Capitolo 12

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I tre apparvero all'ingresso del giardino di Zeus nell'istante stesso in cui le perle si spaccarono sotto i loro piedi.
I cancelli d'oro erano chiusi dietro le loro le spalle e, di fronte, avevano una distesa di erba verde e rigogliosa. Cespugli ordinati crescevano ai lati di un sentiero in salita, sullo sfondo di un cielo terso e privo di nubi, sereno come l'umore del Sovrano.
«Il piano è semplice» disse Damian, camminando. Teneva un sacco di tela sulla spalla e i suoi anfibi non facevano rumore sull'erba, «Ammazziamo un'aquila, gli amputiamo una zampa e ce ne andiamo. Non ci facciamo vedere da nessun altro animale, non tocchiamo nient'altro, non parliamo con nessuno. Chiaro?»
Nikandros annuì, ma Damian insisté:
«Chiaro, Sofia
Lei gli scoccò un'occhiataccia.
«Chiaro» sibilò.
Risalirono quella breve collina e osservarono dall'alto l'immenso giardino: si estendeva a perdita d'occhio, privo di recinzioni o muri, protetto dalla magia degli Dèi.
Sulla destra, pascolavano sereni gli Ircocervi: le zampe anteriori e il muso erano quelli di una capra, ma le zampe posteriori e le corna erano di un cervo. Sulla sinistra, invece, al riparo sotto dei pergolati, riposavano le Chimere, bestie dai corpi di leone, teste di capra e code di serpente.
«Quelle sputano fuoco» spiegò Damian, «Quindi direi di passare dall'altra parte.»
«E se si svegliano?» chiese Sofia, deglutendo la paura.
«Sono notturne. Se non le disturbiamo, resteranno dove sono.»
Scesero sulla destra, camminando tra gli Ircocervi che non li degnarono di uno sguardo. Sofia provò ad allungare una mano per accarezzarne uno, ma Damian la afferrò per un braccio e la tirò indietro bruscamente, prima ancora che riuscisse a sfiorarlo.
«Non pensarci neanche» la rimproverò.
Lei spinse in fuori le labbra.
«È solo una capra» protestò.
«È una capra di Zeus» ribatté lui, «Non toccare niente.»
Avrebbe protestato di nuovo, ma dei ruggiti in lontananza le fermarono il cuore. Aveva già sentito un suono simile: quando Damian e Decklan avevano affrontato il drago durante i Drakos Paknidia. Quello che aveva sentito, però, non era un solo esemplare.
«Dam» lo chiamò, afferrandogli il braccio, «Cos'erano quelli?»
«Deve essere l'Idra» rispose lui, continuando a camminare e guardandola con la coda dell'occhio. Sofia si mordeva il labbro inferiore e si scrutava attorno, preoccupata. Allora le strinse la mano e disse: «Sta' tranquilla, è lontana. Dobbiamo solo sbrigarci.»
Camminarono ancora per diversi metri, prima di raggiungere le sponde di un lago profondo.
Uno stridio fece loro alzare il viso e a Sofia si fermò il respiro in gola: le aquile di Zeus volteggiavano sopra di loro. Ce ne erano una ventina, dalle piume marrone scuro e il collo bianco, solo che non erano come le aveva immaginate: ognuno di quei rapaci aveva un'apertura alare di almeno otto metri. Erano delle bestie enormi.
«Sul serio?» chiese, «Quelle sono le aquile?»
«Quelli sono i cuccioli» rispose Nikandros, tenendo gli occhi fissi sulle prede, «Qui siamo nella nursery.»
Sofia emise un sibilo di terrore e Damian scoccò un'occhiata glaciale al Maximo.
«Ti avevo detto di non dirglielo» ringhiò.
Nikandros alzò le spalle in segno di scusa e poi sorrise alla yunè.
«Non preoccuparti» le disse, «I genitori sono in un'altra zona del giardino, non arrivano fin qui.»
Sofia deglutì di nuovo: il fatto che quelle bestie fossero solo dei cuccioli non la rassicurava affatto.
Damian avanzò di qualche passo nell'erba prima di posare a terra il sacco che aveva sulle spalle; quando lo aprì, estrasse la carcassa di un cinghiale, il cui odore fu talmente forte da fargli storcere il naso. La appoggiò sull'erba e subito tornò indietro, accanto agli altri.
«Il sangue le attirerà» spiegò, «Dobbiamo solo aspettare.»
Sofia si voltò a guardarlo, perplessa.
«Non potevi portare una balestra? Ne avrei abbattuta una subito.»
Damian e Nikandros si scambiarono un'occhiata, parlandosi con il silenzio dell'esperienza: nessuno dei due aveva pensato alla mira perfetta di Sofia.
Maledizione.
«No» ringhiò, tornando a guardare la carcassa.
Restarono in attesa e ci vollero un paio di minuti perché la prima aquila si posasse a terra: si avvicinò con cautela al cinghiale e piegò la testa prima da un lato e poi dall'altro, osservandolo con curiosità. Lo beccò, strappando via un pezzo di carne per assaggiarlo e, quando capì che le piaceva, cominciò a mangiarlo. Vedendo la compagna, anche le altre atterrarono e, nel giro di pochi istanti, la carcassa fu ricoperta dalle aquile che, in piena frenesia, beccavano il cibo e si aggredivano tra loro.
«Resta qui» ordinò Damian a Sofia, passandole una pistola. Lei la impugnò e osservò i due guerrieri andare avanti, verso i rapaci.
Camminavano piano, attenti a non compiere movimenti bruschi. Damian aggirò il gruppo e puntò un aquila: si avvicinò con cautela e sfoderò un coltello, mentre Nikandros la raggiungeva dal lato destro.
Quando arrivò alla distanza adatta, Damian scattò in avanti e piantò la lama proprio al centro della schiena della bestia.
Il cucciolo d'aquila lanciò uno grido e si voltò, agitando le ali. Damian indietreggiò e Nikandros provò ad attaccare di lato, ma quella lo allontanò con un colpo d'ala.
Il Principe sfoderò un'altra pistola e sparò verso la sua testa, ma la mancò e l'aquila si sollevò in aria. Stridette ancora e piombò su di lui, spingendolo indietro con le zampe: Damian non si aspettava tanta forza e barcollò all'indietro, mentre la bestia si rialzava e di nuovo gli puntava contro gli artigli. Il Principe sparò, ma i proiettili rimbalzarono contro la pelle rugosa delle sue zampe e ormai gli era addosso; lasciò andare la pistola e si aggrappò ai suoi artigli per evitare di essere colpito e per cercare di respingerla. L'aquila, però, lo spingeva indietro e Damian sentiva i piedi scivolare sull'erba umida, privi di presa sul terreno.
L'urlo di Sofia gli giunse distante e quando si accorse del pericolo ormai era troppo tardi: cadde nel lago e l'aquila atterrò di colpo sulla riva, con tanto impeto da romperne la roccia. Damian sentì i massi crollargli addosso e spingerlo sott'acqua: fu sbattuto contro la parete del lago e, alla fine, toccò il fondo, con le rocce sul petto e sulle gambe a immobilizzarlo. Cercò di guardarsi intorno, ma aveva sollevato troppo sedimento e l'acqua era torbida, rendendo la visibilità pari a zero.
Provò a sollevare una delle rocce che aveva sul petto, ma sembravano fatte di piombo: dovette spingere con tutta la forza che aveva per riuscire a spostarla di lato e questo gli fece consumare parecchio ossigeno.
Alzò gli occhi verso la superficie, vedendo la luce filtrare appena attraverso tutta quella sabbia in sospensione. Doveva essere a sei o sette metri di profondità: i suoi timpani stavano esplodendo per la pressione perciò mosse la mascella, compensando, e il dolore diminuì.
D'un tratto, un movimento attirò la sua attenzione: in tutto quel sedimento sollevato non riusciva a vedere niente, ma gli sembrava proprio che ci fosse qualcosa e che si muovesse in fretta.
Maledizione, non aveva tempo per preoccuparsene: se non si fosse sbrigato a liberarsi, sarebbe affogato in quel dannato lago.
Riprese a spingere il masso che gli premeva sul torace e, stavolta, riuscì a farlo rotolare via. Sentì anche sott'acqua il rumore delle rocce che si scontravano e si sedette: le sue gambe erano ancora incastrate e i polmoni gli lanciavano delle fitte spaventose.
In quel momento un rumore provenne dalla superficie e vide qualcosa avvicinarsi. Dopo qualche istante, mani delicate gli presero il viso e i suoi occhi incontrarono quelli nocciola di Sofia: la sua myssi, da sotto la t-shirt, aveva una lunga coda di pesce blu scuro e, ai lati del collo, due paia di piccole branchie le permettevano di respirare.
Senza bisogno di dir nulla, incollò le labbra alle sue.
Damian soffiò fuori l'anidride carbonica e respirò dalla sua bocca, rubandole l'ossigeno.
Sofia gli sorrise e posò una mano sui massi che gli bloccavano le gambe, pronta ad aiutarlo, quando sentì un movimento dietro le spalle.
Si voltò e scrutò nell'acqua torbida: a differenza di Damian, lei riusciva a vedere benissimo anche se la luce non penetrava al meglio, e distinse chiaramente una sagoma saettare a destra e sinistra con velocità.
Mosse la pinna, avvicinandosi un po' al centro del lago, e lo vide: era fermo sulla roccia, aveva la pelle violacea, con lunghi tentacoli ricoperti di ventose e un piccolissimo dynamis sulla testa, proprio tra gli occhi. Aveva visto un solo animale del genere in tutta la sua vita, ma, sicuro come gli Inferi, non l'avrebbe mai dimenticato: era un cucciolo di Kraken.
Il piccolo sollevò i tentacoli anteriori e spalancò il becco, emettendo un grido: si lanciò verso di lei e Sofia si scansò per un soffio, evitando di essere afferrata.
Se l'avesse presa, non sarebbe mai riuscita a liberarsi di quelle ventose, perciò dovevano andarsene di lì il prima possibile. Non c'era tempo da perdere, doveva tirare fuori il suo myssi dall'acqua prima che affogasse.
Si voltò e diede un paio di colpi di pinna, tornando in fretta da Damian. Si avventò sulle pietre che gli bloccavano le gambe, ma lui le afferrò la testa e la baciò di nuovo, prendendo un'altra boccata d'ossigeno. Poi, insieme, riuscirono a spostare due massi, quando sentirono di nuovo lo stridio del Kraken: Sofia si voltò in tempo per vederlo lanciarsi verso di loro.
«Non ucciderlo!» disse Damian.
Lui non poteva sentire sott'acqua, ma lei sì.
Come poteva difendersi senza ferirlo?
E, allora, le tornò in mente il vero motivo per cui l'Olimpo allevava quei mostri: venivano liberati in mare per attaccare i demoni, non le ninfe.
Mentre il cucciolo di Kraken sfrecciava verso di lei, Sofia raccolse tutto l'ossigeno che poté e gridò.
La sua voce fu così forte da far vibrare ogni singola molecola d'acqua del lago; la superficie s'increspò in piccole onde, il sedimento si sollevò di nuovo e le pareti di roccia tremarono. Fu talmente acuto che persino Damian dovette tapparsi le orecchie.
Il Kraken cambiò immediatamente direzione, svanendo nelle profondità del lago, e Sofia tornò accanto al Principe, baciandolo ancora per passargli altro ossigeno.
Damian si liberò delle ultime rocce e poi, insieme, nuotarono fino alla superficie.
Il Principe prese una grossa boccata d'aria quando emerse e si aggrappò alla riva, issandosi sulla terraferma. Si voltò, aiutando Sofia a risalire, e ignorò il fatto che lei fosse nuda dalla vita in giù.
Quando si voltarono, trovarono Nikandros seduto a terra, ricoperto di sangue.
Damian si avvicinò, mentre i suoi anfibi emettevano dei fastidiosi rumori umidicci: erano pieni d'acqua.
«Tutto bene?» gli chiese.
Il Maximo alzò la testa e gli rivolse un sorriso, sollevando la mano in cui stringeva la zampa amputata di un'aquila.
«Non potrebbe andare meglio» gli rispose.
Damian rise e tese una mano al suo uomo, aiutandolo a rimettersi in piedi. Gli diede una pacca sulla spalla e si voltò verso la sua myssi, che si stava rinfilando i jeans. Stava per dirle che potevano andarsene, ma le parole gli morirono in gola.
Proprio dietro le spalle di Sofia, l'Idra si stava avvicinando.
Alta come un palazzo di due piani, la sua pelle era un insieme di squame rosate e lucide. Quattro zampe larghe come tronchi d'albero calpestavano qualunque cosa incontrasse sul suo cammino e nove teste di drago si muovevano su lunghi colli, soffiando fuoco.
«Sofia» la chiamò, cercando di mantenere un tono calmo, «Non muoverti.»
Lei si allacciò i jeans e lo guardò, perplessa.
«Che succede?»
«Non parlare e non muoverti» ordinò ancora, tenendo una mano aperta verso di lei per intimarle la calma, «Getta a terra la perla di Era e torna a casa.»
Nikandros non riusciva a distogliere gli occhi dall'Idra e Sofia seguì il suo sguardo.
«Oh, Dio» mormorò, «Ditemi che non è vero.»
«È solo un cucciolo» le disse Nikandros.
Sofia si voltò di scatto a guardarlo.
«E questo come dovrebbe aiutarmi?» sibilò sottovoce.
«Sofia» insisté Damian, «Non possiamo ucciderla, perciò schiaccia quella cazzo di perla e torna a casa.»
Lei però scosse la testa.
«Non vi lascio soli.»
Damian avrebbe imprecato, ma le teste dell'Idra si voltarono verso di loro.
L'odore del sangue l'aveva attirata fin lì e i guerrieri erano proprio accanto alla carcassa del cinghiale e il cadavere dell'aquila.
«Non muovetevi» ordinò Damian.
Una delle teste si avvicinò a Nikandros. Aveva orecchie a punta e lunghe corna dorate, inclinate all'indietro. Baffi duri come spuntoni d'acciaio sbucavano dalle sue labbra e le narici erano grandi come la bocca di un uomo.
Annusò il guerriero, ricoperto di sangue dalla testa ai piedi, e Damian seppe che Nikandros non aveva scampo: la bestia l'avrebbe morso.
Perciò sfoderò uno dei coltelli a lama lunga e, con un unico movimento, tranciò di netto la testa dell'Idra.
Il drago tirò indietro tutte le altre teste, compreso il collo decapitato, e gridò.
«No!» esclamò Sofia, «Dam, ora ci scopriranno!»
«No, non morirà» ribatté Damian, «Tirate fuori le perle!»
Gli altri due obbedirono e stavano per schiacciarle, quando il Principe fu attaccato da un'altra testa. Con precisione, schivò il colpo, passandole di lato, e tranciò anche quella.
Sofia rimase senza parole quando vide quello che accadde ai due colli decapitati: dai moncherini, con una velocità che aveva dell'incredibile, rinacquero quattro teste anziché due.
«Sofia, la perla!» urlò Damian.
Allora lei si riscosse. Lanciarono a terra le perle di Era e, nello stesso momento, le schiacciarono sotto le scarpe, svanendo nel nulla.

L'incanto di AfroditeOnde histórias criam vida. Descubra agora