Capitolo 2

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Nikandros aveva salutato sua sorella per l’ultima volta a Berdjans’k, in Ucraina, sei anni prima.
L

a donna che teneva fra le braccia, non aveva niente della ragazzina acerba e innocente, dalle lunghe trecce bionde, che dimorava nei suoi ricordi.
La portò nella Baita e poi al piano di sopra, nella stanza che divideva con Noah: era uno spazio rettangolare, ammobiliata solo con l’indispensabile e ordinata come una camerata militare.
Adagiò sua sorella sul proprio letto e rimase in piedi accanto a lei, senza sapere cosa fare.
Forse avrebbe dovuto provare a rassicurarla, magari coccolarla in qualche modo, ma non era tipo da smancerie.
Era stato cresciuto come un guerriero, tutto quello che sapeva fare era uccidere.
Tuttavia, guardare la sua sorellina ridotta in quello stato, gli riportò alla mente la prima volta in cui l’aveva vista.
Era così piccola, all’epoca, e così spaventata.
Nikandros è inginocchiato sul prato all’inglese, in quel parco enorme e deserto.
Era, sua madre, lo ha convocato, dandogli precise istruzioni su dove recarsi.
All’inizio, Nikandros ha avuto dei dubbi, ma quando ha visto comparire la Regina degli Dèi e ha notato la sua espressione di disappunto, ha avuto la certezza di trovarsi nei guai.
Quindi, ha abbassato lo sguardo, si è inginocchiato e solo dopo qualche istante ha notato la bambina che si nasconde dietro la Dea.
Intimorita, resta aggrappata alla veste di Era, ma Nikandros riesce lo stesso a vedere i capelli biondi e quei grandi occhi azzurri nel viso paffuto.
Non impiega molto per capire di chi sia figlia: è come guardare la sposa di Zeus in miniatura.
«Ho un compito per te» dice la Dea.
«Sono al tuo servizio, mia Signora» risponde lui.
Era spinge avanti la bambina con delicatezza. Lei non vuole lasciarla andare, ma la madre non si cura della sua ritrosia.
«Lei è Desdemona, tua sorella» gli dice, «Voglio che te ne prendi cura.»
Nikandros è talmente incredulo che contravviene alle regole e alza il viso, guardando negli occhi la Regina degli Dèi, però corregge subito quell’errore e sposta lo sguardo sulla bambina: è piccola, deve avere tre o quattro anni. Indossa degli abiti da umana, ma i suoi lineamenti non mentono riguardo la sua discendenza.
Nikandros non sa cosa dirle.
Cosa dovrebbe farsene di una bambina? Non può certo portarla nel Khrathos.
D’altronde, non può neanche disobbedire alla Dea.
Era spinge ancora la piccola verso di lui: è terrorizzata.
E Nikandros, per un momento, ricorda quando era soltanto un bambino e lo avevano portato all’Accademia dei Maximi: anche lui era spaventato.
Allora allunga una mano verso di lei e le rivolge un sorriso.
«Ciao» le dice, «Io mi chiamo Nik
Desdemona esita e fissa quella mano gigante per un lungo istante, poi prende coraggio e la stringe.
Nel guardare quella manina minuscola e calda, Nikandros sente qualcosa di sconosciuto scaldargli il petto e lo stomaco.
È quello il momento esatto in cui capisce che deve obbedire a Era: Desdemona è sangue del suo sangue, sua sorella, e lui si prenderà cura di quella bambina, qualunque cosa accada.
E lo aveva fatto.
Per anni, si era occupato di lei.
Certo, non nel modo degli umani, ma si era accertato che avesse sempre un tetto sopra la testa e cibo in abbondanza. Si era preoccupato che non fosse mai sola e che le persone intorno a lei le volessero bene.
Il collegio privato in cui era cresciuta, gli era costato tutto il budget che il Principe gli aveva messo a disposizione, ma lui non si era mai lamentato, perché credeva che lei fosse felice.
Dalle lettere che gli scriveva la Madre superiora, era emerso persino che lei volesse diventare una suora.
Invece, non appena aveva compiuto diciotto anni, Desdemona era fuggita.
Nikandros non aveva impiegato molto per rintracciarla: trovare le persone, era il lavoro del Khrathos.
Aveva provato a riportarla al collegio, ma lei si era arrabbiata e gli aveva urlato contro, accusandolo di non averla mai amata e di averla abbandonata.
Nikandros avrebbe voluto dirle che non era vero, che le voleva bene molto più di quanto lei potesse immaginare… ma era un Maximo e i guerrieri del Khrathos non dicevano cose simili.
Così, quando lei gli aveva gridato di voler vivere la propria vita e lo aveva cacciato, lui si era limitato ad accontentarla.
Non aveva più avuto sue notizie per sei anni, fino a quel momento.
E avrebbe tanto preferito continuare a non sapere, piuttosto che vederla lì, sfinita, con l’aria di chi avesse attraversato gli Inferi.
Lei mugugnò qualcosa nel sonno e Nikandros le sedette accanto; il letto cigolò sotto il suo peso.
Le accarezzò i capelli e, di colpo, lei spalancò gli occhi in un’espressione di puro terrore.
Si guardò attorno e le mancò il fiato per la paura, ma era troppo debole per sollevarsi.
Nikandros le prese il viso con entrambe le mani, costringendola a guardarlo.
«Va tutto bene» le disse, con tono dolce, «Ci sono io, sei al sicuro.»
Desdemona sembrò riconoscerlo solo in quell’istante. Gli afferrò i polsi e li strinse, sollevando appena la testa.
«Non lasciare che mi trovino» sussurrò, con la voce rotta dalla paura, «Ti prego, devi nascondermi.»
Nikandros aggrottò le sopracciglia, senza riuscire a capire.
«Chi ti sta cercando?» le chiese, «Sei in pericolo?»
«Devi aiutarmi!», Desdemona si alzò a sedere, aggrappandosi ai suoi polsi, «Loro vogliono catturarmi di nuovo!»
Nikandros le prese le braccia, cercando di calmarla.
«Dez, di che stai parlando? Non posso capire se non mi spieghi cosa succede.»
Gli occhi di Desdemona si velarono, mentre con voce tremante rispondeva:
«Lei… Lei mi sta cercando.»
Solo una lacrima le sfuggì tra le ciglia, rotolando sulla sua guancia, mentre pregava:
«Non lasciare che mi trovi, per favore.»
Niente da fare: era ancora troppo sconvolta per essere lucida.
E Nikandros si perse in quegli occhi azzurri. L’espressione terrorizzata di sua sorella gli provocò un inusuale moto di dispiacere e risvegliò la sua indole di cavaliere.
«Non so cosa ti sia capitato» le disse, prendendole di nuovo il viso, «Ma ti prometto che ti terrò al sicuro.»
Lei non ebbe il minimo dubbio sulle sue parole e sollevò appena gli zigomi in un sorriso riconoscente.
«Grazie» mormorò.

L'incanto di AfroditeWhere stories live. Discover now