Capitolo 54.

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«Non so cosa fare», ammetto, a voce bassa, coprendo la cornetta del cellulare con una mano. I miei occhi sono fissi sul ragazzo seduto in un angolo lontano da tutti, sulla panchina fuori dalla chiesa cattolica dove si sono appena tenute le onoranze funebri di Richard Styles.
L'arco di tempo che c'è stato dalla chiamata di Kelsey alla fine della messa, è stato un vero inferno. Sono volti, lacrime, grida e silenzi che non voglio ricordare. Non voglio più andare ad un cimitero, non voglio più assistere alla morte di qualcuno, e sono sicuro che ciò non lo vuole nemmeno Harry.
«Hai provato a parlargli?» risponde dall'altra linea Missi, con voce preoccupata.
«Non vuole ascoltare o parlare con nessuno. Ha di nuovo quell'espressione vuote, impassibile, fa quasi paura. E' così da quando ha avuto la notizia», le spiego.
«Secondo Ray sta trattenendo tutto il dolore della situazione, finirà sicuramente per dare di matto da un momento all'altro».
«Non c'era bisogno di Ray per arrivarci», inspiro dal naso, dandomi una calmata. «Scusami, sono solo stanca..»
«Lo so, Cher, non preoccuparti. Non lasciare che Harry si distrugga internamente, prova a parlargli, ancora una volta», mi consiglia. Facile a dirsi, sono ore che non mi risponde quando provo a dirgli qualcosa.
«Provo a parlargli, ti richiamo», chiudo la chiamata prima che mi risponda e cammino a passo deciso verso il mio ragazzo. Nonostante Richard abbia passato la maggior parte degli ultimi anni in ospedale, o comunque sotto osservazione, ci sono moltissime persone venute ad onorarlo. Essendo un ex uomo d'affari, ha comunque dato molto a questo paese e merita un saluto come si deve. A pensarla diversamente è il suo stesso figlio, che ha preferito prendere le distanze da tutti i presenti e non accettare le condoglianze di nessuno.
«Ehi», lo saluto, sedendomi accanto a lui. Non so perché, ma, una piccola parte del mio cuore, si aspettava che rispondesse. Lui invece rimane in silenzio, un silenzio tombale. Non fa parole, continua a fissare il vuoto per altri dieci minuti, ed io lo accompagno in quel viaggio senza destinazione che ha preso la sua voce.
Dopo un arco di tempo che definirei impossibile, Harry schiude le labbra e la sua voce esce più rauca e spezzata del solito. «Quando ero piccolo, qualche anno dopo la morte di mia mamma, una delle mie tate mi spiegò che ci sono cinque fasi del lutto», inizia, abbassando lo sguardo sulle sue mani, tremanti. Vorrei stringerle tra le mie e dargli anche solo un pizzico di buon umore.
«La negazione: ed ammetto che, inizialmente, non potevo credere che la chiamata era da parte di Kelsey, perché sapevo già a cosa avrebbe comportato. Poi, la rabbia: mi sono arrabbiato un casino, tutto il tempo, ho avuto uno stato di rabbia che credo d'aver ancora addosso. Se n'è andato, ha chiesto il suo patetico scusa e poi se n'è lavato le mani». Lo stato di rabbia in cui era, ed è, non gli permettono di spiegare al meglio la sua idea. Capisco cosa intende, lo capisce anche lui, si è solo espresso male. «Poi la fase della negoziazione, la più patetica», sbuffa una risata nasale. «Ci porta addirittura a pensare cose come 'non è morto, sta solo dormendo'», mormora. Leggo nel suo sguardo un pensiero rivolto a sua madre, e sono abbastanza sicura di non starmi sbagliando. «Poi la depressione, che non commenterei, e poi l'accettazione», conclude. Mi aspetto che abbia finito, visto che per una manciata di secondi non parla. «Ma c'è una fase che posso vantarmi di aver scoperto a mie spese», alzo lo sguardo verso di lui e lo vede abbassare le palpebre. «Quella di pienezza. Uno stato in cui tutto il tuo corpo», le parole escono aggressive, cattive, e lui fa un ghigno, «tutta la tua fottuta testa, è satura delle cinque fasi precedenti fino all'orlo. Una fase di merda, Cher, una fase del cazzo. Sei arrabbiato, poi depresso, un secondo prima pensi di averlo accettato e quello dopo pretendi che si svegli», gesticola con le mani, continuando ad evitare di far incontrare i nostri occhi.
«Devi solo superar..» sposta lo sguardo su di me, interrompendomi con un ghigno.
«Non dirmi cosa fare», si alza di scatto, come se la panchina fosse diventata di fuoco. Ha una vena sul collo che pulsa, segno che sta per respingere il dolore delle ultime ore. «Tu non puoi minimamente capire come mi sento in questo momento. Bene o male hai vissuto con entrambi i tuoi genitori, perché vi inglesi in un certo senso ve la cavate sempre bene. Ti svegli la mattina, dai un bacino a mamma e papà, prendi la merenda e poi vai scuola», cammina avanti e indietro per il parchetto dietro la chiesa. Rimango in silenzio, aspettando che sbollisca la rabbia. «Voi, tutti voi, voi che siete gli spettatori della mia vita», si porta una mano al petto, ma non guarda me, nemmeno la panchina. «Non sapete un cazzo di cosa sono, di cosa sono diventato. Non sapete cosa sto sopportando. Per mia madre ero un bellissimo bambino di quattro anni, che non sbagliava mai nulla», si volta verso di me, con un ghigno e gli occhi coperti da un velo spesso di rabbia. «Per mio padre ero un fallito già da bambino. Sai? Una volta mi disse anche che se la sua ex moglie mi avesse ucciso si sarebbe risparmiato parecchie delusioni. Per lui ero una vergogna, un figlio che si drogava e che saltava da un letto all'altro ogni sera. Espulso da due scuola, la terza mi ha accettato solo perché lui sborsato una decina di testoni. Per lui ero uno spreco, ed è morto con questa convinzione», sputa tutto d'un fiato, arrabbiato. Harry è totalmente arrabbiato.
«Per lui, magari per lui. Ma non per me, non per Kelsey, che ti ha visto crescere, non per i tuoi amici, Harry. Non per Susan, che ha capito che sei cambiato. Perché non pensi anche a noi?» gli vado contro, alzandomi.
«Perché voi non siete i miei genitori!» sbotta, alzando la voce. Uno stormo di uccelli appollaiati ad un albero vicino vola via e un gruppo di persone per un secondo si volta verso di noi. Sembra una di quelle scene da film, una di quelle che fanno restare a bocca asciutta anche gli spettatori al cinema. «Ma non lo capisci? Mi sono morti entrambi i genitori, Cher, e non ho ancora superato i vent'anni di vita. Mia madre è morta, mio padre è morto ed io ora sono figlio di nessuno. Siete tutti così patetici, convinti che un sorriso possa mascherare un cuore spezzato. Non c'è nulla che possa sistemare il mio, sono destinato ad avere pezzi mancanti per tutta la vita», stringe i pugni lungo i fianchi. In un momento di completa trance, da parte di entrambi, Harry cammina in avanti allontanandosi dalla chiesa.
Gli vado subito contro, fermandolo per un braccio, ma lui mi respinge con tanta forza da farmi cadere contro il suolo. «Kelsey ti riaccompagnerà a casa di mio padre, ci vediamo stasera», mi risponde bruscamente, camminando in avanti.
Non mi do per vinta, mi rialzo, umiliata, e torno a corrergli dietro. «Non puoi sempre scappare dai tuoi problemi, Harry! Ti ritroverai al punto che saranno le soluzioni, a scappare da te. Non troverai mai un punto d'incontro con te stesso in questa maniera. Affrontati», gli urlo, fermandomi quando lui si ferma. Mi dà ancora le spalle.
«Kelsey ti accompagnerà a casa. Non muoverti da lì, Cher», mi ordina.
«Smettila di fare così..» lo prego, stringendomi lo stomaco con le braccia. «Non allontanarmi di nuovo da te, Harry. Ti amo», mi mordo il labbro inferiore, trattenendo un singhiozzo. Odio terribilmente tanto quando Harry alza i suoi muri, tenendomi dall'altra parte di essi. Mi sento imprigionata in una falsa realtà.
«Chee, cerca di capirmi. Ho bisogno di tempo, stanne fuori», mi liquida, cacciando le chiavi della sua auto. Come un grumolo di sabbia scorre via dalle mie dita, impedendomi di seguirlo, schizzando sulla strada con una velocità assurda.
Che senso ha stare insieme se, quando uno sta male, l'altro deve restare lì a guardarlo distruggersi? Non voglio più restare in silenzio, ferma, a guardarlo soffrire. Farà qualche stupidaggine, e so anche che tipo di stupidaggine farà.

Harry's POV.

Non ricordavo quanto fosse distante il basso – così chiamato da noi – finché non l'ho raggiunto dopo circa quaranta minuti d'auto. L'arco di tempo che ho impiagato col culo sul sedile della mia macchina, l'ho sfruttato pensando a come ho trattato Cher nei minuti precedenti. Ho fatto la solita stronzata di non darle retta, ma in questo momento non do retta nemmeno a me stesso.
Il mio buon senso mi dice di tornare indietro, di chiederle scuse e lasciarsi consolare dalle sue braccia e dalle sue parole. La parte aggressiva, quella dominante, che è in me, mi dice di aumentare la velocità e arrivare a destinazione il prima possibile.
La risposta ai miei folli pensieri è la mia mano che ingrana la marcia successiva, il vento, proveniente dal finestrino calato, mi colpisce il volto come uno schiaffo morale animato. Prendo un lungo respiro quando, in lontananza, scorgo qualcosa di familiare. Rallento.
Quando scendo dall'auto, mettendo piede nel quartiere più degradato di Boston, sento gli occhi di tutti su di me. E' un posto di merda, dunque mi sento quasi subito a casa. Accolto come uno straniero, ma temuto come un poliziotto.
Ci sono alcune abitazioni abusive, la maggior parte dei ragazzi che abitano questo posto, oltre al conoscermi, mi vogliono morto. Ci vogliono letteralmente trenta minuti prima che tutti sappiano che sono tornato, le voci girano più velocemente dei soldi.
«Hai davvero il coraggio di farti rivedere in giro, Styles?» una voce graffiante proviene dalle mie spalle. Chiudo la portiera e, indifferente, cammino in avanti. C' un ragazzo, con la carnagione scura, che mi blocca la strada. Lo ignoro completamente e lo sorpasso con una spallata, ghignando.
«Guarda dove metti i piedi, ragazzino», mi ringhia quest'ultimo. Voltandomi, lo sfido con lo sguardo, alzando un angolo della bocca in una smorfia. Continuo a guardare negli occhi scuri di quest'ultimo, mentre il ragazzo che per primo mi ha rivolto la parola si fa avanti.
«Se resti un secondo in più nel basso, Styles, ti ritroverai senza alcuna speranza di poterne risorgere», si fa in avanti. Lo riconosco quasi subito, è uno dei due ragazzi che erano al fianco di Heath.
«Non provare a minacciarmi», faccio un passo verso di lui. In men che non si dica un ragazzone, che era seduto su uno pneumatico, spalleggia il mio interlocutore. Mormoro una bestemmia, serrando la mascella.
«Sai almeno quanto rischi, trovandoti qui?» fa una smorfia, prima di avvicinarsi a me. «Prima scappi a gambe levate, e poi torni con la coda tra le gambe. Sei un fottuto vigliacco», mi insulta.
Mi faccio avanti, fregandomene del ragazzo al suo fianco e lo spingo per le spalle. «Chi cazzo ti credi di essere?» Non ho il tempo di colpirlo che, il ragazzo di colore dietro di me mi prende per una spalla spingendomi indietro. Qualcuno si è alzato, convinto che stia per iniziare una rissa, e ci circonda. Li guardo tutti attentamente, sentendo la rabbia riemergere – non che se ne sia mai andata.
«Haz», una voce si apre nella folla. Heath.
«Porca puttana», impreco a voce bassa, girandomi verso la mia sinistra ed aspettando che il biondo faccia il suo ingresso. Heath arriva, con gli stessi vestiti della scorsa volta, e mi guarda col suo solito ghigno sulla barba appena accennata.
«Se proprio vuoi batterti, fallo seguendolo delle regole», un boato si alza nella folla di ragazzi e tutti ci istigano ad un duello. Ero comunque qui per questo.
«Non ho nessuna intenzione di sfidarmi con questa femminuccia», guardo negli occhi il ragazzo di poco fa.
«Rob, chiamami Billy», gli ordina Heath.
Quello che ho capito chiamarsi Rob, assume subito un'aria contrariata. «Glielo rompo io il culo a questo damerino, così impara a..» non lo faccio concludere che, con un pugno dritto sulla bocca, gli rompo un labbro e lo zittisco finalmente. Sento l'adrenalina lungo le dita, il petto mi si alza e un respiro aggressivo si impadronisce di me. Sono furioso. Ho bisogno di smaltire la rabbia.
«Merda», grugnisce Rob, con le mani sulla bocca sanguinante e gli occhi spalancati. Mi guarda un'ultima volta, prima di indietreggiare e seguire l'ordine di Heath.
«Seguimi», mi dice Heath, camminando in avanti. Sorpasso un gruppo di ragazzi e lo seguo, sotto gli occhi ed il silenzio della gente del basso. Spacciatori, prostitute, rapinatori e drogati. Sono tanto uguali da sembrare irreale. In questo posto ci sono cresciuto, non ci sono facce nuove, tutti sanno la mia storia come io so la loro.
Ci spostiamo in silenzio, fino ad arrivare ad un campo di basket all'aperto. Ci sono due ragazzi con in mano un pallone, il posto è grande e quando ci vedono arrivare con dietro un gruppo di persone capiscono che è ora di farsi da parte.
Una ragazza bionda, con un top scollato pieno di glitter, mi passa davanti mettendo in vista tutto il suo belvedere. Fa un cerchio intorno a me con un gessetto, una circonferenza di parecchi metri, c'entrerebbero senza fatica ben due auto sportive. Questo è il ring.
Le persone si accavalcano tra di loro, diventano sempre di più. Heath mi passa una bottiglietta d'acqua, i suoi occhi gelidi sono fissi su di me mentre la sgolo tutta. Non mi ha parlato, non mi ha ancora detto nulla. Sembra starsi preparando. Come quando un insegnate sa che devi essere interrogato, ma sa anche se sei impreparato, dunque si prepara domande a cui non saprai dare risposta solo per metterti maggiormente in difficoltà.
«E' lui?» un ragazzo più o meno della mia statura, ma con le spalle più larghe e i capelli rasati si pone in avanti con un sorrisetto sulle labbra. Indossa dei guanti da allenamento e dei pantaloncini. Dev'essere Billy.
Mi scrocchio le nocche, per poi afferrarmi l'orlo della maglietta e rimuoverla. Ho i capelli legati con un codino, con due giri in modo che si formi una crocchia disordinata. Sono pronto, sento ancora l'adrenalina procurata dal pugno dato a Rob.
«Non vuoi fare nemmeno le presentazioni?» scherza lui, avvicinandosi con ancora quel sorriso. Sorride come Brandon, e ciò fa aumentare il mio desideri di rompergli la faccia.
«Harry», ghigno il mio nome, indietreggiando mentre lui entra nel cerchio.
«Billy», replica lui, sgranchendo il collo con due movimenti.
«Ora che abbiamo fatto le presentazioni», la ragazza di poco prima si posiziona tra di noi, masticando la sua gomma con la bocca aperta e guardando verso la folla. «Tetta destra per Harry, quella sinistra per Billy», ci liquida con una mano e si immerge nella folla. Le scommesse, certo. Un attimo dopo vedo ragazzi di ogni età riempirle i seni di soldi, commentando spudoratamente e facendo volare banconote da venti dollari per aria.
Non so quanti abbiano puntato su di me, in questo momento nemmeno mi interessa. Non sono qui per i soldi, ma per altro.
Heath si avvicina al bordo del cerchio di gesso, accovacciandosi ad esso e toccando la linea bianca con l'indice. «Se lo superate, siete fuori. Out», ci guarda entrambi, soffermandosi su di me. «Non voglio morti, Styles», le sue parole mi gelano il sangue. Vorrei che ci fosse lui al posto di Billy. «Se vi arrendete, battete due volte il palmo sul terreno o uscite dal cerchio. Non voglio colpi sotto la cintura, per il resto.. rompetevi anche il naso, o le labbra, quel che volete. Non ci sono regole», conclude, alzandosi in piedi ed indietreggiando di poco.
Abbasso lo sguardo verso le gambe di Billy, abbastanza lontane dalle mie. Qualcuno ci urla il via, ma entrambi rimaniamo immobili. Pensavo avrebbe fatto lui la prima mossa, come ogni principiante. Il fatto che non si sia mosso mi lascia capire qualcosa, alzo lo sguardo verso di lui e mi sta ancora sorridendo.
Giriamo lungo tutto il cerchio, io gli osservo le gambe mentre lui cerca di guardarmi negli occhi. Stringo i pugni e per un attimo lo vedo indeciso se avvicinarsi o no. Continuando a tenere lo sguardo fisso sullo stesso obiettivo, non mi muovo finché non è lui ad attaccare sollevando un pugno nella mia direzione.
Scivolo lungo il terreno ruvido, allungando una gamba e colpendolo col piede contro la caviglia. Billy barcolla in avanti, muovendo distrattamente le braccia con sguardo sorpreso.
Non aspetto che cada a terra prima di rialzarmi e dargli un calcio, deciso, in un fianco. Billy rotola con tutto il corpo, furioso, e si alza venendomi contro come una bestia. Presso le labbra, non sapendo come controbatterlo e accolgo il pugno allo stomaco che mi spinge all'indietro. Trattengo il respiro per quell'arco di tempo, ma il dolore non fa altro che aumentare il desiderio. Come ai vecchi tempi.
Prima che rimuovesse il suo pugno dal mio stomaco, gli stringo il polso in una presa ferrea e gli giro totalmente il braccio, sentendo anche uno strano scrocchio seguito dalle sue grida disperate. Lo obbligo, tenendolo per un braccio, ad inginocchiarsi. Quando le sue ginocchia toccano terra, sollevo un ginocchio e glielo spingo con violenza contro la faccia. Billy cade senza forze all'indietro, toccandosi il braccio dolorante mentre gli esce del sangue dal naso.
Sta per arrendersi, la mano del braccio distrutto sta cercando di battere il palmo per avvisare che vuole mollare. Gli metto un piede sulla mano, impedendogli quella mossa.
Lancio un'occhiata a Heath, che fissa la mano del ragazzo, poi subito dopo mi guarda negli occhi. Sembriamo gli unici ad essere a conoscenza che, Billy, volesse mollare. Eppure non dice nulla, sta in silenzio ed aspetta che io continua il mio lavoro.
«Tu non pu..» non gli consento di parlare e, come ho fatto poco prima con Rob, gli lascio un destro, con tutta la violenza che ho in corpo, sul volto. Chiudo gli occhi, respirando l'amaro sapore del caldo sangue sulle mie nocche. Non voglio fermarmi, non ancora.
«Basta! Lascialo!» una voce, troppo familiare, mi graffia la schiena come unghie affilate. Impreco a bassa voce, fissando gli occhi chiari e doloranti di Billy. Gli sto stringendo una spalla con una mano, mentre l'altra è chiusa a pugno ad un palmo dal suo naso.
«Cosa cazzo ci fa lei qui?» chiedo a me stesso, bisbigliando.
«Non è questo il modo di sistemare le cose, Harry. Lo sai perfettamente, smettila di farlo sempre nel modo sbagliato», la sua voce si avvicina. Voltandomi, sciolgo il pugno ed osservo Cher affrontare a testa alta la folla facendosi largo nel cerchio. Qualunque altra ragazza di buona famiglia, inglese, non si sarebbe mai sognata di passare attraverso quel cumolo di ragazzacci – soprattutto con tanta sicurezza.
«Ehi, non può entrare!» gli urla qualcuno, ma quando cercano di tirarla indietro per un braccio, urlo di rimando di non toccarla. Di chiunque fosse quella mano, è stata immediatamente riportata al suo posto, spaventato dal mio tono di voce.
«Ti prego, vieni con me», si inginocchia di accanto a me, incurante del sangue che gocciola dai nostri corpi che potrebbe sporcarla. Ha il respiro affannoso, gli occhi lucidi ma decisi e le trema il labbro inferiore.
«Ragazzina, esci da lì, adesso», abbaia la voce di Heath, indicando a Cher l'uscita dal cerchio.
«Rivoglio indietro i miei soldi!» urla qualcuno, seguito da: «Che cazzo è? Un film romantico?»
Cher continua a fissarmi attentamente, i suoi occhi azzurri nei miei verdi. Non riesco a non guardarla. Perché è qui? Perché è dove non dovrebbe essere? Non riesco a dire parola, non mi accorgo nemmeno di Billy che scivola via dalla mia presa. Non riesco a fare nulla. Ho le mani sporche di sangue eppure, Chee, con mia sorpresa, le stringe tra le sue con nonchalance.
Sto per alzarmi da terra, con lei, quando sento un colpo secco alla schiena che mi porta a piegarmi in avanti, quasi su di lei. Boccheggio, totalmente incredulo da ciò che ho appena avvertito. Un dolore allucinante, freddo e poi bollente, dentro e fuori di me. Stringo i pugni tra le mani di Cher, respirando dal naso, furioso.
«Sono.. ancora.. in piedi», ansima Billy, alle mie spalle.
«Ancora per poco», mormoro, divaricandomi dalla presa di Chee.
«Harry, no! Andiamo via, non farlo!» mi prega, alzandosi insieme a me senza mollare la presa.
«Leva quella puttana dal cerchio e torna a fare l'uomo, Haz», mi urla Heath. Cher lo fissa, impietrita, poi torna a guardare me, pregandomi con lo sguardo di lasciar perdere.
Sono bloccato in un vortice di confusione, non so come muovermi e se muovermi. So solo che l'unica mia preoccupazione al momento, è Cher. Non penso ai miei genitori, morti, al figlio di Tessa che potrebbe essere mio, al fatto che Billy alle mie spalle ha intenzione di vendicarsi. Sto solo guardando la ragazza di cui sono innamorato, e lei, profondamente, sta ricambiando il mio sguardo.
Il fatto che io sia contro il mondo e che il mondo sia contro me, si dissolve nel nulla quando lei mi guarda. Il mondo si ferma quando i nostri occhi si incontrano. Mi sta guardando dentro e, per la prima volta, mi sento capito. Mi sento meno pesante, mi sento felice al pensiero che lei sia al mio fianco, di nuovo.
«Come farei senza di te?» dico, senza pensarci.
Lei mi guarda con un leggero sorriso, stringendomi una mano.
«Cazzo! Reagisci!» Un calcio, alto, mi arriva letteralmente contro la schiena, facendomi un male tremendo. Mi piego in avanti, proteggendo Cher tra le mie braccia mentre Billy sfoga la sua rabbia contro il mio corpo. Cher trema, ma non fa parola, portando le sue mani contro il mio petto e nascondendo il volto su di esso.
La sto proteggendo, soffrendo pur di non farla toccare. O, almeno, così potrebbe definirsi la scena. La verità? E' lei a star salvando me, non so come, ma lo sta facendo lei.
«Billy, fermati», Heath entra nel cerchio con una mano alzata e tutti si zittiscono. Sollevo lo sguardo verso di lui, senza lasciar andare Cher.
«Vi do trenta secondi per levarvi dai piedi», il biondo non ci guarda, fissa semplicemente Billy, nonostante io sappia che quelle parole sono dirette a me. Prendo un lungo respiro, stringendo la mano di Cher nella mia e guidandola fuori dal cerchio, fuori dal campo di basket e direttamente nella mia auto.
Una volta seduti, nella mia macchina, mi prendo il viso tra le mani e regolo il respiro.
«Non vorrei rovinarti il momento», mi riprende lei.
«Non mi sembra che possa andare peggio di così, Cher», la guardo, respirando di nuovo a fatica.
«Dobbiamo tornare a casa, Harry», mi guarda attentamente. «Intendo in Inghilterra».
«Che succede adesso?»
«Ha chiamato Tessa, vuole parlarti di persona».

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