Capitolo 15

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Desdemona sentiva gli occhi bruciare e faticava a tenerli aperti. Mantenere la moto in equilibrio sulla strada era un'impresa titanica, oltre al fatto che non aveva idea di dove andare, né di cosa fare.
Guidava talmente piano che qualche automobile suonò il clacson, sorpassandola, ma lei la ignorò. Si sentiva stanca, spossata, e, concentrata com'era a tenere in piedi quel pesantissimo ammasso di ferraglia, non si accorse di essersi allargata troppo durante una curva: batté contro il guardrail, la moto s'inclinò e la ruota anteriore rimase incastrata.
Tentò di tirare il manubrio per liberarla, ma finì soltanto col farla piegare ancora di più, fin quando cadde a terra. L'idea di provare a sollevarla era ridicola: quella moto pesava quattro volte più di lei e, al momento, Desdemona riusciva a malapena a reggersi in piedi.
Si districò come poté da quel cumulo di lamiera e si guardò intorno: non era molto lontana dalla Baita, forse un paio di chilometri, e c'erano ancora ettari di bosco di fronte a lei.
Scavalcò il guardrail e si immerse nella natura.
Indossava degli anfibi di pelle e, a ogni passo, le sembrava di sollevare dei macigni. Strizzò gli occhi per mettere a fuoco il bosco, ma continuava a vedere appannato: tutto quello che guardava le appariva come una sfuocata macchia verde. Aveva freddo, anche se la sua pelle era ricoperta di sudore e sentiva che la sua temperatura corporea era altissima, tanto da farle girare la testa.
Non aveva idea di dove andare, ma sapeva di non potere restare ferma o l'avrebbero trovata.
Mentre si inoltrava nel bosco, si appoggiò ai tronchi degli alberi per non perdere l'equilibrio: sentire la ruvidezza della corteccia sotto le dita, il profumo umido che emanava, l'aiutò a concentrarsi.
Proseguì accarezzando gli alberi. Ne lasciava uno, ne toccava subito un altro e così via, sapendo che l'importante era non fermarsi.
Forse, scappare dalla Baita non era stata una buona idea: le erano rimaste solo poche ore prima che il veleno la uccidesse definitivamente e senza l'antidoto non aveva alcuna speranza, ma l'idea di restare ancora intrappolata in quella stanza con le visioni di Argo la terrorizzava.
Non poteva sopportare di vederlo, non poteva sopportare neanche di immaginare la sua presenza, tanto era il dolore che le provocava.
Perciò, sì, aveva preso una pessima decisione scappando via, ma non lo rimpiangeva, perché preferiva morire da sola ed essere divorata dalle vipere di Afrodite, piuttosto che agonizzare tra i propri sensi di colpa.
Lasciò un tronco e quando toccò il successivo non lo trovò ruvido e umido: era liscio e freddo.
Alzò gli occhi e il suo cuore si fermò, perché all'improvviso ci vedeva benissimo.
Le sue mani erano sul petto di Argo.
Sotto i palmi sentiva le ciglia dei suoi occhi, il suo odore stantio le riempiva le narici e poteva persino ascoltare il suo respiro: un rantolo basso e inquietante che le fece vibrare la spina dorsale di terrore.
«Non puoi scappare da me» le disse.
Desdemona gridò per lo spavento e indietreggiò, inciampando in un cespuglio. Si rialzò carponi e gattonò in avanti, mentre il cuore le pompava nel petto con tanta forza da spezzarle il fiato.
Se era solo un'allucinazione, maledizione, allora perché era così reale? Perché riusciva a toccarlo?
Si voltò e, quando lo vide camminare verso di lei, raccolse quelle poche forze che aveva per alzarsi in piedi e correre via. I rami bassi degli alberi le sferzavano il viso e le braccia, graffiandola, ma lei non si fermò, nonostante sentisse la pelle bruciare per i tagli.
Non poteva restare dov'era lui, reale o meno che fosse.
«Dez!» la chiamava, «Dez, fermati!»
La paura aveva accelerato il suo battito, tanto da sentirlo fin nelle orecchie, come un'eco che la rintronava: lui camminava a lunghe falcate, deciso, scavalcando le piante e scansando i rami con le braccia possenti.
Desdemona si voltò di nuovo, senza smettere di correre, ma batté contro qualcosa. Cadde a terra e, quando alzò gli occhi, era di fronte a lei: il torace era ricoperto di sangue e i cento occhi fiammeggiavano d'ira.
«Mi hai tradito» le disse, «Tu non meriti niente.»
Oh, Dèi, quelle parole erano lame che le trapassavano il petto.
Le lacrime le bagnarono il viso, i singhiozzi le tolsero il respiro, ma la paura le diede la spinta necessaria per scivolare all'indietro sui gomiti. Si rovesciò sul ventre e strisciò, uscendo dal bosco, fino a una piccola radura. Il sole l'abbagliò e continuava a sentire la sua voce.
«Dez, non scappare.»
Si rialzò sulle ginocchia e tentò di rimettersi in piedi, ma le gambe non la sorressero e cadde di nuovo in avanti, mentre i singhiozzi le impedivano di riprendere fiato.
Non poteva resistere, era una tortura. Il suo corpo stava morendo, la sua mente stava cedendo al veleno e la sua anima era in pena con un'intensità che aveva sperato di non dover mai più provare.
Morire sarebbe stato molto più semplice, sarebbe stato la sua liberazione.
Si sentì afferrare per le spalle e gridò con tutta la voce che aveva.
«Dez, smettila!»
Chi l'aveva afferrata la costrinse a voltarsi e lei cercò di colpirlo, ma le afferrò i polsi. Aprì gli occhi e, tra le lacrime, vide il viso di Argo.
«Lasciami andare!» gli gridò, «Ti prego, lasciami andare!»
«Dez, devi calmarti, adesso!» le disse lui, scuotendola.
«Per favore!» pianse ancora, «Lasciami andare.»
«Non voglio farti male, Dez. Calmati.»
Lei, allora, deglutì le lacrime e strinse gli occhi, cercando di riaprirli.
Il viso di Argo era ancora di fronte al suo, ma, mentre le lacrime si dissipavano, i capelli neri divennero boccoli rossi. Quegli intensi occhi neri divennero verdi e i lineamenti orripilanti del gigante si tramutarono in quelli delicati del figlio di Eros.
«Ish?» chiese, incerta.
Lui sorrise, sollevato.
«Sono io» le disse. Le accarezzò i capelli e ridacchiò, «Corri veloce, per essere stata avvelenata.»
Lei scosse piano la testa confusa.
«Non riesco a capire» mormorò, «Non sei reale?»
Neesha si inginocchiò di fronte a lei, senza mai lasciarle andare il viso.
«Sono reale, leanbh» le disse, «Sono venuto per riportarti al sicuro.»
A quelle parole, lei scosse la testa e si tirò indietro.
«No» protestò, «Non voglio tornare indietro. Non posso tornare indietro.»
Cercò di liberarsi, ma lui le teneva le spalle e la sua presa era salda.
«Dez, il veleno ti ucciderà. Se non ti riporto indietro...»
Lei gli piazzò le mani sul petto e provò a spingerlo via.
«Allora lascia che mi uccida!» gridò.
Neesha aggrottò le sopracciglia.
«Non essere ridicola.»
«Devi lasciarmi morire!» insisté lei, cercando ancora di divincolarsi, «Non sarei mai dovuta venire da voi, io non merito di essere salvata!»
Si dibatteva al punto che Neesha la lasciò andare, ben sapendo che fosse troppo debole per scappare di nuovo.
«Lasciami qui» disse, scivolando un po' indietro e stringendosi nelle braccia, singhiozzando, «Abbandonami. È quello che mi merito.»
Neesha scosse piano la testa.
«Dez, è il veleno che ti fa dire queste cose. Vieni con me, io...»
«Non è il veleno!» gridò lei, «Io l'ho tradito! E questa è la mia punizione.»
Lui sollevò le mani.
«Tradito?» ripeté, «Ma di chi parli? Non ti capisco, leanbh, ti prego...»
«Argo» mormorò lei, posandosi il mento sulle ginocchia, «Io l'ho tradito e questo è quello che mi merito.»
Desdemona e Argo sono nella piazza di Estia e si stanno esercitando con le spade. Il clangore delle lame che si scontrano è l'unico suono in quella città abbandonata.
Lei avanza con un affondo. Argo lo schiva e para, spingendola indietro con tanta forza da farla barcollare.
«Però» le dice, con un sorriso, mentre le cammina intorno, «Sei brava per essere così piccola.»
«Sono un'Amazzone» ribatte lei, fiera, ruotando su se stessa per non dargli mai le spalle. Si prepara ad attaccare di nuovo, quando odono un colpo fortissimo in lontananza, come un martello su una lastra di metallo.
Entrambi si fermano e restano in ascolto.
«Che cosa è stato?» chiede la ragazza.
«Non lo so» risponde il gigante, mentre le pupille dei suoi cento occhi saettano da una parte all'altra, scrutando tutto l'ambiente circostante.
Quel suono si ripete, stavolta più forte.
«Viene dall'ingresso della città» dice lei.
Impugnando la spada, attraversa la piazza di corsa.
«Dez, aspetta!» grida Argo, «Non andare, può essere pericoloso!»
«Voglio solo vedere cos'è!» ribatte lei, continuando a correre.

L'incanto di AfroditeWhere stories live. Discover now