Sei paranoica, ti ho già spiegato com’è andata.» La mia voce diventa un mormorio mentre faccio per alzarmi dalla sedia e per levarmi dalle palle la trentunenne fastidiosa.
«Tuo padre vuole parlarti.» Riprende con un altro discorso prima che io salga le scale, mi volto solo per guardarla ed ignoro il sangue che mi sporca la bocca e la caviglia dolorante. E’ una merda, una vera e fottutissima merda che io mi sia messo in una lite l’ultimo giorno in penitenziario e che sia uscito con un labbro rotto ed una caviglia slogata. Cazzo.
«Non è in ospedale?»
«No, è stato meglio questa settimana e ieri ha chiesto di essere riportato a casa per aspettarti, sapeva che non saresti andato a trovarlo una volta fuori.» Mi sta dando le spalle mentre prepara la colazione. Certo che non lo sarei andato a trovare, sono passati solo due mesi e ancora non riesco ad abituarmi a questa cazzo di situazione e alla sua malattia.
«Ci parlerò quando sarà sveglio.» Oppure sarò scappato dalla finestra prima che lui apra gli occhi.
«E’ sveglio.» Cerco di non saltargli addosso per tappargli la bocca e salgo gli ultimi gradini, ma proprio quando sto per aprire la porta di camera mia la voce di mio padre mi spiazza.
«Harold, vieni subito qui.»
«Porca troia.» Impreco saltando la mia camera e trascinando gli stivali che ho ai piedi fino alla camera da letto di mio padre. L’apro di scatto e sono quasi disgustato dall’uomo seduto ai piedi del letto con addosso uno stupido pigiama bianco e caldo quando fuori ci saranno si e no trenta fottuti gradi.
«Siediti.» E’ un ordine?
«No.»
«Quando la smetterai?» Odio quando il suo sguardo si alza e riconosco il mio stesso colore degli occhi.
«Smetterò cosa?» Lo stuzzico, sono talmente stronzo da provocare un malato.
«Che cazzo sei diventato?» Il suo sguardo impassibile è peggio di un pugno nel petto, è come se tutto d’un punto si fosse ricordato di avere un figlio. L’ultima volta che ho parlato con quest’uomo è stata quasi più di due settimane fa, ero ubriaco e ho rischiato di mettergli le mani addosso ma per sua fortuna Kelsey mi ha fermato. Non so cosa sono diventato, non so cosa sto diventando e cosa diventerò prima di morire. E’ tutto così confuso, ma Heath dice che è la miglior medicina per dimenticare tutto l’odio che porto alle spalle, tutto il menefreghismo di mio padre e la mancanza di una donna nella mia vita. Heath dice che va bene così, che devo fregarmi di tutto e fare quello che mi dice lui. Io non prendo ordini da nessuno, ma Heath dice che non mi sta ordinando nulla i suoi sono solo consigli, le nostre vite sono così simili. Lui aveva un gemello, ma è morto quando aveva solo dieci anni, da quando l’ho scoperto Heath dice che io sono il suo nuovo fratello, che noi siamo la stessa cosa e che solo lui può aiutarmi ad uscire dal mio mondo vuoto.
«Cos’è che tutto d’un punto ha iniziato a fregartene qualcosa?» Non sto urlando, il mal di testa non me lo permette.
«Sei mio figlio, Harold.» Harold, perché cazzo mi chiama così?
«Da quando? Da quando sono tuo figlio?»
«Da quando sei venuto al mondo, razza di ingrato.»
«Quando sono venuto al mondo, precisamente? Anzi, lascia che ti dica qualcosa.» Ridacchiando faccio qualche passo in avanti trovandomelo di fronte. «Io sono morto.»
«Smettila di delirare.» Ringhia, come sono solito fare io.
«Sono morto nell’esatto momento in cui tu hai messo il tuo cazzo moscio tra le gambe della tua seconda moglie.» Cammino per la sua stanza e mi piace pensare che è troppo debole per fermarmi. «Credi che non lo sappia? O che non lo sapessi? Credi che mi piacesse sentirti ogni dannata notte trombarti quella merda di donna solo due mesi dopo che avevo perso mia madre? Dopo quello che stavo passando, quando non capivo un cazzo, quando il giorno dopo tu hai smesso di parlarmi per giorni e giorni e mi hai lasciato con una fottuta babysitter ogni fottuta settimana?» Non ricordo quando precisamente ho iniziato ad alzare la voce. «Sei stato assente nella mia vita da quel maledetto giorno fino a due mesi fa, quando ti hanno detto che la tua vita non è infinita, che i tuoi giorni con quello che tu chiami figlio sono limitati. Che la tua vita non gira intorno alle puttane che ti trombi, ai milioni che hai perso e che cerchi, inconsolabilmente, di riottenere.» Inizio a muovere le mani in aria e prima di rendermene conto sto dando dei calci ai mobili, mi fermo solo per prendere fiato e guardare i suoi occhi inumidirsi come quelli di un bambino. Sì, un bambino, un bambino di quattro anni che cerca di stringere la mano della mamma su un letto di ospedale. Gli occhi di un bambino che smette di usare i cuscini, che passa le sere a fissare il muro cercando di non piangere, un bambino triste di cui quest’uomo aveva dimenticato l’esistenza.
«Tu sei e resterai sempre più importante di tutto questo, Harold.»
«Cos’è mi prendi in giro, adesso? Non so nemmeno perché sto cercando ancora di aiutarti, di racimolare soldi per permetterti delle fottute cure in uno stupido ospedale. La mia mente non si spiega perché io continui a vivere nella stessa casa dello stesso uomo che fino a due mesi fa non faceva altro che chiamarmi drogato e fottuto tossico, che non faceva altro che buttarmi merda addosso per il mio stile di vita. Che sì, cazzo, lo so che fa schifo, ma se ci sei tu a ricordarmelo fa ancora più orrore!» Stringo tra le dita i capelli tirandoli violentemente, le mie urla saranno arrivate fino alla fine del viale, immagino. «Non so perché sto ancora cercando di tenerti in vita quando dovrei lasciarti morire come hai fatto tu, per più di quattordici anni, con me!» Ho il petto che sale e scende irregolarmente mentre mi costringo ad andare verso la porta, la sua voce è strozzata ma cerca ancora di richiamarmi.
«Quando Kelsey mi riferì che la polizia ti aveva preso sono stato malissimo, ho pensato di starmi perdendo tutta la vita di mio figlio, è stato orribile non poter pagare la cauzione e chiedere un ennesimo prestito alla banca.» Quanto mi dispiace, il signor Styles, ex imprenditore americano, che si ritrova a chiedere un debito per far uscire il proprio figlio di galera.
«Sei tu che hai lasciato entrare in casa quella stronza.» Sa a chi mi riferisco e le sue mani passano tra i suoi capelli corti come per scacciarsi dalla mente l’orribile faccia di quella donna.
«Non sapevo che mi avrebbe mandato sul lastrico.»
Sbuffo una risata. «Certo, una donna di ventidue anni che sposa un ultra trentenne con un figlio di quattro anni dopo due mesi che è rimasto vedovo è sicuramente innamorata.»
«Credevo che avere una madre giovane sarebbe stato meglio per te, io ero troppo impegnato e..» Si rende conto di quello che ha detto solo quando si blocca. Troppo impegnato per occuparti di tuo figlio, deficiente.
«Quella cazzo di gattabuia, vuota ed umida, era un milione di volte meglio di stare nella stessa stanza con te. Se potessi ci ritornerei, così da potermi dimenticare della tua faccia di cazzo.» Chiudo la porta alle mie spalle e non mi sorprendo a vedere Kelsey con le guance umide e gli occhi rossi che stringe tra le mani un vassoio pieno di cibo, la guardo e mi sento in colpa che lei debba subire la mia esistenza e quella di quell’uomo. Barcollando la sorpasso per scendere le scale, la sua voce seguita da un singhiozzo mi richiama.
«Harry..» Un altro singhiozzo. «Dove stai.. andando?»
«Da un amico.» Apro la porta d’ingresso odiando il maledetto sole americano.
«Chi?» La sua voce in lontananza, ma le rispondo solo quando ho già chiuso la porta. Rispondo a me, non a lei. Ricordo a me stesso da chi sto andando, non a lei.
«Heath.»

End of Flashback

Spengo la mia mente nell’esatto momento in cui Ray spegne l’auto di fronte ad un vecchio condominio, mi si stringe il petto quando riconosco una vecchia auto nel piccolo parcheggio. Stringo le mani sulle ginocchia, passiamo altri quindici secondi in silenzio e io mi domando perché continuo a contare gli attimi quando sono nervoso.
«I Bellvieri abitano al terzo piano, la prima porta. Vuoi che venga con te?» Sento la sua mano sulla spalla ma i miei occhi e la mia mente sono distratti per far caso alla sua richiesta. Certo, è una volta lì come gli spiego la situazione? Lui non sa del.. rapimento. Hanno rapito Cher, per colpa mia. Perché le sono stato troppo vicino, loro volevano me e sono passati attraverso lei. “Spero ti renderai conto del casino in cui la stai trascinando” quel messaggio aveva maledettamente ragione.
Con le dita mi accarezzo le tempie prima di negare col capo. «Non c’è ne bisogno, posso ritornare a casa da solo tu..»
«No.» Insiste. «Tu non conosci i Bellvieri come li conosco io, parlarci non è mai semplice, soprattutto con Brandon che prende tutto alla leggera. Sarebbe capace di..»
«Di cosa?» Quasi disperatamente mi mordo un labbro. «Credo che tu mi abbia visto combattere abbastanza volte da sapere che niente e nessuno può atterrirmi.»
«Come ti pare, ma io ti aspetto qui. Se non torni entro trenta minuti vengo a cercarti.» Il suo mezzo sorriso mi fa rabbrividire, apro l’auto cercando di evitare di chiedergli perché è vestito come uno stupido angelo dai capelli biondi e il completo sempre bianco.
Salgo frettolosamente le scale cercando di non bestemmiare ogni volta che i gradini mi sembrano allontanarsi, sembrano sempre di più e sempre più alti. Come volsi dimostrare inciampo sulla rampa di scale del secondo piano, resto con un ginocchio a terra mentre tengo il mio peso sulla ringhiera di un ferro verde e arrugginito. Io sto malissimo, disse la sua voce. Così delusa, straziata, dolorante, così piena di qualcosa che non è lei. O almeno che non era quando l’ho conosciuta.
Faccio un altro gradino, non volendo altro che vederla e stringerla tra le mie braccia dicendole che il peggio è passato. Non posso credere di averlo pensato, di aver pensato sul serio di stringere una ragazza e dirle quanto cazzo ero spaventato per lei. Dio, non posso credere di star ammettendo di aver paura. Paura? Paura che l’abbiano toccata, paura che Brandon abbia provato qualcosa che ho provato io.
Faccio altri due gradini e ne mancano solo 7 che mi poteranno di fronte alla loro porta. 7. Ho contato i gradini quanto avrei potuto percorrerli ed essere già di fronte al campanello, e invece sto perdendo tempo quando lei sta male per colpa mia.
L’ho messa in pericolo, e mi sento così tanto uno schifo per non averlo detto a nessuno. Forse dovrei farlo? Dovrei dirlo a Mitchell e chiamare la polizia?
Ridacchio facendo un altro gradino, io e la polizia non siamo andati e non andremo mai d’accordo. Cosa farò una volta di fronte a loro? Come reagirò?
Avrò una lite con loro? Cazzo sì.
Spaccherò il culo a Barney per aver fatto il fottuto doppiogiochista? Cazzo sì.
Una volta averla salvata –perché la salverò anche questa volta– le dirò quello che provo? Cazzo non lo so.
Faccio un altro passo e penso che se continuerò con questa velocità Ray inizierà a preoccuparsi, ed essere rimasto quindici minuti a salire una rampa di scale è da psicopatici.
Salgo gli ultimi gradini velocemente e busso alla prima porta con una velocità e frenesia unica, ignoro il sangue che minaccia di uscire quando le mie nocche iniziano a lanciare pugni sul legno rossiccio con ancora più furore.
«Dio, sto arrivando!» E’ questo a fermarmi, devo usare la stessa forza per scagliare un pugno sulla faccia del ragazzo che aprirà questa porta. Stringo gli occhi ingoiando la poca saliva che avevo in bocca, il sapore odioso di liquore mi da il disgusto per la prima volta in vita mia.
Quando la porta si apre sono infuriato e disgustato per la persona che mi si è posta di fronte. Ignorando la vena che mi pulsa sul collo fisso Brandon con un asciugamano in vita e i capelli odiosamente bagnati portati all’indietro.
Che sia mezzo nudo è la cosa che mi fa disgusto, quella che mi fa rabbia è il sorriso che gli è impresso sulla bocca.
«Sei proprio tremendo, eh, Styles?» Si appoggia allo stipite della porta con una spalla incrociando le braccia sotto al petto lievemente asciutto, ha qualche tatuaggio e dato che sono colorati fanno schifo.
«Dov’è?» Ringhio come un fottuto cane rabbioso.
«Chi?» Si acciglia.
«Lei.» Marco stringendo i denti e i pugni.
«Lei chi?» Rimarca e stringe le labbra per nascondere un sorriso provocatorio, non mi trattengo dallo spingerlo per le spalle ed entrare nella loro schifosa casa. Una puzza di alcool e fumo mi costringe a tossire dopo il secondo passo sul parquet scricchiolante, la riverniciatura lungo le pareti è staccata e l’intonaco e di un orribile color piscio.
«Cher? Dove sei?!» Inizio ad urlare il suo nome, ma al posto di una sua risposta nella mia testa rimbomba la risata di Brandon sempre più chiara e vivina. «Smettila di giocare, dov’è?!» Strillo voltandomi verso di lui, il sorriso sempre più grande ed arrogante.
«E’ con Barney, sapevi che quei due sono stati insieme?» Cerco di ripetermi che sta mentendo e che sta solo cercando di farmi innervosire. Continuo ad aprire porte su porte, sempre vuote e il dolore allo stomaco si ripete e non mi fermerei dal vomitare sulla merda parquet sotto i miei piedi.
«No che non lo sapevi, come potevi saperlo. Quando stavano insieme Carlos era ancora vivo, Cristo saranno passati tipo 5 anni.» Mi sta prendendo odiosamente in giro? «Erano carini insieme, dovrei avere una loro foto nel portafoglio.» Inizia a ridere e camminare più vicino a me, non lo vedo ma sento solo i suoi passi mentre chiudo il terzo e fottuto bagno. No, non è il terzo bagno, è sempre lo stesso stupido e maledetto bagno che ho aperto tre merdose volte.
«Dov’è Barney? Dove sono loro?» Faccio un passo verso di lui che non sembra spaventato dalla mia statura e il fatto che sia mezzo nudo mi da ancora sui nervi. Ma non è l’unica cosa che mi da sui nervi, odio il fatto che sia qui, di fronte a me, e con un sorriso stampato sulla faccia.
«Indovina.» Ghigna.
«Non ho nessuna voglia di giocare, Brandon.» Faccio un passo in avanti e lui sposta lo sguardo verso una porta, chiusa. Sono persuaso dall’aprirla, ma quando ci faccio pressione con una mano la porta non si schiude. E’ bloccata, a chiave. Perché dovrebbe essere chiusa a chiave lì dentro? L’hanno imbavagliata? E se sta male e non può urlare? Continuo a fare pressione con una mano e spingere il pugno con l’altra, gridando più forte il suo nome.
«Credevo ti saresti consegnato alla polizia non appena avresti saputo la notizia. Che cazzo di principe azzurro sei?» Quando mi volto per incrociare di nuovo i suoi occhi peccaminosi ha indosso una maglia e dei boxer, quando cavolo li ha presi? Sono tentato dal dirgli che non sono un maledetto principe azzurro e che la mia vita non è una fiaba, la mia vita è un film horror ispirato ad una storia vera. Esatto. La mia vita è un film dell'orrore dove io, protagonista principale, svolgo anche il ruolo della fottuta bestia che si divora lo stomaco e il cuore pur di portare in salvo la donna che desidera.
«Credevi che mi sarei arreso così facilmente?» Per un attimo, seduto nell’auto di Mitchell, mentre caricavo il mio cellulare al motore e mi dirigevo verso l’appartamento di Cher, stavo per arrendermi seriamente. Ero pronto a fare marcia indietro e a dirigermi alla nostra scuola, inginocchiandomi di fronte ai professori interrompendo uno stupido esame e ad ammettere ogni mia fottuta colpa.
«No.» Sorride e si asciuga le mani ancora umide sulla maglia blu a mezze maniche. «Ma lo farai, ti consegnerai alla polizia, Styles. Sappiamo tutti che lo farai, è solo questione di ore
«La salverò e spariremo dalla vostra vista, il più lontano possibile da questa merda di capitale.»
«Tu non sai dov’è, non sai se sta bene. L’unica cosa che puoi fare è fidarti di me.»
«Come cazzo faccio a fidarmi di te?» Urlo per la sua insulsa richiesta.
«Lei ti verrà a trovare in prigione, promesso. Oppure, una volta dentro, potrai usare la tua unica telefonata per mandare qualcuno a cercarla e assicurarti che stia bene.»
«Sei un maledetto bastardo.» Sputo.
«Lo so.» Ghigna dondolandosi sui talloni nudi. «Allora?»
«Cosa c’è in questa stanza?» Divago, per un attimo.
«Qualcosa che ti farebbe male, Styles.» Odio quando mi chiama per cognome, sembra rivolgersi alla parte peggiore di me. Lui aveva l’abitudine di chiamarmi così.
«Brandon, il tuo è un sequestro di persona, ne sei al corrente vero?» Sto cercando di farlo ragionare con le fottute buone maniere.
«Sì, lo sappiamo.» Si gira e mi fa cenno di seguirlo, trascino le mie gambe stanche fino alla loro cucina che puzza maledettamente di bruciato. «Ti diamo un tempo massimo di due giorni, Styles. Lunedì ripartiranno le investigazioni sulle ultime classi, e prima che qualche pollo possa cantare tu devi essere lì a dichiararti colpevole di aver venduto roba a Shay.»
«Quando la lascerete andare?» Chiedo sperando in una risposta svelta, ma lui pensa bene si accendersi una sigaretta invece di rispondermi.
Avvicina la fiamma all’involucro di tabacco e mi lancia anche una lunga occhiata prima di fare il primo tiro, sembra starmi prendendo odiosamente in giro. «Il giorno stesso, non saprei che farmene di quella sfigata in giro per casa. Non comprendo come ti attragga una merda del genere, brò.» Sputa via il fumo offuscandomi la vista e facendomi desiderare di poter fare lo stesso. Lui non la vede come la vedo io, e lo capisco, fino a qualche giorno fa nemmeno io la vedevo nello stesso modo in cui la vedo adesso. Vedere. E’ quello che avrei dovuto fare prima, aprire semplicemente gli occhi e guardarla mentre cercava di afferrarmi le mani e farmi risalire dal pozzo dei ricordi in cui ero stato rigettato. E’ incredibile rendersi conto che quello che ci scivola dalle mani è oro solo quando abbiamo tirato lo sciacquone. Per dirla in breve: potrei aver buttato la miglior cosa mai capitata in vita mia nel cesso, magnifico.
«Quando Barney mi ha detto che eri cotto di lei non potevo crederci.» Sposta la sigaretta tra le labbra iniziando a fissarla, come se stesse studiando ogni suo particolare. «Cosa ti piace di lei?»
«Sono cazzi miei.» Stringo i pugni sul tavolo scuro e lui lascia che un sorriso malizioso gli rapisca il volto. Malizia. Questo c’è in Cher, ma lo nasconde dietro un velo trasparente di innocenza.
La prima volta che mi mostrò questo suo lato malizioso ci restai secco, era la stessa sera in cui le confessai che non sarebbe mai riuscita a prendere il controllo su di me. Lo ricordo, lo ricordo perfettamente bene. La sua mano sul mio cavallo, all’interno dei pantaloni ma sopra i boxer, i gesti innocui ed innocenti delle sue dita intorno alla mia durezza e le sue labbra dolci presse sulle mie.
Non ero sicuro di star pensando in quel momento, non vedevo altro che lei che cercava di farmi smaltire l’adrenalina e il suo calore corporeo sul mio. Il suo profumo, quel profumo dolce e amaro allo stesso tempo, quella sua pelle calda ogni volta che sfiorava la mia.
Era magnifica.
E lo è ancora, solo che sono troppo incasinato per poterglielo ricordare.. Capì di esserne preso quando entrò nell’auto in corsa, nessuna ragazza avrebbe fatto una cosa così pazza ed irresponsabile.
Come se stesse fuggendo, insieme a me. E io non la conoscevo, lei non conosceva me. Eppure non dimentico la sua faccia soddisfatta quando le ripetevo che si era bevuta il cervello per averlo fatto, come se trasgredire le desse un senso di compiacimento. Quella notte l’ho segnata fottutamente in testa, non la potrò dimenticare mai. Ecco cosa mi piace di lei, mi piace che riesca a sorprendermi ogni maledettissima volta. La credevo, o almeno la immaginavo come la solita ragazza riservata ed innocua, tuttavia quando iniziò a palparmi da sopra i boxer ero certo che se fosse stata diversa non mi avrebbe mai eccitato così tanto.
Quella sera mi disse che era riuscita a farmi perdere il controllo, ed io, segretamente, accettavo quella triste realtà. Perché, da quel momento, quando si trattava di lei non avevo più il controllo sulle mie azioni.

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Trovate una mia intervista sul profilo di Stormy15 o cercando "intervista alla scrittrice di get in my bed", per curiosità ed extra sulla storia :D x



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