Capitolo 3

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D

amian non aveva bisogno di dormire molto; era un semidio, perciò un paio d’ore di sonno erano sufficienti per rimetterlo in sesto. Non che non amasse dormire di più: neanche il Principe dei guerrieri era immune a un po’ di pigrizia, ogni tanto. Tuttavia, aveva dimenticato cosa volesse dire abbandonarsi al relax da quando Ombra era entrata nella sua vita.
Gli sembrava di aver appena chiuso gli occhi, quando udì la porta della camera da letto aprirsi. La cosa lo avrebbe messo in allarme, se non fosse seguito lo scalpiccio di piedini nudi sul pavimento.
Il materasso affondò appena quando lei si arrampicò sul letto e sedette sul suo torace.
Damian sentì quelle manine piccole e calde sul viso, poi la sua voce melodiosa:
«Papà? Sei sveglio?»
Le rispose con un grugnito, sperando che desistesse nel suo intento di svegliarlo, ma Ombra era caparbia, proprio come la madre.
«Papà!» insisté, «Se sei sveglio, apri gli occhi!»
Divertito da quel tono dispotico, Damian aprì gli occhi: la piccola ninfa seduta sul suo petto, indossava una maglia con il logo dei Rolling Stones e dei calzoncini con la stampa di teschi colorati.
Lunghi boccoli verde-azzurro le scivolavano sulle spalle e nel visino tondo, dalle labbra a forma di cuore e il naso all’insù, grandi occhi di colore diverso splendevano, allegri. Uno era blu e l’altro era verde, proprio come quelli del padre.
«Buongiorno!» sorrise la piccola ninfa.
«Che vuoi?» le chiese Damian, con la voce ancora roca per il sonno.
«Voglio suonare la chitarra» rispose lei, con aria risoluta e le braccia conserte, «Mamma ha detto che stamattina potevo.»
Damian sollevò il braccio per guardare l’orologio che aveva al polso e imprecò.
Erano appena le cinque del mattino: se si fosse messa a suonare, i Maximi sarebbero diventati nevrotici.
«Dopo» le disse.
La cinse con un braccio e si voltò su un fianco, trascinandola sul letto. Lei rise e squittì, divertita.
«Fa’ piano» le mormorò Damian, «O sveglierai tua madre.»
Ombra si voltò verso Sofia, che dormiva ancora dando loro le spalle. I suoi capelli blu, come gli abissi più profondi dell’oceano, erano una macchia scura sul bianco delle lenzuola.
«Dormi ancora un po’» ordinò Damian, «Dopo potrai fare tutto il rumore che vuoi.»
Soddisfatta di quella promessa, Ombra annuì e si accoccolò contro il petto del padre.
Damian inspirò a pieni polmoni il suo profumo di mare e la strinse a sé con un braccio, allungando l’altro nel letto, sfiorando la testa della sua donna.
Sofia allora si voltò, stendendosi sull’alto fianco, e gli strinse la mano. I capelli le ricadevano di lato e quei grandi occhi nocciola gli entrarono nell’anima.
Era così bella, la sua myssi.
«Ti ha svegliata?» le chiese.
Lei alzò le spalle e gli rivolse un sorriso.
«Vederti stretto a lei è meraviglioso» gli mormorò.
Damian si limitò a inarcare un sopracciglio, nella sua espressione arrogante.
«Io sono meraviglioso, ragazzina.»
Lei rise e Ombra si voltò a guardarla.
«È vero che posso suonare la chitarra?» le chiese.
Sofia le schioccò un bacio rumoroso sulla testa e rispose:
«Quando Nik si sveglierà, se ne avrà voglia, lo farai con lui.»
Ombra allungò le labbra in un broncio.
«È già sveglio!» protestò, «Ma sta con la sua amica e mi ha detto di tornare a letto.»
La ninfa era troppo piccola per comprenderne il motivo, ma intuì subito la rabbia del padre, quando si irrigidì e chiese:
«Cosa?»
Timorosa di averlo fatto arrabbiare, non ripeté la frase, ma Sofia conosceva troppo bene il suo uomo per non prevedere quello che stava per accadere.
«Non farlo» gli disse.
Damian, però, non rispose. Si alzò dal letto e raccolse un paio di jeans dal pavimento, infilandoli.
A torso nudo e piedi scalzi, attraversò la stanza: l’impianto di metallo che gli proteggeva il tallone era un ticchettio ritmico sul pavimento.
«Dam!» lo richiamò Sofia, ma invano.
Il Principe uscì dalla camera, attraversò il lungo corridoio fino a raggiungere la porta della stanza di Nikandros e bussò così forte da far tremare la parete.
«Che cazzo stai facendo?» tuonò.
La porta si aprì e il Maximo esordì con:
«Yarco, non è come pensi.»
Damian lo spinse di lato senza riguardo ed entrò nella stanza, scrutando la ragazza addormentata nel letto.
La fissò per un lungo momento, incredulo.
«Non ci posso credere» mormorò.
«Dam, io…» iniziò Nikandros, ma lui non lo lasciò finire.
«Non è possibile che tu sia così stupido!» gli disse, voltandosi a guardarlo, con gli occhi diversi che fiammeggiavano di rabbia, «Ma non hai imparato niente in questi anni?» Sollevò una mano, indicando la ragazza nel letto, «Dopo quello che è successo a Ric ed Hektor, non hai ancora capito che portare un’umana alla Baita significa tirarsi dietro un mare di guai?»
«Lei non è umana» disse Nikandros, serio, «È una semidea, come noi. Ed è in pericolo.»
«Lo sono tutte!» ringhiò Damian, stringendo i pugni, «È così che irrompono nella nostra vita e la distruggono!»
«Dam, non posso lasciarla!» sbottò Nikandros, «Lei è mia sorella, Era l’ha affidata a me!»
Damian fece un passo indietro e si voltò verso la ragazza, come se guardarla potesse aiutarlo a capire cosa stesse accadendo.
«Era te l’ha affidata?» ripeté.
La situazione si delineò con fin troppa chiarezza nella sua mente.
Nikandros aveva un vincolo di sangue con quella ragazza, qualcosa che non poteva ignorare, a maggior ragione, se Era gli aveva dato degli ordini in merito.
Approfittando di quell’istante di silenzio, Nikandros si fece avanti di un passo.
«Ha bisogno di me» disse, «È in pericolo e io non posso abbandonarla.»
«Era ti ha minacciato?» chiese il Principe.
«No» ammise Nikandros, «Ma io non voglio abbandonarla.»
Damian sospirò.
Dopo tutto quello che era accaduto con Hektor, lui e i Maximi avevano impiegato dei mesi per raggiungere quella parvenza di stabilità, non voleva che tutto fosse di nuovo sconvolto dall’ennesima ragazzina bisognosa d’aiuto.
Captando la sua esitazione, Nikandros insisté.
«Senti, Dam» sospirò, «È nei guai. Afrodite la sta cercando e io…», si passò una mano tra i capelli, chinando la testa, «Non posso lasciarla. Le ho promesso che l’avrei tenuta al sicuro.»
«Afrodite?» ripeté Damian, stringendo gli occhi, «Come è riuscita a far incazzare quella zucca vuota di Afrodite?»
Nikandros alzò le spalle.
«Non ho capito bene, in realtà. Lei è ancora troppo sconvolta per riuscire a raccontare tutto nei dettagli.»
Damian chiuse gli occhi per un istante e si appoggiò con la spalla alla parete.
«Lei è la sorella per la quale spendevi tutti i tuoi soldi?» gli chiese.
Il Maximo annuì.
«Era l’ha affidata a me perché me ne prendessi cura» raccontò, «Ma sei anni fa abbiamo litigato e io non l’ho più cercata.» Nikandros infilò le mani nelle tasche dei pantaloni di pelle, «Ha detto di aver raggiunto le Amazzoni e di essere stata con loro per qualche anno, fin quando qualcuno non ha detto ad Afrodite che tra le ragazze ce n’era una più bella di lei.»
Damian inarcò le sopracciglia e volse lo sguardo alla sorella del guerriero. Era profondamente scettico: lui aveva conosciuto Afrodite e, in tutta la sua vita, non aveva mai visto una donna più bella di lei.
«Afrodite è andata a cercarla» continuò Nikandros, «E l’ha rapita.»
«Per portarla dove?» chiese Damian, «I semidéi non possono restare sull’Olimpo.»
Nikandros scosse la testa.
«Non so dove l’abbia portata» ammise, «E non mi ha detto neanche per quanto tempo è stata prigioniera. So solo che è riuscita a scappare e dice che ora le danno caccia.»
Damian si passò una mano tra i capelli, mentre Nikandros si voltava verso la ragazza addormentata.
«So che non dovrebbe essere una mia priorità» disse, «Ma le voglio bene, Dam. È mia sorella.»
Damian non disse nulla, ma lo capiva. Lui era stato il primo fra tutti a mettere in pericolo il Khrathos per salvare Sofia e lo avrebbe fatto anche per Ombra.
Sapeva bene quanto intenso potesse essere un legame e, soprattutto, quanta forza riuscisse a infondere in un guerriero.
Desdemona emise un lamento e i due la videro muoversi, come se volesse sedersi.
In un paio di lunghi passi, Nikandros le fu accanto.
«Ehi, tutto bene?» le chiese, sostenendola mentre lei appoggiava la schiena alla testiera del letto.
«No» rispose lei, «Mi gira la testa.»
Damian la scrutò: i suoi abiti erano logori e anche la sua pelle aveva ombre scure di sporcizia. Gli occhi erano cerchiati di nero, sintomo che non riposava da molto, le sue guance erano scavate e dalla scollatura della canottiera poteva vedere le ossa delle clavicole.
«Da quanto tempo non mangi?» le chiese, allora.
Desdemona alzò gli occhi verso il fondo della stanza, trovandosi di fronte all’uomo più bello e spaventoso che avesse mai visto.
Era molto alto, con spalle larghe e possenti. Indossava solo un paio di jeans a vita bassa, scoprendo il torso magnifico, delineato dalle linee dei muscoli e decorato dai tatuaggi: disegni maori si arrampicavano dal pettorale sinistro fino alla spalla e aveva un sole, identico allo yemma, tra l’ombelico e l’anca.
Aveva anche una scritta all’interno dell’avambraccio, ma non riusciva a leggerla da quella distanza.
I capelli corvini erano corti, i lineamenti del suo viso duri, ma splendidi.
E quegli occhi, Eros impietoso. Un’eterocromia così evidente e tanto bella da togliere il fiato.
«Chi sei?» gli chiese.
«Lui è il Principe» s’affrettò a rispondere Nikandros, «E ti ha fatto una domanda.»
Aveva sentito parlare di lui, ma non lo aveva mai visto.
Le Amazzoni le avevano raccontato parecchie storie sul suo conto, molte delle quali non gli facevano onore: il mondo intero lo conosceva come uno spietato, gelido assassino.
«Non ricordo l’ultima volta che ho mangiato» rispose.
Il Principe sbuffò.
«Ecco perché non ti reggi in piedi.»
Nikandros aggrottò le sopracciglia.
«Perché non mi hai detto che hai fame?» le chiese, con un tono che pareva offeso. Lei rispose con un’alzata di spalle, perché non le andava di dirgli che non voleva apparire più patetica di quanto già non fosse. 
«Vado a prenderti qualcosa» disse il Maximo e, prima che uno di loro avesse modo di fermarlo, uscì dalla stanza.
Rimasti soli, Desdemona incrociò lo sguardo del Principe, aspettandosi di trovare la solita espressione compassionevole che veniva sempre riservata alla ragazza in difficoltà, ma non c’era traccia di indulgenza nel viso di Damian: quegli occhi diversi erano fissi su di lei e la scrutavano, come se riuscissero a leggere nella sua anima. Come se potessero carpire i suoi segreti.
Il Principe era bellissimo e inquietante, mentre la fissava con aria inquisitoria, in completo silenzio.
Infine, dopo istanti che le parvero ore, le chiese:
«Qual è la verità?»
Desdemona inclinò la testa di lato e non seppe dire se fosse ancora stordita o se, invece, fosse confusa dal tono del Principe.
«Qual è la verità?» insisté Damian, «Afrodite ti ha rapita perché sei troppo bella: ammesso che sia vero, non penso che ti abbia lasciato in un bungalow alle Maldive.»
A quel tono ironico, Desdemona scoccò un’occhiata glaciale e Damian, in quel preciso istante, capì perché la Dea si fosse sentita minacciata.
Non si trattava solo dei lineamenti perfetti, che poteva intravedere sotto quello strato di sporcizia, né della sua pelle giovane, né tantomeno dello splendido colore dei suoi capelli.
La magia di quella ragazza era nella sua anima: i suoi occhi, di un azzurro torbido, trasmettevano tutto il suo coraggio e la sua volontà. Il sangue di Era scorreva nelle sue vene, infondendole la grazia e l’impeto di una regina. E non una di una qualunque, ma di una diretta discendente dei Titani.
Il suo aspetto la rendeva bella, certo, ma era la forza che l’animava a renderla irresistibile.
Damian capì di essersi sbagliato: la Dea della Bellezza aveva ragione a temere per il proprio primato.
«Non sono affari tuoi» sibilò la ragazza, «È una cosa tra me e Afrodite.»
Damian inarcò un sopracciglio e, con passi lunghi e lenti, si avvicinò al letto.
Desdemona sussultò quando lui afferrò il comodino e lo trascinò accanto a lei, prima di sedervisi sopra.
«Lascia che ti spieghi una cosa» le disse, allargando le gambe e posandosi i gomiti sulle ginocchia, «Nel momento in cui hai deciso di trascinare Nik in questa storia, hai trascinato dentro anche me.»
Desdemona si sistemò meglio il lenzuolo sulle gambe, con aria indispettita.
«Nik è grande e grosso» rispose, «Può prendere decisioni senza l’aiuto della sua balia.»
Damian si alzò di scatto: con una mano strinse la testata del letto e con l’altra le afferrò il viso, spingendola indietro e stingendole le guance. Si chinò, fino ad avere le labbra accanto al suo orecchio.
«Forse non mi sono spiegato bene» ringhiò, «I Maximi non muovono un solo passo senza il mio consenso, perciò se hai qualcosa in mente per il mio guerriero, sarà bene che tu me ne renda partecipe oppure puoi tornare a rintanarti nel buco sudicio dal quale sei uscita.»
Desdemona rimase senza parole: il tono della sua voce, il gelo della sua espressione, tutto in quel Principe era terrificante. Solo ora riusciva a comprendere perché nei racconti delle Amazzoni lui fosse sempre spaventoso. 
Si tirò indietro, liberandosi dalla sua stretta.
«Non ho niente in mente» sibilò con odio, «Il tuo prezioso guerriero è anche mio fratello e non farei mai niente per metterlo in pericolo.»
Lui inarcò un sopracciglio.
«Conosco già questa favola» commentò.
«Non sono qui per rovinare le vostre vite» insisté lei, «Avevo bisogno di un posto dove stare e sono venuta a cercare Nik, tutto qui.»
Dovette compiere uno sforzo sovraumano per non distogliere lo sguardo dal suo: la paura le serrava le viscere, ma la forza della disperazione era un fuoco che l’avrebbe spinta ovunque. Se lui l’avesse cacciata, non avrebbe avuto nessun altro posto in cui andare.
«Non voglio mettere nessuno in pericolo» concluse.
Damian appoggiò anche l’altra mano alla testiera del letto, incombendo su di lei.
«Spero che sia vero» mormorò, con un tono basso e minaccioso, «Perché se scopro che mi stai mentendo, ti assicuro che qualunque cosa ti abbia fatto Afrodite, ti sembrerà una festa di Natale a paragone di quello che ti farò io.»
Desdemona distolse lo sguardo, stringendo le labbra, spaventata e offesa da quelle parole.
Damian si raddrizzò e, senza aggiungere altro, attraversò la stanza.
Raggiunse la porta nello stesso momento in cui tornava Nikandros, tenendo tra le mani diverse confezioni di biscotti e sacchetti di patatine.
«Tu puoi fare quello che vuoi» disse al suo Maximo, «Ma lei deve andarsene: non può restare alla Baita.»
«Devi permetterle di restare» protestò il guerriero, «Qui sarà al sicuro.»
Damian non si scompose.
«Non ci sei solo tu, Nik» disse, gelido, «Ho altri quarantanove Maximi, quindici ninfe, una myssie una figlia da proteggere. Non metterò tutti in pericolo per tua sorella.»
Nikandros abbassò la testa, non avendo argomenti per replicare alla volontà del suo Principe.
«Ti darò un posto sicuro in cui portarla» continuò Damian, «Potrà stare lì tutto il tempo che vuole e tu sarai dispensato dai tuoi compiti nel Khrathos, così potrai stare con lei.» Scoccò un’occhiata glaciale alla ragazza, che lo stava fissando con rabbia, «Tu mangia» ordinò, «Fatti una doccia e riposati: domattina vi accompagnerò.»
Lei non osò replicare e, a denti stretti, disse soltanto:
«Erko arpax

L'incanto di AfroditeWhere stories live. Discover now