Capitolo 6

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Savannah's pov

I miei occhi vagano per la stanza, alla disperata ricerca di una via di fuga.
Accanto a me, mio padre sta cercando in tutti i modi di mantenere la calma. Ieri sera, dopo un momento di totale sconforto, non ho resistito e gli ho confessato tutto. Avevo fatto promettere ad Alan di non dire nulla, ma sono stata io la prima a non mantenere tale promessa.
Fortunatamente papà si è limitato a stringermi forte a sé, e a sussurrarmi parole di conforto. Quando ho raccontato tutto anche alla mamma, lei è scoppiata a piangere e mi ha supplicato di rivolgermi ad uno specialista.
Alla fine, ho dovuto cedere. Hanno ragione, ho bisogno di aiuto, e l'attacco di panico avuto ieri non ha fatto altro che confermare l'evidenza.

All'improvviso la porta si apre, rivelando la figura alta e slanciata della dottoressa Jane. "Buongiorno, potete accomodarvi."

Seguo mio padre all'interno della stanza, e la prima cosa che noto sono le pareti tappezzate da... fotografie. Alcune raffigurano l'oceano, mentre altre un bambino con dei bellissimi capelli neri e un paio di occhi azzurri come lo zaffiro.

"È suo figlio?" le chiedo, dopo essermi accomodata. Non voglio che pensi che io sia sfacciata, ma non ho potuto fare a meno di chiederglielo.

"Si, quella foto è stata scattata quando aveva cinque anni. Purtroppo non ho altre foto di lui, da adulto intendo. Non ama particolarmente farsi fotografare. " mi sorride, all'apparenza per nulla infastidita dalla mia domanda.

"Grazie per averci ricevuto con così poco preavviso. Gliene sarò grato in eterno." inizia papà, gentile come sempre.

"Oh, non deve ringraziarmi. È mio dovere aiutare la gente, oltre che un mio grandissimo desiderio." Si sistema meglio sulla poltrona, prima di continuare. "Allora, come posso esservi d'aiuto?"

"Cinque mesi fa mia figlia ha subito una violenza carnale da parte di due ragazzi della sua età. Io e mia moglie siamo preoccupati per la sua salute mentale, oltre che fisica ovviamente." racconta papà al posto mio.

Rimango in silenzio, mentre la dottoressa Jane mi osserva con occhi pieni di comprensione. "Signor Fisher, le dispiacerebbe lasciarci da sole? Mi dispiace, ma in questi casi la privacy è più importante di qualsiasi legame."

Alzo gli occhi, stranita. È la prima volta che uno psicologo si rivolge a mio padre chiedendogli di uscire. A Londra, nessuno si è mai preoccupato della mia privacy.

Papà acconsente alla richiesta della dottoressa, senza protestare, e in poco tempo rimaniamo sole. Lei, seduta comodamente dietro l'enorme scrivania, ed io, scomodamente seduta su una delle due poltrone in pelle al centro della stanza.

"Ti senti più a tuo agio? Ho notato la tua scarsa partecipazione nel raccontare ciò che è realmente avvenuto." La dottoressa Jane punta i suoi occhi azzurri nei miei, e quel semplice contatto visivo aiuta a rilassarmi. Lei non è come gli altri, è...diversa. Più umana, ha gli occhi buoni, pieni d'amore da donare al prossimo.

Mi limito ad annuire.

"Sono qui per aiutarti, Savannah, ma ho bisogno di tutta la tua collaborazione." inizia. "Sai, sei stata vittima di una delle violenze più brutte che una donna possa subire. E non sarà facile, per te, recuperare. Col tempo, però, e con tutta la buona volontà del mondo, vedrai che andrà meglio. Ti libererai da tutta la rabbia, la paura e i sensi i colpa che non fanno altro che controllare le tue giornate."

"Fa male." rispondo d'istinto. "Fa male parlare di quella notte."

"Parlarne è doloroso, ma non parlarne affatto lo è ancora di più." risponde prontamente la dottoressa Jane.

Il mio adorabile rimpiantoWhere stories live. Discover now