Capitolo 14

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Risalirono il viale con le moto e parcheggiarono nel piazzale di ghiaia, lasciarono i caschi sui sellini e si diressero a passo svelto verso la Baita.
Nikandros camminava sentendo sul petto la pesantezza dell'antidoto, che teneva nella tasca interna del giubbotto.
Menodora stenta a credere ai propri occhi.
L'enorme zampa di un cucciolo di aquila di Zeus è sul suo tavolo. È in vita da più di trecento anni, ma non ha mai messo le mani su qualcosa di tanto prezioso.
I suoi occhi brillano di felicità.
«Sarebbe bastato un solo artiglio» dice, estasiata, «Anche solo una parte.»
«Puoi tenere il resto, non mi importa» taglia corto Damian, in piedi dall'altra parte del tavolo.
«Quanto ci vuole per l'antidoto?» chiede Nikandros, ansioso. Tamburella con le dita sul piano di legno e non riesce a stare fermo.
Menodora non gli risponde; con una mannaia dalla lama di diamante infero trancia un artiglio e lo getta in una pentola, il cui contenuto sta bollendo sui fornelli.
Si ode un sibilo provenire da quell'intruglio e il rumore di acqua che bolle. Con un mestolo, l'Alchimista ne preleva un po' e lo versa in una provetta. Avvita per bene il tappo e la porge al
Maximo.
«Deve berlo dalla coppa di Demetra» gli dice, «Fa' attenzione: a questo punto potrebbe avere la febbre molto alta, assicurati che lo ingerisca tutto.»
Nikandros stringe l'antidoto in una mano, sentendolo caldo.
«Sei sicura che funzionerà?» le chiede.
«No» risponde lei, «Ma è l'unico tentativo che potete fare.»

Nessuno era mai sopravvissuto alle vipere di Afrodite e nessuno aveva mai ucciso un'aquila di Zeus per produrre l'antidoto. Menodora aveva ragione: non avevano precedenti su cui basarsi, perciò non restava altro che la speranza.
Non avevano ancora raggiunto i gradini d'ingresso, quando la porta si aprì e Ombra corse fuori.
«Mamma!» gridò.
Indossava la veste bianca da ninfa, con i boccoli verde-azzurri che le danzavano sulle spalle. Corse verso la madre e Sofia si chinò per abbracciarla. La strinse, baciandole la testa, e Nikandros vide Noah camminare loro incontro con un'espressione più seria del solito.
«Che succede?» chiese Damian, quando li raggiunse.
«La ragazza se ne è andata» rispose Noah, senza tanti preamboli.
Nikandros spalancò gli occhi.
«Che cosa?»
«Credevamo fosse in casa» spiegò l'ekaty, «Invece ha rubato una moto ed è scappata. Neesha se ne è accorto ed è già uscito a cercarla, noi altri, invece, aspettavamo voi.»
Nikandros si voltò per tornare verso la moto, ma Damian gli afferrò un braccio prima che potesse muoversi.
«Aspetta» gli disse, «Non puoi andare da solo.»
Nikandros indicò l'esterno della casa.
«Lei è lì fuori con dei serpenti giganti che le danno la caccia. Non posso perdere tempo!»
«Andremo insieme» acconsentì Damian, poi si voltò verso gli altri: «Sofia, tu va' in casa con Ombra e fa' chiudere le ninfe nel cottage. I serpenti non possono entrare, ma finché non risolviamo la questione è meglio che restiate tutte al sicuro.» La ninfa annuì, prese in braccio la figlia e corse verso il lago per portare via anche le altre Ondine.
«Noah» continuò il Principe, «Chiama Neil, mi servono tutti gli ekaty e quella testa calda di Igor. Prendete armi adatte. Io e Nik, intanto, ci avviamo. Ci troverete con i ManDown.»
«Erko Arpax» disse il Maximo, voltandosi e tornando in casa.
Damian si affiancò a Nikandros e tornarono a passo svelto verso le moto.
Prima di montare in sella, il Principe gli disse:
«Neesha è sicuramente più vicino. Imposta la sua posizione sul GPS e raggiungiamolo.»
Mentre Nikandros sincronizzava il ManDown con il computer della moto, Damian sollevò il casco dal sellino. Stava per infilarlo, quando una voce alle sue spalle disse:
«Salve, Principe.»
Si voltò di scatto, trovandosi di fronte l'ultima persona che si sarebbe mai aspettato di vedere.
La Dea Afrodite, in tutta la sua sfolgorante bellezza, era nel piazzale della Baita.
Indossava una veste arancione, che sagomava il suo corpo formoso. I capelli biondo cenere erano raccolti sulla testa e decorati con fermagli a forma di rosa. Il viso più bello dell'universo aveva una pelle liscia e rosata, come porcellana, occhi limpidi e labbra rosse, a forma di cuore.
Damian chinò subito la testa, in segno di rispetto.
«Onore a te, mia Signora» la salutò.
Afrodite si strinse le mani di fronte al grembo e li scrutò entrambi con aria divertita.
«Vedo che siete in partenza» commentò, «Immagino che stiate andando a recuperare quello che mi appartiene.»
I guerrieri si scambiarono un'occhiata e lei sorrise.
«Oh, poveri ingenui. Credevate che non sapessi cosa stavate facendo?», scosse il capo, «Argo mi ha tenuta nascosta quella ragazza per due anni, mentre io credevo che fosse morta: non è un errore che commetterò di nuovo.»
«Mia Signora» azzardò Damian, tenendo la testa bassa, «La ragazza non ha colpe. Non pensi che...»
Ma non ebbe il tempo di finire la frase.
«Non ha colpe?» ripeté Afrodite, di colpo indispettita. Si avvicinò e gli prese il viso con una mano, «Devo forse ricordarti a chi appartieni, Principe?»
Damian impiegò qualche istante per sentirlo, ma poi il dolore arrivò tutto insieme: il suo yemma prese ad ardere, con tanta intensità da bruciare anche la t-shirt. Si portò una mano al petto e sarebbe caduto in ginocchio, ma la Dea continuava a tenergli il viso e lo sorreggeva in piedi.
«Mia Signora, ti prego» intervenne Nikandros, «Il Principe sta proteggendo me. Desdemona è mia sorella, sono io che voglio salvarla.»
Afrodite lasciò andare Damian e guardò Nikandros come se si fosse appena accorta della sua presenza.
«Un altro insolente figlio di Era» commentò, stizzita, «Forse è arrivato il momento di ricordare a entrambi che siete parte dell'Esercito degli Dèi. Zeus vi ha creati per far rispettare le sue leggi e non per infrangerle secondo il vostro volere!» Indietreggiò di un passo, per poterli guardare entrambi, «Quella ragazza ha commesso un reato, è accusata di eymorphia, e come tale va punita.»
Damian si appoggiò alla moto, cercando ancora di riprendersi dal dolore che la Dea gli aveva causato, e lanciò un'occhiata al suo guerriero.
Nikandros teneva la testa bassa e si stringeva nelle spalle, perché sapeva di aver già perso.
Per tutta la vita erano stati addestrati a servire gli Dèi, a obbedire. Il loro compito, la loro vocazione, era difendere le leggi dell'Olimpo. Sua sorella era una fuorilegge, andava eliminata, lui lo sapeva benissimo.
Damian conosceva l'importanza del proprio ruolo, la sacralità della loro dinastia, tuttavia...
Afrodite era solo una Dea, Nikandros, invece, era suo fratello, la sua famiglia.
Come poteva deluderlo?
«Mi dispiace, mia Signora» le disse, col fiato corto, «Ma stavolta non posso proprio obbedire.»
Afrodite strinse gli occhi.
«Questo è inaccettabile» sibilò.
«Faremo rispettare le leggi dell'Olimpo» promise Damian, «Ma senza uccidere la ragazza. Troveremo un altro modo.»
La Dea lo fissò, incredula di fronte a quella ribellione.
«Non c'è un altro modo» disse. Poi, però si riscosse. Il suo viso s'illuminò di nuovo e camuffò i suoi sentimenti dietro un sorrisetto superbo. «E così, dunque? Pensavo di poter contare sul Khrathos, ma è evidente il vostro tradimento, perciò non mi resta che risolvere il problema con i miei mezzi.»
Damian si sentì sprofondare, perché sapeva bene cosa tutto questo avrebbe significato: Afrodite avrebbe scatenato i suoi mostri peggiori contro quella ragazza.
«Quindi, caro Principe, ti auguro buona fortuna.» Sorrise ed era davvero la creatura più bella di tutto l'universo, «Vedremo se riuscirai a trovarla prima tu o le mie vipere.»
Poi, senza dar loro il tempo di replicare, svanì nel nulla.

L'incanto di AfroditeOnde histórias criam vida. Descubra agora