Capitolo 9

213 11 0
                                    

Parcheggiarono le moto di fronte a una grande casa in stile gotico, poco fuori città.
L'insegna luminosa diceva Sex-tus, che era proprio il nome del proprietario del locale, Sextus.
Quando bussarono alla porta, fu il Satiro in persona ad aprire: alto e magro, con quell'aria da dandy tipica della sua specie, aveva capelli chiari, lucidi e ben pettinati all'indietro, e la carnagione pallida. Sorrise e gli angoli della sua bocca si curvarono in modo innaturale verso l'alto.
«Ma quale gradita sorpresa!» esclamò, vedendo i due guerrieri, «Il Principe e un Maximo nella mia umile bettola.»
Si fece da parte per farli passare, invitandoli con un inchino.
«Prego, entrate pure.»
L'ingresso era lugubre, rivestito di tendaggi porpora e spessi tappeti rossi. Subito sulla destra, una scalinata di legno portava al piano superiore, di fronte a loro c'era una piccola porta e, a sinistra, una tenda dietro la quale provenivano degli schiamazzi femminili.
«Vi presenterei le mie ragazze» disse il Satiro, «Ma a quest'ora del giorno riposano. Non cominceranno a lavorare prima del tramonto.»
«Non importa» disse Damian, «Non siamo qui per loro.»
Sextus posò gli occhi su Sofia, che si guardava attorno con aria disgustata, e sorrise di nuovo con aria melliflua.
«Oh, vedo che vi siete portati la merce da casa.»
Sofia non ebbe neanche il tempo di voltarsi, perché Damian aveva afferrato il Satiro per il collo e l'aveva sollevato da terra.
«Guardala di nuovo in quel modo» ringhiò, col viso attaccato al suo, «E giuro su Zeus che ti caverò gli occhi.»
Sextus boccheggiò e agitò i piedi nel vuoto, annuendo. Damian lo lasciò andare e lui barcollò all'indietro per mantenere l'equilibrio. Si massaggiò la gola e rise, divertito.
«Mi hai frainteso, mio Signore» gli disse, «Il mio era puro interesse commerciale.»
«Interessati ancora» lo provocò Damian, «Se ne hai il coraggio.»
Sofia gli posò una mano sul braccio, in un monito silenzioso, e si fece avanti.
«Siamo qui perché hai qualcosa che ci serve» gli disse.
Sextus si portò le mani al petto e unì i polpastrelli, inarcando un sopracciglio.
«Ma davvero?» chiese, scrutandoli di colpo con aria ingorda, «Io, un umile Satiro, possiedo qualcosa di cui il potente Principe dei Guerrieri necessita?»
Spostò lo sguardo su ciascuno di loro, studiando il modo migliore per sfruttare la situazione a proprio vantaggio.
Damian conosceva bene quel tipo di creature e le detestava: erano davvero la feccia dell'Olimpo.
«Ci serve la coppa di Demetra» continuò Sofia, «Sappiamo che sei tu ad averla.»
Il Satiro annuì lentamente.
«Sì, è vero» ammise, «Ce l'ho io. La coppa di Demetra è il mio risarcimento» disse, «Anni fa, frequentavo un'Alchimista. Con uno dei suoi intrugli, mi ha stregato e mi ha convinto a cederle la mia attività. Quando l'ha venduta, non ha condiviso con me neanche un centesimo. Per questo, quando ci siamo lasciati, le ho rubato la coppa. Era l'oggetto più...»
«Non mi interessa la tua storia», tagliò corto Damian, «Dacci quello per cui siamo venuti.»
Sextus alzò le spalle.
«Non c'è nessun problema per me» disse, «La coppa è nella mia stanza e sarò lieto di darvela. Ma, se permetti, mio Principe, vorrei qualcosa in cambio del mio aiuto.»
Damian roteò gli occhi.
«Che fine ha fatto l'altruismo?» sbottò.
Il Satiro sorrise.
«In cambio della coppa, vorrei una notte con il Principe dei Guerrieri.»
Sofia spalancò gli occhi e Nikandros si portò una mano alla bocca, tossendo per camuffare una risata.
Damian abbassò la testa e si prese il mento con una mano, appoggiandosi l'altra sul fianco. Avanzò di un passo e alzò solo gli occhi verso il Satiro.
«Scusami» disse, con quell'aria splendida e minacciosa che sapeva far tremare gli Inferi, «Temo di non aver sentito bene, potresti ripetere?»
«Credo che tu mi abbia capito, mio Signore» insisté il Satiro, «Una notte con me e avrai la coppa di Demetra.»
Damian strinse gli occhi, furioso per quella proposta, ma Sofia, dietro di lui, disse:
«Suvvia, Dam, non essere bigotto.»
Lui si voltò per guardarla e lei aveva stampato in faccia un sorrisetto vittorioso, tanto evidente da farlo imbestialire.
«È un piccolo prezzo da pagare per una buona causa» gli disse, citando le sue stesse parole.
La sua myssi voleva giocare a questo gioco? Benissimo.
«Fammi capire» chiese al Satiro, «Tu cederesti un oggetto prezioso come la coppa di Demetra, per una notte di sesso?»
La creatura alzò le spalle e inarcò un sopracciglio.
«Che vuoi che ti dica, Principe? Sono una creatura lussuriosa.»
Oh, gli Dèi gli erano testimoni, non era solo lussuria e Damian sarebbe stato stupido a cadere in un tranello così banale.
«Okay» disse, «Dicci dov'è la coppa.»
Sextus non trattenne la gioia e il suo viso si aprì in un sorriso radioso.
«Seguitemi» li invitò.
Fece loro strada al piano superiore: raggiunsero un corridoio pieno di stanze e lo percorsero fino all'ultima porta in fondo. Quando il Satiro la aprì, li fece entrare in una camera dallo stile barocco, oro e nera.
«È lì, in fondo al letto» disse, indicando un grande baule di legno intarsiato.
Damian e Nikandros si scambiarono un'occhiata e il Maximo si avvicinò senza esitare. Aprì il baule e, quando ne vide il contenuto, chiese:
«Sei proprio sicuro che sia qui?»
«Sì» rispose il Satiro, «Devi solo cercare.»
Il Maximo storse le labbra in un'espressione di disgusto.
«Potrei almeno avere dei guanti?»
Sofia non riuscì a capire, fin quando non lo vide tirare fuori dei falli finti grandi come il polso di un uomo. Ce ne erano di tutti i colori e dimensioni, di diverse consistenze e materiali.
Il Maximo li tirava fuori tenendoli tra la punta del pollice e dell'indice, schifato, mentre Sextus non distoglieva gli occhi da Damian.
Il Principe si avvicinò a Sofia e, sottovoce, le chiese:
«Vuoi davvero che lo faccia?»
Lei alzò le spalle, offesa.
«Tu mi hai ceduta a Menodora senza farti problemi.»
«Quello era solo un bacio.»
Sofia, a braccia conserte, gli sorrise.
«Il karma è un bastardo, amore.»
Damian spinse in fuori le labbra, innervosito, e Nikandros esclamò:
«Eccola!»
Sollevò un piccolo calice d'oro, una coppa decorata con incisioni sulla natura e i raccolti.
«Ottimo», Sextus si sfregò le mani, «Ora posso avere la mia ricompensa?»
Si avvicinò a Damian e gli posò le mani sul petto, accarezzando i suoi pettorali al di sopra della t-shirt.
«Oh» mormorò, «Quando gli altri sapranno che sono stato con te, moriranno d'invidia.»
Damian lanciò un'occhiata al letto: corde di cuoio penzolavano dalla testata e poteva vedere il riflesso dell'obiettivo di una telecamera.
Sextus non voleva solo raccontare agli amici della sua avventura, ma gliel'avrebbe mostrata: questo gli avrebbe fatto guadagnare popolarità e, di conseguenza, i suoi affari sarebbero incrementati.
Chi non sarebbe andato a bere nel locale del Satiro che si era fottuto il Principe dei Guerrieri?
Damian scosse appena la testa e chiuse gli occhi: ora era tutto chiaro e, per fortuna, non era grave come pensava.
«Va bene» sospirò, «Togliamoci il pensiero.»
Prima che Sextus potesse accorgersene, gli piazzò un destro dritto sul naso, così forte da spaccargli il setto. Il Satiro barcollò e rovesciò gli occhi all'indietro: cadde a terra, privo di sensi, e Nikandros rise.
«Lo sapevo» disse.
Sofia sospirò piano, con rassegnazione.
«Stavolta me l'aspettavo anch'io.»
Damian le prese la mano.
«Andiamocene, prima che riprenda conoscenza.»
Uscirono dalla stanza e percorsero a ritroso il corridoio. Scesero la scalinata, ma quando raggiunsero il piano inferiore dovettero rallentare.
Venti ragazze erano ferme di fronte all'ultimo gradino. Tutte bellissime, avevano capelli dai colori sgargianti e indossavano vesti morbide, chiare, che lasciavano davvero poco all'immaginazione.
«Merda» commentò Damian, fermandosi.
«Che succede?» chiese Sofia in un sussurro.
«Sono Driadi, ninfe di terra» le rispose, «Fai piano, niente movimenti bruschi.»
Lei aggrottò la fronte.
«Ma che stai dicendo? Sono ninfe, non t-rex.»
«Tu sei un'Ondina» le disse, a denti stretti, «Vedranno la tua presenza come un tentativo di invadere il loro territorio.»
Sofia sbuffò.
«Non essere sciocco. Non sono bestie, possiamo parlare con loro.»
Lasciò la sua mano e scese le scale con aria rilassata, ma era a pochi gradini da loro quando tutte le Driadi spalancarono la bocca e soffiarono, come gatti: i loro capelli si gonfiarono, carichi di elettricità, e i loro occhi divennero neri.
Di riflesso, senza che potesse impedirselo, a Sofia accadde lo stesso.
«Cazzo» imprecò Damian, lanciandosi in avanti per mettersi tra loro. Nascose Sofia dietro la propria schiena e allungò le mani verso le ninfe.
«State calme» disse loro, «Stiamo andando via, okay?»
«Lei non dovrebbe essere qui» disse una, avanzando. Aveva lunghi capelli rossi, come le foglie appassite, con tulipani colorati intrecciati tra le ciocche: dall'incedere sicuro e il tono imperativo, dedussero che doveva essere la Ninfa Madre di quella colonia.
Damian, perciò, s'inchinò.
«Ti rendo omaggio, Madre» le disse.
«Non mi hai portato neanche un dono» obiettò lei, «Con cosa pensi di rendermi omaggio, Principe?»
«Hai ragione, mi dispiace» chinò la testa e Nikandros fece lo stesso, «Non sapevo che ci fosse la vostra colonia, altrimenti mi sarei preparato.»
La Ninfa Madre delle Driadi indicò Sofia con un cenno della testa.
«La sua presenza qui è un affronto. Non possiamo lasciare che resti impunita.»
Damian, allora, si rialzò.
«Con tutto il rispetto, Madre...», ma non ebbe il tempo di finire.
«Anch'io sono una Ninfa Madre» intervenne Sofia, «Perciò fatevi da parte e lasciatemi passare.»
Damian chiuse gli occhi e trattenne un'imprecazione, mentre Nikandros tirava la yunè ancora più indietro.
Le ninfe sapevano riconoscere il suo potere, non c'era bisogno che lei lo rimarcasse.
«Proprio perché lo sei» ribatté la Madre delle Driadi, «Dovresti sapere che non puoi venire in un'altra colonia senza farti annunciare. Il tuo ruolo rende la tua violazione ancora più grave.»
«È stato solo un fraintendimento» disse Damian, cercando di smorzare l'aria, «Perdonateci. Se ci lasciate passare, prometto che non accadrà di nuovo.»
La Ninfa Madre incrociò le braccia.
«Voi potete andare» disse, «Ma la ninfa resta qui.»
Damian strinse gli occhi e si trattenne dall'imprecare: non poteva uccidere le ninfe, perché erano creature degli Dèi, perciò la situazione si metteva male.
Stupide femmine.
Avanzò, fino a incombere sulla Driade.
«Lei non resta qui» ringhiò, «Lei è mia.»
La Ninfa Madre sorrise.
«Allora, Principe, resterai qui anche tu.»
Accadde tutto in un attimo.
La Driade spinse Damian tanto forte da farlo sbattere contro la parete, mentre le sue figlie si avventavano contro Sofia. La metà di loro stava cantando, perciò Nikandros rimase immobile sulle scale, inebetito dalle loro voci ipnotiche.
«No!» gridò Damian, tornando avanti. Una decina di ninfe si gettarono su di lui, continuando a cantare.
Sapeva resistere alle loro voci, ma doveva difendersi senza ucciderle: riuscì a stordirne un paio, prima di vedere le loro sorelle afferrare Sofia. Tenendola per le spalle, la trascinarono giù per la scalinata e poi dietro la tenda rossa.
Damian spinse lontano le ninfe che tentavano di tenerlo fermo ed estrasse la pistola. Sparò verso le loro gambe, consapevole che gli avrebbe fatto male, ma non sarebbero morte.
Ne stese cinque, prima di riuscire a liberarsi; allora scese i gradini e scostò la tenda.
Si ritrovò in un salotto arredato con cuscini morbidi sparsi sul pavimento, tappeti colorati e arazzi alle pareti; delle ninfe, però, nessuna traccia. Stava per tornare indietro, quando vide una piccola porta di legno, in fondo alla stanza.
La raggiunse e, contro ogni buonsenso, spinto dalla preoccupazione, la spalancò e l'attraversò senza indugiare. Si ritrovò in un giardino interno, simile al chiostro di un monastero: l'erba soffice si schiacciò sotto le suole dei suoi anfibi, mentre alzava lo sguardo su dozzine di alberi dal tronco sottile, disposti in lunghe file, come un piccolo bosco.
La terra e le piante servivano alle Driadi per rigenerarsi, proprio come l'acqua per le Ondine, ed era nel loro elemento che le ninfe si nascondevano.
Damian avanzò di qualche passo: quel posto sembrava enorme e non sentiva un solo rumore, a eccezione del canto degli uccelli nascosti tra i rami più alti.
Strinse i pugni lungo i fianchi, imprecando tra i denti: abbattere ogni albero in quel dannato giardino non sarebbe servito, le ninfe avrebbero potuto uccidere Sofia prima che lui riuscisse a trovarla.
Oh, ma doveva stare calmo, maledizione. Trovare le persone era il suo lavoro, non poteva fallire, e anche se non aveva GPS né altri strumenti, lui non poteva perdere la sua myssi.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente un paio di volte.
La prima cosa che percepì fu l'odore dell'erba umida e l'aroma della menta che cresceva ai piedi degli alberi. Subito dopo, come l'onda anomala di uno tsunami, gli arrivò addossò il suo inconfondibile profumo di oceano e salsedine.
L'olfatto era il loro canale per riconoscersi come myssi e lasciava una traccia che lui avrebbe potuto seguire per chilometri.
Riaprì gli occhi e prese a camminare, fidandosi dei propri sensi, ma appena si inoltrò in quel piccolo bosco l'aria si saturò di un suono soave e melodioso.
Le Driadi, dall'interno degli alberi, stavano cantando. Non capiva cosa dicessero, perché le parole erano nella lingua antica delle ninfe, ma il messaggio che gli arrivò nel cervello era chiarissimo: volevano che tornasse indietro e se ne andasse.
Durante il suo addestramento, Dina aveva trascorso mesi a cantare per lui, per insegnargli a resistere alle voci delle ninfe, perciò Damian sapeva cosa fare per non lasciarsi ipnotizzare. Tuttavia, era pur sempre un uomo, quindi concentrarsi mentre tutte quelle voci suadenti gli frullavano per la testa era faticosissimo. Più di qualche volta dovette fermarsi per riprendere fiato, chiudere gli occhi, respirare piano e concentrarsi sul profumo di Sofia.
Doveva seguire l'oceano, concentrarsi sull'unica cosa che importava.
Continuò a camminare attraverso quegli alberi, stando ben attento a non toccarli, mentre il sole del pomeriggio incominciava la sua discesa verso il tramonto.
Quando il suo profumo divenne più forte, Damian accelerò il passo e il suo cuore ebbe un sussulto di sollievo nel vederla: era legata e imbavagliata ai piedi di un albero, con la schiena appoggiata al tronco, ma stava bene.
Si inginocchiò di fronte a lei e le liberò le mani. Sofia spalancò gli occhi, scuotendo la testa, e non appena fu libera, si tolse il bavaglio e gridò:
«Sono dietro di te!»
Il Principe rotolò di lato appena in tempo per evitare di essere afferrato dalle ninfe.
Quando si rialzò da terra, vide che le Driadi erano di fronte a lui: in cinque, con i capelli sollevati in aria e gli occhi neri.
Si tolse una pistola dal fodero e la lanciò a Sofia, ordinando:
«Non ucciderle!»
Poi ne sfoderò un'altra e mirò alle loro gambe.
Spararono insieme e, nel giro di qualche istante, le ninfe erano tutte a terra: gridavano per il dolore e le loro voci erano lame che gli penetravano nella testa, tanto forti che Damian dovette portarsi le mani alla testa per coprirsi le orecchie. Si riscosse solo quando Sofia gli afferrò i polsi.
«Andiamo via» gli disse, «Prima che si riprendano.»
Damian era ancora confuso da quelle voci nella sua testa, ma si rialzò e tenne stretta la mano di Sofia, seguendola attraverso il fitto boschetto.
Il tempo che impiegarono per raggiungere la porta gli parve infinito, ma quando finalmente l'attraversarono e se la chiusero alle spalle, non sentì più le loro voci e tirò un sospiro di sollievo.
«Dio» imprecò, appoggiando la schiena alla parete e massaggiandosi le tempie, «Un secondo di più e sarei impazzito.»
Sofia, accanto a lui, teneva gli occhi fissi verso l'entrata del salone, e gli afferrò un braccio.
«Dam» lo chiamò, allarmata, «Abbiamo un altro problema.»
Damian alzò gli occhi e, di fronte alla tenda rossa che chiudeva l'ingresso, vide Nikandros.
Era in piedi, fermo, sull'attenti, con le mani dietro la schiena, ma i suoi occhi erano vacui e spenti.
Damian sentiva le voci delle ninfe cantare, ma stavolta non erano per lui.
«L'hanno ipnotizzato» le disse, «Che gli stanno dicendo?»
Sofia ascoltò i loro canti e tradusse:
«Deve riportarmi da loro, non vogliono che io esca viva da qui.»
Damian si raddrizzò.
«Stupido bestione» mugugnò.
Mosse lenti passi verso il suo Maximo, tendendo avanti le mani, come se avesse di fronte una bestia feroce.
«Nik?» lo chiamò, «Riesci a sentirmi?»
Ma Nikandros non mosse neanche un muscolo.
Damian si trattenne dall'imprecare ancora: il greco era tra i suoi guerrieri più forti. Era della sua stessa stazza, pericoloso quasi quanto lui, l'ultima cosa che voleva era arrivare allo scontro.
«Nik» insisté, avvicinandosi, «Ora ti volterai e noi tre usciremo da questo posto, okay?»
Il Maximo rimase fermo.
«Concentrati sulla mia voce, non ascoltare le ninfe. Tu vuoi bene a Sofia, lei è la tua yunè
Quando gli arrivò a un passo di distanza, le braccia di Nikandros scattarono, sfoderando i coltelli che teneva nascosti dietro la schiena.
Damian spalancò le braccia.
«No, cazzo» imprecò, «Non puoi essere così scemo.»
Il Maximo si lanciò su di lui, ma Damian schivò il suo affondo e afferrò il guerriero per la nuca, tirandolo indietro. Nikandros cadde a terra di schiena e si rialzò con una capriola all'indietro. Attaccò di nuovo: arrivò su di lui con il sinistro teso. Damian schivò ancora, ma era una finta e finì proprio sulla traiettoria del destro. La lama del coltello si piegò contro il suo fianco, ma il dolore fu tanto forte da farlo rantolare e gli tolse il fiato per un momento.
Colpì il guerriero con un gancio nello stomaco, facendolo piegare in avanti, e gli afferrò la testa, dandogli una ginocchiata sul naso. Nikandros lasciò cadere i coltelli e abbracciò i suoi fianchi, trascinandolo a terra. Si sedette sul suo petto e prese a colpirlo in viso.
Damian cercò di afferrare i suoi polsi, ma quello che aveva di fronte era una bestia inferocita.
Quelle maledette ninfe erano nella sua testa: se solo ci fosse stato un modo per liberarlo...
E d'improvviso gli arrivò l'illuminazione.
Sofia era una Ninfa Madre, più forte delle ninfe che stavano cantando in quel momento.
Riuscì ad afferrare le braccia di Nikandros e si alzò di scatto, colpendolo con una testata: fu come battere contro un muro, perché il greco, preso com'era da quello stato di trance, non lo sentì neanche, ma lo spinse di nuovo a terra e Damian dovette far forza per trattenergli le braccia, solo per evitare che lo colpisse di nuovo.
«Sofia!» grugnì per lo sforzo, «Canta!»
Sofia, ancora ferma accanto alla parete, non riuscì a capire.
«Per cosa dovrei cantare?» gli chiese, «Loro lo hanno già ipnotizzato, io...»
«Cazzo, Sofia!» insisté Damian, mentre i suoi muscoli tremavano per lo sforzo di trattenere il guerriero, «Canta qualsiasi cazzo di cosa!»
Lei si guardò attorno, indecisa. Cosa poteva dire per sovrastare le voci di tutte quelle ninfe?
Volevano che lui la uccidesse, si erano già insinuate nella sua testa.
Damian perse la presa sul braccio destro e Nikandros riprese a colpirlo.
Sofia non aveva più molto tempo, perciò cantò d'istinto. Con tutta la voce che aveva, nella lingua antica delle ninfe, cantò chiedendo a Nikandros di ritrovare la lucidità e lasciare andare il suo Principe.
Ci volle soltanto un secondo perché il Maximo smettesse di colpire Damian e restasse immobile, con il pugno ancora sollevato.
Damian sospirò e appoggiò la testa a terra, sfiancato.
«Ci voleva tanto?» la rimproverò.
Lei aggrottò le sopracciglia, offesa, ma non smise di cantare.
Damian strisciò all'indietro sui gomiti, per sfuggire alla presa del suo guerriero, e si rialzò in piedi, guardando Nikandros, ora immobile come una statua di cera: gli ordini contemporanei di tutte quelle ninfe gli avevano mandato in tilt il cervello ed era finito per rimanere bloccato, senza sapere a chi obbedire.
Damian si trattenne dall'imprecare: quelle maledette femmine gli avevano impallato un Maximo. Colpì Nikandros con un destro sulla tempia e il ragazzo, inerme, cadde a terra, privo di sensi.
Sofia smise di cantare e, incredula, si avvicinò.
«Perché l'hai fatto?» gli chiese.
«Perché è l'unico modo per portarlo via da qui» le rispose. Si chinò e afferrò un braccio del suo guerriero, usandolo per sollevarlo e caricarselo in spalla come un sacco.
«E adesso?» chiese lei.
Damian inarcò un sopracciglio.
«E adesso» le rispose, «Spero che ti ricordi le mie lezioni su come si guida una moto.»

L'incanto di AfroditeWhere stories live. Discover now